Capita talvolta che la fine di un libro generi in noi un evidente senso di tristezza, una sensazione di disagio e irrequietezza. Ci sentiamo un po’ spaesati, obbligati a rientrare nella nostra realtà quotidiana, con una violenza e un’impotenza, contro la quale nulla possiamo. Eppure, oggettivamente, niente è avvenuto nel nostro universo, nessun evento tangibile e negativo si è verificato. Abbiamo solo finito un libro.
Abbandonare una storia che ci ha coinvolto, infatti, personaggi in cui ci siamo identificati e verso i quali abbiamo provato simpatia, stima e intesa, può effettivamente generare un senso di sconforto.
In casi diametralmente opposti, affrontare la lettura di passaggi per noi poco stimolanti può produrre un precoce abbandono del testo, che potrebbe in realtà arricchirci, se portato a conclusione.
Qual è l’elemento comune a queste due distanti situazioni? Entrambe richiedono una buona capacità emotiva di saper tollerare la frustrazione.
Nel primo caso infatti, tale capacità si declina nel perseverare nella lettura di libri, nonostante la consapevolezza dell’eventualità di vivere emozioni negative e contrastanti al loro termine, poiché consapevoli che il rapporto costi-benefici è a favore della lettura, dell’arricchimento che da essa si può trarre.
Nel secondo caso invece, la frustrazione si manifesta nell’impossibilità a proseguire la lettura di brani di cui non si tollera la lentezza, la scarsa trama, il tempo sospeso… Aspettare, attendere, diventano qui imprese impossibili, talmente faticose da un punto di vista interno da provocare l’abbandono del testo, non tanto perché non gradito nella sua complessità, quanto perché non dispensatore continuo di emozioni positive e immediate.
L’elemento che qui si riscontra manchevole è dunque una capacità, un apprendimento evolutivo, quello di saper tollerare la frustrazione, di saper stare cioè, anche laddove non vi è gratificazione immediata, anche dove c’è la possibilità di vivere qualcosa di – temporaneamente – spiacevole.
Tollerare la fatica, perseguire gli obiettivi prefissati, nonostante le avversità e la scarsa certezza del risultato, sono competenze che iniziano a strutturarsi nella prima infanzia e rivestono un’importanza significativa nel percorso evolutivo dell’individuo. Se i bambini sono stati educati a tollerare la frustrazione, da adulti vedranno come una sfida, e non come una minaccia, i compiti che richiedono un certo impegno, una certa capacità di stare nella fatica e che non prevedono un successo immediato.
Allargando lo sguardo da questo punto di vista, appare evidente come la lettura ci proponga spunti di riflessione sui processi di acquisizione delle competenze emotive da parte dei bambini, e di come il libro possa essere visto come un valido strumento di autoregolazione e automonitoraggio emotivo.
Analogamente al gioco, all’attività del giocare con… la lettura permette di mettere in relazione il bambino con sé stesso, con le sue paure, le sue angosce e il complesso insieme di emozioni negative sperimentabili. Da un punto di vista evolutivo risulta di fondamentale importanza che il bambino possa sperimentare tali emozioni, in modo da costruire un’immagine di sé, dell’altro e del mondo integrata.
Stando sul piano dei “contenuti”, la letteratura per l’infanzia include un’ampia quantità di testi volti a favorire il riconoscimento delle emozioni, degli eventi che possono elicitare determinate reazioni e delle normali conseguenze – comportamentali e psicologiche – che ne derivano. Altri temi, inoltre, normalizzano i vissuti emotivi negativi, e mettono in luce l’importanza di sentirsi accettati – e accettabili – anche quando se ne fa esperienza.
Un ulteriore aspetto interessante è la capacità implicita della lettura di promuovere l’esperienza emotiva, anche laddove l’emozione non appare come tema centrale.
Per quanto riguarda la frustrazione, e la capacità di saperla tollerare, quindi, l’attività della lettura si propone come pratica mediatrice e regolatrice di tale esperienza. Leggendo un racconto, appassionandosi a una storia pur sapendo di doverla lasciare, o mantenendo la concentrazione su dei passaggi faticosi, si fa costante esperienza di tolleranza. Si impara a tollerare la fatica, il distacco, l’attesa; si impara a stare in un tempo che è altro da noi, e da noi non dettato, lasciandosene guidare.
Queste competenze, estremamente complesse e risultato di apprendimenti impliciti, di difficile autoregolazione anche in età adulta, possono essere sostenute e supportate attraverso la pratica della lettura.
Riportando tale riflessione all’interno dei contesti educativi o familiari, risulta evidente come per il bambino conoscere e regolare le emozioni, con il supporto e la guida di un adulto – consapevole del valore evolutivo delle emozioni negative – e di un ambiente sicuro come la scuola, lo aiuterà a sviluppare una serie di strategie utili a confrontarsi con i propri vissuti interni, e raggiungere una sufficiente maturità emotiva.
La lettura, in quest’ottica, rappresenta una valida palestra esperienziale.