La polvere
 sotto il tappeto

Tempo di lettura stimato: 9 minuti
Quale pedagogia può contrastare 
il disadattamento scolastico e curare 
i mali endemici che affliggono la scuola italiana? Da «La ricerca» 23, “Mal di scuola”
Interno della scuola elementare di Chiarano, in Veneto (foto Portale Giovani Firenze).

Accade talvolta a scuola, di questi tempi, di avvertire la sensazione che qualcuno o qualcosa non sia come o dove dovrebbe essere: capita che ci si senta ostaggio di una presunta riconquistata normalità, di una ricomposizione degli eventi apparentemente verosimile, ma che alla prima “distrazione” del sistema si rivela incoerente, al di fuori di qualunque coordinata razionale. Tali sensazioni inducono a chiedersi se il concatenarsi delle circostanze della vita di ogni giorno, a livello individuale, collettivo e sociale, sia davvero tornato ad avere un significato coerente e rassicurante.

La ricerca di risposte suggerisce un’immagine, piuttosto scontata e prosaica in verità, che tuttavia ben esprime in termini visivi la presunta causa del nostro spaesamento: è l’immagine della polvere sotto il tappeto.

Negli ultimi anni (decenni?) noi, popolo della scuola, ci siamo abituati alla pratica del nascondere la polvere sotto il tappeto. Consuetudine, questa, all’apparenza economica e poco esigente, che richiede scarso impegno e pressoché nessuna competenza specifica, la quale, tuttavia, ci espone a un rischio insidioso: col tempo, può accadere che un evento inatteso e imprevedibile sollevi qualche lembo del tappeto, e la polvere torna a riaffiorare, abbondante e fastidiosa.

«Non c’è nascondiglio che regga il giudizio del tempo», ha scritto recentemente Michele Serra.

«Non c’è nascondiglio che regga il giudizio del tempo», ha scritto recentemente Michele Serra.
La pandemia da COVID-19 ha sollevato con violenza il tappeto della scuola, e la polvere nascosta sotto ci ha letteralmente sommersi. Una polvere fitta, densa, fatta di fragilità e problemi trascurati da decenni, che i recenti, drammatici eventi hanno portato alla luce, esacerbandoli, come sempre accade con qualsiasi avvenimento inatteso e tragico.

I mali che affliggono la scuola sono tanti, come ben sa chiunque della scuola sia attore, qualunque ruolo ricopra, di studente, docente o genitore. Essi angustiano più o meno indistintamente tutte le categorie in essa coinvolte, direttamente o indirettamente. Taluni genitori subiscono la scuola come “istituzione totale” (Goffman, 2010), un sistema dal carattere sempre più inglobante che fagocita le energie psichiche, fisiche, economiche dell’intera famiglia.

Molti docenti ne ricevono un profondo senso di frustrazione, oberati da richieste di impegno sempre crescenti, a fronte di esiti e gratificazioni spesso deludenti.
Fra gli studenti, è divenuto oramai endemico il fenomeno del “disadattamento scolastico”, una peculiare forma di senso di inadeguatezza alla scuola che nasce dalla discrepanza tra capacità, bisogni e interessi personali e le prestazioni che la scuola richiede (Parodi, 2022).

Come è noto, l’individuo raggiunge una condizione di benessere quando si adopera per vivere in conformità con il proprio autentico sé, per condurre un’esistenza “sintonizzata” su ciò che egli è realmente. Si percepisce benessere quando ci si impegna nel miglioramento personale, nel tentare di realizzare sé stessi e il proprio potenziale. Compito fondante dell’istituzione scolastica consiste appunto nel predisporre le migliori condizioni per favorire la piena e completa realizzazione dell’individuo, consentirgli di raggiungere e mantenere il proprio potenziale all’interno della società, accompagnarlo nel percorso di apprendimento e di sviluppo personale, orientarlo alla conquista di autonomia e responsabilità crescenti (CCNL dei Docenti, art. 26, 19 aprile 2018).

È, tuttavia, opinione diffusa e da molti condivisa che la scuola stia scavando un solco profondo tra sé stessa e i bisogni reali dei ragazzi: agli occhi di fruitori, operatori ed esperti, essa appare oggi sempre più inefficace nell’adempiere alla sua funzione originaria. Massimo Parodi la definisce «una sorta di satellite artificiale della società, in cui gli individui sono relegati per un addestramento all’esistenza invero estraniante che rifugge la realtà», di cui offre una simulazione distorta, nel migliore dei casi verosimile (Parodi, 2022). Grazia Honneger Fresco la descriveva come «il luogo del dovere e della socializzazione forzata, che privilegia l’attività di insegnamento rispetto a quelle creative ed espressive; dove i prodotti (scritti, parole) sono usati anche “contro di me” o per innalzare gerarchie…» (Fresco Honneger, 1990).

A un apprendimento significativo, che si verifica quando chi apprende decide di mettere i nuovi contenuti in relazione con le conoscenze che già possiede al fine di risolvere problemi nella realtà quotidiana, si va oramai sostituendo un apprendimento meccanico, che si realizza quando chi apprende memorizza le nuove informazioni senza collegarle alle conoscenze precedenti, o quando i contenuti di studio non hanno alcuna relazione con tali conoscenze e non risultano quindi significativi per lo studente, che non ne comprende l’utilità per i propri scopi.

La percezione del divario tra capacità personali e necessità contingenti e le prestazioni che la scuola richiede ostacola il benessere dello studente e lo espone a occasioni di grande sofferenza e frustrazione.

La percezione del divario tra capacità personali e necessità contingenti e le prestazioni che la scuola richiede ostacola il benessere dello studente e lo espone a occasioni di grande sofferenza e frustrazione. Ne deriva un profondo senso di non-competenza in ambito scolastico, che minaccia l’immagine di sé e la fiducia nelle proprie forze e capacità e si traduce in ansia da prestazione, paura del fallimento, dinamiche di elusione, tensione fra pari e con gli adulti di riferimento.

Il “disadattamento scolastico” si palesa nei ragazzi in disagio psico-fisico e nell’aumentata diffusione di disturbi specifici dell’apprendimento e di bisogni educativi speciali. Si assiste, inoltre, a un incremento del fenomeno della dispersione scolastica esplicita (abbandono della scuola), a cui si è gradualmente affiancata una dispersione “inapparente”, costituita da un livello scadente degli apprendimenti conseguiti da parte degli allievi i quali, pur frequentando, non possiedono né una preparazione adeguata né un titolo di studio che possa migliorarne la qualità di vita (Vertecchi, 2012).

Ci si chiede, dunque, se sia sufficiente interpretare la funzione docente in relazione a curricula, programmi e contenuti più o meno rinnovati; se le finalità della funzione docente siano perseguibili mettendo in atto quella che Paulo Freire definisce una pedagogia “depositaria”, che consiste nel “deposito” di un sapere preconfezionato, il quale transita dall’insegnante detentore della conoscenza al discente, somministrato a prescindere dal soggetto in apprendimento (Freire, 2011). Ci si interroga sulla necessità di porsi in relazione con i bisogni esistenziali degli studenti, che spesso non sono immediatamente coincidenti con quelli scolastici. Ci si domanda se e come si debba privilegiare la logica dell’apprendimento, che trova nella persona in formazione l’attore principale, rispetto alla logica dell’insegnamento, che accorda maggiore importanza al “pilotaggio” esterno.

La scuola rischia oggi di essere prigioniera degli assiomi di una pedagogia “verticale”, di abitudini di pensiero, logiche organizzative, pratiche didattiche consolidate, che influenzano, talvolta in modo inconsapevole, l’approccio del docente alla scuola, il suo stare e il suo agire all’interno del contesto scolastico. L’idea che tutti gli studenti debbano apprendere i medesimi contenuti con le stesse modalità, al medesimo ritmo e nello stesso tempo. La convinzione che la qualità dell’apprendimento dipenda principalmente, se non esclusivamente, dalla volontà dello studente, e che di conseguenza l’insuccesso scolastico derivi dalla sua inadeguatezza alla scuola. La visione entitaria dell’intelligenza, secondo cui le abilità cognitive di un individuo costituiscono un patrimonio genetico che egli riceve alla nascita e non sono passibili di modifiche e implemento attraverso stimolazioni ambientali ed esperienze (Dweck, 2000). La tendenza del docente a identificare l’autorità del sapere con la sua autorità funzionale, che oppone in forma di antagonismo alla libertà degli studenti (Freire, 2011).

All’interno di un contesto più o meno consapevolmente influenzato da tali convincimenti, anche la valutazione tradizionale concorre a porre gli studenti in una condizione demotivante: essi ricevono spesso «voti sul lavoro senza indicazioni di ciò che hanno fatto bene o di quali potrebbero essere i passi successivi nell’apprendimento e feedback che indicano solo quello che non si deve più fare, invece di descrivere che cosa si può fare. Gli studenti sono così responsabili del lavoro, ma non dispongono della conoscenza necessaria per migliorare». Eppure, «…noi tutti abbiamo un desiderio innato ad apprendere, nasciamo con una motivazione intrinseca. L’apprendimento è richiesto per la nostra sopravvivenza» (Stiggins, Arter, Chappuis e Chappuis, 2004, traduzione dell’autrice). Solo se il formatore lascia spazio al soggetto in formazione, quest’ultimo partecipa in modo essenziale alla costruzione del proprio percorso di apprendimento, attraverso l’acquisizione di consapevolezza di ciò che accade e la regolazione del percorso formativo. Il ruolo di protagonista affidato allo studente è funzionale a una condivisione del senso del lavoro didattico: comprenderne il significato da un lato determina una nuova disponibilità ad apprendere, dall’altro favorisce una finalizzazione riconoscibile del proprio impegno e dei propri risultati.

Su questa e altra polvere è sopraggiunta la pandemia da COVID-19, che ha sollevato con violenza i lembi del tappeto e ha esasperato fragilità e problemi.
I dati sulle conseguenze della pandemia sugli studenti sono abbondanti e accessibili a tutti. Per citare una sola fonte autorevole, un’indagine dell’Ospedale Pediatrico Giannina Gaslini di Genova rivela che, durante il lockdown, nel 71% dei bambini e dei ragazzi tra i 6 e i 17 anni sono insorte problematiche comportamentali, ansie, disturbi del sonno, irritabilità e sintomi di regressione. Nei mesi successivi, sono aumentati i comportamenti di ritiro e ansioso-depressivi, i problemi di attenzione e la difficoltà nella regolazione delle emozioni; l’osservazione in classe ha evidenziato un atteggiamento maggiormente passivo negli studenti, con permanenza di contenuti molto brevi.

Come detto, nessun nascondiglio resiste al giudizio del tempo. Non sarà, tuttavia, il tempo a disperdere la polvere nascosta sotto il tappeto: occorrerà portarla allo scoperto, renderla visibile e assumerne consapevolezza, per poterla dissipare.


Sonia Bacchi è stata ospite di Fahrenheit – Radio Tre, nella puntata del 30 gennaio, per un’intervista con Susanna Tartaro a partire da questo articolo. Il podcast della puntata è disponibile su RaiPlay Sound qui.


Bibliografia

S. Bacchi, S. Romagnoli, La classe senza voto, I Quaderni della Ricerca n. 48, Loescher, Torino 2019
C.S. Dweck, Teorie del sé. Intelligenza, motivazione, personalità e sviluppo, Erickson, Trento 2000
P. Freire, La pedagogia degli oppressi, Gruppo Abele, Torino 2011
H. Fresco Honneger, Per una scuola che rispetti il bambino, Gruppo Abele, Torino 1990
E. Goffman, Asylums, Einaudi, Torino 2010
M. Parodi, La scuola è sfinita, Edizioni la meridiana, Molfetta 2022
M. Serra, La polvere sotto il tappeto, “L’Amaca” del 6 luglio 2022, «la Repubblica» online
R. Stiggins, J. Arter, J. Chappuis, S. Chappuis, Classroom Assessment for Student Learning: Doing It Right Using It Well, Pearson Assessment Training Institute, Portland 2004
B. Vertecchi, La dispersione inapparente, in «EDUCAZIONE. Giornale di pedagogia critica», I, 2 (2012), pp. 109-120.

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Sonia Bacchi

è docente di Lettere presso il Liceo “Vincenzo Monti” di Cesena. Si è occupata di editoria scolastica, collaborando alla redazione di numerosi manuali per la scuola secondaria di primo e secondo grado. È stata referente del progetto “Ben-essere a scuola”, che ha sperimentato la didattica innovativa della valutazione senza voto. Insieme a Simone Romagnoli è autrice del Quaderno della Ricerca #48: «La classe senza voto»

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