Mi sono seduta al computer e mi sono detta: adesso scrivo. Adesso è il momento.
Mi sono seduta al computer scansando il volume 3 della mia antologia del liceo, che se la sfogli trovi i miei appunti ma soprattutto i disegnini, gli scarabocchi piccini che facevo a margine dei testi. Ho scansato l’antologia, ho aperto il documento bianco e mi sono messa a scrivere, perché ho sentito che è arrivata l’ora di farlo.
È da poco tempo che insegno, e mi fa ancora uno strano effetto sentirmi chiamare “prof.”, mi muovo tra i corridoi della scuola e a volte quasi mi dimentico di non essere più una studentessa. Ho passato tantissimo tempo della mia vita a studiare, ad ascoltare docenti, professori che ne sanno più di me, e adesso mi trovo in cattedra a scoprire che non è cambiato nulla: anche i miei ragazzi ne sanno più di me.
Mi piace entrare in classe e salutare, prima di tutto. Penso sempre che io a scuola non potevo quasi mai parlare di me, soprattutto dalle medie in poi. Il professore entrava, tutti al posto, aprire il libro e stop. Probabilmente in molti casi succede ancora così, ma a me piace salutare, guardare i ragazzi mentre si scrollano di dosso tutte le parole e l’atmosfera dell’ora precedente di lezione, mentre si rigenerano nei loro corpi, mentre si rimettono in movimento, riprendono contatto tra di loro, ritornano a essere ragazzi e non solo studenti. E se li saluto mi sembra quasi di fargli capire, come posso, che io li vedo. Li vedo tutti, con i loro ciuffi gellati, con i loro occhiali nuovi, con le loro mascherine colorate, con i loro pensieri in costruzione. E mi fa quasi ridere mettermi al loro posto, vedermi entrare in classe così come sono io, un po’ sbadata, un po’ ritardataria, un po’ imprevedibile. E pensare “eccola che arriva”.
Seduta al pc, con l’antologia, volume 3, che sto usando per studiare (eh sì, mi sa che non finirà mai) per un concorso che potenzialmente potrebbe risolvere la mia situazione di precaria, mi sono messa a scrivere perché ho pensato che sono fortunata.
La scuola è un posto bellissimo. Il mio, è un lavoro bellissimo.
Ed è bello sentirsi insicura, sentirsi all’inizio di un percorso, perché sento di poter fare di meglio. Sono grata all’io-studentessa che ancora abita in me, quella ragazza che criticava tanto e che amava osservare. Adesso sono sempre io, qualcuno potrebbe dire “dall’altra parte”, ma sarebbe una bugia. Il fatto è che non mi sento affatto separata dai miei ragazzi, sento che se li guardo bene, se li ascolto, saranno loro a indicarmi i passi da fare.