La scuola media, vera priorità del sistema d’istruzione

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Secondo le intenzioni pubblicamente affermate del Ministro Carrozza, nel 2014 ci sarà l’indizione della “Costituente della Scuola”, una “grande opportunità per tornare a discutere di politiche per l’istruzione e fissare i nostri obiettivi coinvolgendo tutta la società” (dal messaggio di fine anno 2013 del Ministro): appena terminato l’assestamento della Riforma Gelmini, forse ci avviamo verso un dibattito che porterà il vascello beccheggiante del sistema dell’istruzione italiana verso nuovi approdi. 

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Attualmente, tra le molte cose in cantiere (per esempio, oltre la rivoluzione digitale), è la sperimentazione del “taglio” di un anno della scuola secondaria di secondo grado da cinque a quattro anni. Un vivace dibattito, dunque, è sorto tra docenti, esperti, tecnocrati e sindacati al riguardo, quando sulle pagine dei giornali e nel mondo (reale) della scuola, ben altre sono le “emergenze”…
Ma procedo, iniziando con una nota positiva e un po’ di Amarcord (il 2013 è d’altra parte l’anniversario dei venti anni della morte del grande Fellini), e mi scuso per questo dato biografico, comune a molti colleghi della ciurma del vascello-scuola… Nel 2013, appunto, assuefatto alla mia carriera di precario pluriabilitato, lasciai solito more due classi di una scuola media (o ribattezzata anche scuola secondario di primo grado dal 2009) due classi che mi erano state affidate per l’insegnamento di lettere (italiano, storia e geografia); a malincuore, si intende. Alla seconda media, che l’anno successivo non avrei potuto prendere, consigliai di leggere per le vacanze estive un romanzo a fumetti: Scuola Media. Gli anni peggiori della mia vita, di James Patterson (Salani, Milano 2013). Il titolo era evocativo anche per me che, molti anni or sono, fresco della SISS (ora sostituito dal TFA, poi PAS, del domani non si sa!), vagheggiavo di fare il docente di greco e latino al liceo classico… Ma ho scoperto che anche i nostri ragazzi passano gli anni peggiori della loro vita nella scuola dell’obbligo. Giornali ed esperti provano a spiegare il perché. A noi docenti, exempli gratia?

Nel 2011 apparve il Rapporto sulla Scuola Media pubblicato dalla Fondazione Giovanni Agnelli, un istituto indipendente di cultura e di ricerca nel campo delle scienze umane e sociali che, fondato nel 1966 dalla Fiat e dall’IFI, ha per statuto il compito di “approfondire e diffondere la conoscenza delle condizioni da cui dipende il progresso dell’Italia in campo economico, scientifico, sociale e culturale” e di operare a sostegno della ricerca scientifica.
In una ricerca di tipo “operativo” sulla scuola secondaria di primo grado risalente al 2011, l’Istituto ha scattato una fotografia poco incoraggiante dello stato di salute di quello che viene definito da più parti “l’anello debole” del sistema educativo italiano. Il quadro sintetico è tracciato dal presidente, Andrea Gavosto. Alcune criticità affondano le proprie radici in un lontano passato (ricordo che si è appena celebrata, a parere dello scrivente in completa sordina, l’istituzione della cosiddetta media unica: 1963-2013):

– un corpo docente anagraficamente molto vecchio;
– un corpo docente molto precario;
– formazione degli insegnanti spesso non adeguata ai bisogni formativi dei preadolescenti;
– passaggio non mediato, anzi talora traumatico, del modello didattico dalla scuola primaria a quello curricolare delle discipline (materie) della scuola secondaria di primo grado;
– mancanza di equità scolastica.

Vengono proposte alcune “leve” per poter scardinare l’assetto pedagogico-didattico in via migliorativa:

– personalizzazione dell’insegnamento attraverso una pluralità di approccio didattici;
– estensione delle attività didattiche anche nel pomeriggio;
– organizzazione per dipartimenti, sul modello delle superiori, e maggiore cura del coordinamento dell’articolazione progettuale comune dei docenti;
– arricchimento del “cassetta degli attrezzi” dei docenti per renderla capace di integrare la “canonica” lezione frontale;
– valorizzazione del modello del Istituto comprensivo, in modo che possa lavorare sul processo di apprendimento in una sorta di “filiera” del sapere;
– “essenzializzazione” del sapere: poche materie fondamentali (italiano, inglese, matematica e scienze) con altre opzionali.

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Sulla scuola media è ritornata recentemente, dalle pagine del “Corriere della Sera”, la giornalista Orsola Riva, che precisa di avere “due figli, Giorgio e Giulio, di 9 e 6 anni: entrambi iscritti alla scuola pubblica”. Nel novembre del 2013 è stata aperta, sul sito del “Corriere della Sera”, una sezione speciale sul mondo legato alla scuola media, a dimostrazione che il problema è particolarmente avvertito dall’opinione pubblica. Come leggiamo in un illuminante articolo (09/11/2013), le parole di Orsola Riva sono poco burocratiche, per niente professorali, ma sgorgano da una penna appassionata e battagliera.
Dai risultati dell’indagine PIRLS 2011 che fornisce una valutazione sulla literacy (competenze linguistiche) dei bambini di 10 anni, quelli italiani, a pari merito dei tedeschi, ottengono un punteggio medio di 541, staccando nettamente i coetanei spagnoli (513) e francesi (520). Ma se poniamo lo sguardo sui risultati di coloro che hanno svolto le medie e sono al biennio delle superiori, in base all’ultimo test Pisa svolto nei Paesi Ocse, si rimane sbigottiti: gli allievi italiani nel giro di pochi anni scalano in negativo la graduatoria, e di molte posizioni, per fermarsi ben al di sotto della media Ocse (486 contro 493 punti), sorpassati da inglesi (494), francesi (496), tedeschi (497). Sul podio dei vincitori salgono invece gli asiatici (Cina con 556 e Corea 539).
Ma se fuggiaschi della lingua italiana sono gli studenti italiani, tanto che Dante si rivolterebbe nel suo foscoliano sepolcro, in matematica e in scienze le cose non vanno meglio: dai risultati dell’indagine TIMSS 2011 i bambini italiani delle elementari si collocano abbastanza bene in matematica, sopra la media dei 500 punti (508) a differenza degli adolescenti che si piazzano, anche se di poco, sotto il valore di riferimento medio (a quota 498).

Orsola poi non risparmia nemmeno una frecciatina ai (noi) docenti (chi scrive è docente abilitato, regolarmente vincitore di concorso, e da 10 anni precario di lettere nelle scuole della Repubblica): “Andando a ricercare le cause di risultati così poco lusinghieri, nello stesso studio si vede come i preadolescenti italiani siano molto più a disagio dei loro coetanei a scuola. Una delle possibili ragioni di questo scollamento, indicata da più parti, sta nell’età avanzata dei docenti. Mancano, in generale, insegnanti giovani (l’età media in Italia è di oltre 50 anni contro i 43 della media europea) , anche per via del sistema di reclutamento legato alle liste del precariato. Professori anziani, con insufficienti conoscenze informatiche, che faticano ad entrare in contatto con i cosiddetti nativi digitali (come del resto faticano anche i loro genitori incapaci di trovare una strada per comunicare con i loro figli «marziani», tutti app, videogiochi e social network). Resta da spiegare come sia possibile che a 15 anni sei ragazzi su dieci non sappiano da cosa dipende l’alternarsi del giorno e della notte… “.

A questa domanda posta in maniera provocatoria dalla giornalista Riva non posso non rispondere citando una pagina scritta da Domenico Starnone, ancora più mordace e divertente se si ha in mente la scena in cui il professore di lettere in un istituto superiore è impersonato da Silvio Orlando nella commedia La scuola del 1995, per la regia di Daniele Lucchetti.
La citazione estesa (da Ex cattedra e altre storie di scuola, Feltrinelli, Milano 2011, pag. 193) è verosimile di ciò che accade nelle aule:

Gli insegnanti passano non poco tempo a registrare l’inefficienza dei loro colleghi. Passacaglia mi ha detto  di recente che gli alunni del collega Broccoletti non sanno nemmeno se il sistema tolemaico è ancora in vigore o è stato soppiantato da quello copernicano. Ha ghignato: ‘Sono andata a fare supplenza in una sua classe e ho chiesto “Perché il Re Sole si chiamava Re Sole?”. Gli alunni di Broccoletti hanno risposto  in ordine: a) perché un re, se è un vero re, è splendido; b) per via della corona d’oro che era stracolma di pietre preziose tutte scintillanti; c) perché c’è un errore di stampa sul libro di testo: non si faceva chiamare Re Sole, ma RE Solo, in quanto governò in solitudine e, per non essere disturbato, ordinò a tutti i nobili di ballare nella reggia di Versailles; d) perché fu l’inventore di certe famose pasticche per la gola. Non c’è stato uno solo studente che si sia fatto venire in mente che si faceva chiamare Re Sole perché attribuiva a se stesso la funzione del sole nel sistema copernicano. Passacaglia gliel’ha rivelato e poi ha chiesto: che fa il sole secondo il sistema copernicano? Confusione, parapiglia, disorintemento. E’ venuto fuori che la metà degli alunni credeva di vivere ancora col sole che gira intorno alla Terra; mentre l’altra metà tentava chiedendosi: il sole è fermo nel sistema  copernicano o in quello tolemaico? Siamo rimasti a criticare Broccoletti. Poi siamo passati a criticare molti colleghi del triennio, che non sono all’altezza. Subito dopo abbiamo tagliato i panni  addosso a quelli del biennio, che se facessero bene il loro lavoro, il nostro darebbe risultati migliori. Quindi siamo passati a dire male degli insegnanti della scuola media superiore, che a nostro parere trascorrono il tempo a girarsi i pollici. E per finire abbiamo detto malissimo degli insegnanti delle elementari che distribuiscono licenze a ragazzini incapaci di leggere e scrivere. Dopo questo sfogo, siamo andanti in classe più leggeri e contenti.

In base alla testimonianza di Starnone, gli studenti negli anni Ottanta non sapevano dell’esistenza della scoperta del sistema copernicano (siamo alle superiori), mentre negli anni Duemila gli studenti non sanno perché al giorno segue la notte (siamo alle medie)….ma perché tacere di un altro scandalo dell’ignoranza negli anni Novanta, quando cioè io andavo al liceo? Nel 1994 alcuni quindicenni non seppero rispondere alla domanda su chi fosse Badoglio durante una trasmissione televisiva…
Queste sono generalizzazioni, ovviamente, tratte dalla vulgata della stampa e delle pubblicazioni che informano anche l’opinione pubblica.
In un altro articolo di Riva e Fregonara sulle statistiche dei paesi OCSE (09/10/2013), il 44% della popolazione italiana non ha un diploma di scuola secondaria superiore. L’Italia è dietro Grecia (35,5%), Francia (28,4%), Regno Unito (23,6%) e Germania (13,7%).
Qualche anno fa qualcuno era solito dire: “L’italiano di ogni età, il nostro potenziale cliente: è uno scolaro delle medie inferiori, e non siede neppure nei primi banchi”. Era Silvio Berlusconi che parlava di fronte a un uditorio composto di promotori di Publitalia, l’agenzia che si occupa della raccolta pubblicitaria delle reti televisive Mediaset (le istruzioni di Silvio Berlusconi ai promotori di Publitalia si trovano in S. D’Anna, G. Moncalvo, Berlusconi in concert, London 1994. Per un confronto cfr: P. Corrias, M. Gramellini – C.Maltese, 1994: Colpo grosso, Baldini&Castoldi, Milano 1997).

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L’Italia degli anni Ottanta e Novanta è diversa da quella attuale sotto molti aspetti. La scuola deve trovare un modo adeguato per ritornare in sintonia con la società del terzo millennio e chiarire meglio la propria missione e identità per il futuro del Paese.
In questo quadro, evocato di sfuggita, la scuola media ha proprie peculiarità specifiche in quanto è l’anello di accordo e raccordo tra due momenti della vita di un individuo: dalla fanciullezza all’adolescenza, dalla scuola elementare alla scuola superiore.
Il giornalista Giovanni Floris, in un libro di qualche anno fa, ricorda un insegnamento inestimabile: “Alle medie io e un mio compagno ci prendemmo a botte per una cosa da poco: ci divise la bidella. Ero mortificato. La professoressa di Matematica (in genere fredda e distaccata) mi prese da parte e mi tranquilizzò: ‘Giovanni, non ti preoccupare. Tu ti preoccupi sempre troppo!’” (G. Floris, La fabbrica degli ignoranti. La disfatta della scuola italiana, BUR, Milano, 2010, pag. 4).
Il ricordo dal sapore deamicisiano ci riporta a un’esperienza comune di chi opera nella scuola media ogni giorno a contatto con preadolescenti, con la cosiddetta età incerta: un gran bollore di emozioni e sentimenti (cfr. S. Vegetti Finzi, A.M. Battistin, L’età incerta. I nuovo adolescenti, Mondatori, Milano, 2000; M. Marchegiani, A. M. Mazzucco, Fianco a fianco. Storie di preadolescenti a scuola, Armando, Roma 2012). Ad esempio, credo che occorra dividere il percorso formativo dei docenti, sviluppando competenze professionali e psicopedagogiche differenti tra quanti insegnano nelle scuole secondarie di primo grado e secondo grado; e in ciò mi trovo in pieno accordo, anche per esperienza diretta, con una delle proposte avanzate dalla Fondazione Agnelli (l’Ufficio dell’insegnamento medio del DECS e il Dipartimento formazione e apprendimento della SUPSI operanti nella Svizzera italiana organizzarono il 5 maggio 2012 una giornata di riflessione e confronto tra professionisti sul tema “Il profilo del docente di scuola media”. È possibile consultare gli atti qui).

In conclusione, io credo che una delle “emergenze” del sistema dell’istruzione italiana che merita senza dubbio un’attenzione prioritaria sia la scuola media, la maglia nera o anello debole del sistema dell’istruzione italiana.
Dopo il taglio delle ore della Riforma Gelmini, chiamate con eufemismo “razionalizzazioni”, parlare del taglio di un anno delle scuole superiori è quanto meno inopportuno se pensiamo allo stato peggiore in cui versa la scuola media, cui sia la stampa nazionale sia autorevoli istituzioni di ricerca “indipendenti” (e lo sottolineo!) hanno dato grandissimo risalto.
Mi chiedo se anche il Legislatore voglia ascoltare la voce di genitori e insegnanti per prendere tempestivamente l’occasione della Costituente della Scuola e ripensare la scuola media del terzo millennio.

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Marco Ricucci

Docente di Lettere nelle scuole medie, Dottore di Ricerca in Scienze dell’Antichità con una tesi sulla didattica delle lingue classiche presso l’Università degli Studi di Udine, e collabora con la CUSL (Consulta Universitaria degli Studi Latini) per la CLL (Certificazione Linguistica Latina).

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