Una volta, a un corso di aggiornamento (circa 10 o 12 anni fa), ci venne chiesto se e come noi docenti praticassimo la lettura ad alta voce, in classe. Molti risposero che no, non la praticavano né mai l’avrebbero fatto. Ci fu chiesto allora perché e la risposta fu che non si aveva il tempo. Ci fu chiesto ancora se qualche parte della normativa nazionale menzionasse esplicitamente che la pratica della lettura ad alta voce fosse sconsigliata o bandita. Nessuno lo sapeva. Il tempo però era considerata una motivazione più che plausibile.
Oggi ovviamente credo che la situazione sia molto cambiata, e soprattutto nel frattempo sono cambiata io come docente, facendo insieme a tante colleghe di tutta Italia pratica riflessiva attraverso il Writing and Reading Workshop. Qui vorrei appunto affrontare e riflettere su cosa sia oggi, nelle mie classi di secondaria di secondo grado, la lettura ad alta voce.
All’inizio (venivo dalla scuola media e mi trovavo catapultata in un istituto professionale) ho dubitato di poter condurre ancora il laboratorio di lettura che praticavo da circa 4 anni.
All’apparenza nessuno era più lontano dall’ascolto attivo di un’opera letta dal docente dei miei studenti. Ho però azzardato e ho iniziato con due albi illustrati, uno dopo l’altro: Le regole dell’estate di Shaun Tan e poi Il nuotatore di Paolo Cognetti. Ho provato. Mi sono detta che male non potevo fare, e che avrei avuto se mai il “tempo” per cambiare percorso, in fondo era solo settembre.
Ecco le motivazioni a lungo soppesate che mi hanno spinto:
- La lettura è un apprendimento per la vita, non per la scuola, a cui io credo fermamente. Non posso negarlo ai miei studenti.
- Leggere è un modo di pensare, anzi, è un potente strumento di allenamento del pensiero.
- Leggere non è un’abilità innata, ed è faticoso impararla. Sta a me il compito di trovare come e di rendere questo come piacevole.
- Far incontrare libri e lettori è uno dei compiti che le Linee guida ci affidano come docenti, alle quali io mi devo attenere.
- La scuola per molti studenti potrebbe essere l’unico spazio (anche fisico) dove incontrare i libri o dove sentirne parlare. La scuola dell’obbligo, dunque (non scordiamoci che arriva fino ai 16 anni), non può abdicare a questo compito fondamentale.
Così, dopo attenta valutazione e progettazione, ho iniziato le mie due ore settimanali di laboratorio lettura. Dagli albi, appunto, che hanno un enorme potere ermeneutico e inclusivo. È stato un discreto successo, non privo inizialmente di tanta fatica e commenti poco gratificanti dei ragazzi. Tuttavia dopo qualche giorno gli studenti erano coinvolti e partecipavano alle discussioni in classe, mentre io, con la pratica del thinking talking (cfr F. Serafini, Around the Reading Workshop in 180 days, Heinemann 2006), cercavo di generare e articolare con loro il significato del testo.
Il TT prevede la verbalizzazione del processo di lettura (in questo caso anche del rapporto immagini/testo) da parte del docente quale lettore esperto. In questo modo, tramite il modeling, il pensiero dello studente apprendista lettore si struttura sul nostro, ed egli impara a addentrarsi nei meccanismi della lettura profonda.
Subito dopo la lettura degli albi ho optato per un racconto lungo e illustrato di David Almond, Il selvaggio. Ho voluto tenere il ponte delle immagini ancora a disposizione dei miei lettori riluttanti. Qui il laboratorio lettura ha preso forma. Il libro piaceva moltissimo ai miei studenti (credo per la storia raccontata) e ho potuto approfittare di questo per instaurare in classe le routine del laboratorio e per iniziare a proporre strategie di lettura profonda tramite le mini lesson (lezioni frontali brevi concentrate sull’insegnamento di una sola strategia). Alla fine potevo contare già su un buon gruppo classe che si stava amalgamando tramite la lettura condivisa: stava crescendo come comunità di lettori. Abbiamo finito quel testo con dei lavori a coppie, i così detti «tutto in una pagina»: una sorta di riassunto visivo e grafico di ciò che si può trarre dal testo letto. Vedere i ragazzi attendere con ansia le ore di lettura e chiedermi spesso di replicare o di allungare il tempo era – non lo nego – una bella soddisfazione.
Molti colleghi mi dicono che non osano proporre a certe classi la lettura ad alta voce per paura di non saper gestire il silenzio (necessario) e la inerente discussione. È vero, può non essere semplice, ma per la mia esperienza quasi mai l’esperimento fallisce. L’ascolto nasce spontaneo quando si percepisce la lettura non come obbligo ma come cura e come dono.
Finito Il selvaggio dovevo avere il coraggio di abbandonare le immagini per traghettare la classe verso compiti più complessi (intendo dire senza l’appiglio delle illustrazioni). Quindi ho scelto due racconti brevi come inizio: Farsi un fuoco di Jack London e Il cigno di Roald Dahl. Non ero del tutto sicura che l’operazione sarebbe riuscita. Invece sì. Entrambi sono stati scelte azzeccate, che ci hanno permesso di lavorare su due strade che mi stavano a cuore: come il setting influenzi i personaggi, e come si ricavi il tema (non l’argomento) da una lettura. Per di più ho accostato al racconto di London il corto animato (un vero capolavoro) di Simone Massi (si può vedere qui). La visualizzazione, infatti, è una delle 7 attività chiave della lettura attiva (active reading), e discutere con i ragazzi delle nostre personali visualizzazioni, delle nostre personali enciclopedie che si riflettono nella visualizzazione dalla lettura, è stato molto interessante.
L’ultimo passo del laboratorio di quell’anno (oramai 4 anni or sono) fu l’affrontare un testo lungo, interamente dall’inizio alla fine. Scelsi prima Il corpo di Stephen King e poi Reato di fuga di Christophe Léon. È successo che i ragazzi sono stati in grado di reggere la lettura di entrambi i testi, e anche di farla propria.
Quando si legge ad alta voce, una parte molto importante è la negoziazione del significato, che non è mai precostituito ma nasce dall’incontro di pensieri diversi di lettori diversi. Come in una sorta di palestra del pensiero. È questo che rende la lettura viva, e si ottiene solo lavorando sul processo di lettura, non pretendendo la prestazione come prodotto scontato. Dopo anni di riflessione sono arrivata alla conclusione che non si deve per forza e sempre valutare tutto a scuola. L’insegnamento può, per fortuna, essere anche altro. La lettura ad alta voce per me è questo: la zona franca del laboratorio non sottoposta a nessuna valutazione, mai.
È molto più interessante lavorare e insegnare in questo modo. Specialmente quando alunni, non esattamente lettori forti, condividono con te impressioni, domande e connessioni su un libro.
Il WRW mi ha insegnato a liberarmi dall’ossessione del tempo come ostacolo al mio lavoro e a recuperare il senso del tempo dello stare in classe come tempo buono, dotato di senso, autentico e significativo. Credo che si possa imparare solo così.