La guerra fredda, l’Italia e i beni culturali

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Nel periodo della guerra di Corea, con la ricostruzione in atto, la minaccia di un nuovo conflitto spinse intellettuali, storici dell’arte e politici a sollecitare nuove misure difensive per il patrimonio artistico italiano.
L’arrivo di Winston Churchill e Harry Truman a Fulton, in Missouri il 5 marzo 1946 (https://winstonchurchill.org/resources/quotes/did-churchill-coin-the-term-iron-curtain/).

In questo periodo di tensioni internazionali con la Russia, e con l’accentuarsi dei contrasti fra Russia ed Europa, non può non tornare in mente il periodo storico della guerra fredda. Si parla già da qualche anno di una nuova guerra fredda, anche se ci sono studiosi che sostengono che in realtà non sia mai veramente terminata e che sia sempre rimasta latente, pronta a riesplodere sotto forme diverse.

«From Stettin in the Baltic to Trieste in the Adriatic, an iron curtain has descended across the Continent»: era stato Winston Churchill, nel suo discorso del 5 marzo 1946 al Westminster College di Fulton in Missouri, a fotografare la situazione di tensione che si era creata fra le due principali potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, con l’immagine della “cortina di ferro”. Da una parte i Paesi dell’Europa orientale, dall’altra il blocco delle democrazie occidentali. Lo stesso termine “Occidente” non era utilizzato per definire un’area geografica, ma per connotare un concetto ideologico e un sistema di valori. La pace fra le due grandi potenze contrapposte, Usa e Urss, sembrava garantita dal cosiddetto “equilibrio del terrore”, la minaccia costituita dall’arsenale nucleare di entrambi gli schieramenti.

La guerra di Corea, che vide anche l’intervento della Cina, rappresentò uno dei momenti più rischiosi della guerra fredda. Anche in questo caso, si tratta di un conflitto mai veramente concluso. Dopo la Seconda guerra mondiale, le forze di occupazione sovietiche avevano dato origine a un’amministrazione comunista nella Corea del Nord, e quelle americane a un’amministrazione filoccidentale nella Corea del Sud. Dopo vari scontri fra le due Coree, nel 1950 le truppe nordcoreane invasero la Corea del Sud e le Nazioni Unite votarono l’intervento in difesa della Corea del Sud. L’Italia non partecipò alla guerra in quanto sarebbe entrata nelle Nazioni Unite solo nel 1955, ma la paura generata dal nuovo, sanguinoso conflitto si ripercosse anche nel panorama politico e culturale italiano.

L’Europa usciva dalla Seconda guerra mondiale con il patrimonio culturale devastato. A pochi mesi dalla fine del conflitto, il 16 novembre 1945, era stata fondata l’UNESCO (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization), allo scopo di diffondere una solida cultura della pace e la collaborazione fra i popoli nelle aree dell’istruzione, della scienza, della cultura e della comunicazione: «since wars begin in the minds of men, it is in the minds of men that the defences of peace must be constructed», come dichiara il preambolo della sua Costituzione. La Costituzione fu ratificata da 20 Paesi, ma la divisione politica dell’Europa influì pesantemente sulla composizione degli Stati. Per motivi politici, inoltre, alcuni Stati si ritirarono nel corso degli anni, come gli Stati Uniti dal 1985 al 2003 (e ancora nel 2018, insieme a Israele), o il Regno Unito dal 1986 al 1997.

La prima Conferenza Generale dell’UNESCO alla Sorbona di Parigi, 20 novembre 1946 (foto ©UNESCO: Eclair Mondial, https://www.britannica.com/topic/UNESCO).

Nel periodo della guerra di Corea, con la ricostruzione in atto, la minaccia di un nuovo conflitto spinse intellettuali, storici dell’arte e politici a sollecitare nuove misure difensive per il patrimonio artistico italiano. A Firenze, nel 1952, il Comitato per la difesa delle opere d’arte richiamò l’attenzione sulla protezione delle opere d’arte mobili e sulla necessità di trovare ricoveri adatti in caso di una nuova guerra. Primi firmatari dell’ordine del giorno, in rappresentanza del Comitato, Piero Calamandrei, Ranuccio Bianchi Bandinelli e Roberto Longhi.

Il Comitato avvertiva il pericolo che la guerra fredda dilagante si potesse trasformare in una “guerra calda”. L’appello non raccolse molte adesioni nel mondo politico, ma nell’ambito della tutela del patrimonio artistico il pesante clima di tensione si tradusse in forti prese di posizione da parte degli studiosi italiani e in nuove richieste di progetti di protezione da parte del Ministero della pubblica istruzione, nell’eventualità di un nuovo conflitto. La tutela del patrimonio era infatti affidata alla Direzione generale Antichità e belle arti del Ministero della Pubblica istruzione, in quanto il Ministero per i Beni culturali e ambientali (oggi Ministero della Cultura) sarebbe stato istituito solo nel 1975.

Andavano predisposti nuovi rifugi per le opere d’arte mobili e piani per la protezione degli affreschi. L’idea era quella di staccare le pitture murali per renderle mobili e poterle così trasportare in luoghi sicuri. Il problema del distacco dei cicli affrescati a scopo di protezione era emerso più volte nel corso della Seconda guerra mondiale, con particolare riguardo alla Cappella degli Scrovegni di Padova affrescata da Giotto, ma se ne era parlato anche durante il primo conflitto, a proposito degli affreschi di Paolo Veronese nella Villa Barbaro a Maser, in provincia di Treviso. Il dibattito intorno alle possibili iniziative di protezione si svolse fondamentalmente sulle pagine della rivista “Il Ponte”, fondata a Firenze da Piero Calamandrei nell’aprile del 1945.

Mentre continuava il dibattito, le Soprintendenze ricevettero la circolare n. 89, 20 novembre 1950, con cui il Ministero della Pubblica istruzione sollecitava piani di emergenza per la protezione degli affreschi, immediati provvedimenti per il loro distacco e il ricovero in rifugi idonei. Le vaste campagne di distacco degli affreschi sostenute nel dopoguerra da Roberto Longhi, quindi, non erano solo il frutto di un dibattito interno al mondo dell’arte, ma rispecchiavano anche il crescente clima di tensione politica del momento.

Non era facile pensare di poter staccare interi cicli di affreschi in Italia, nemmeno i più preziosi. Già la Toscana, da sola, aveva un tale patrimonio di cicli affrescati da rendere impossibile anche solo l’idea di procurare il materiale necessario e il personale specializzato, di organizzare il trasporto e trovare i locali idonei ad accogliere gli affreschi. Senza contare che lo stacco degli affreschi avrebbe rappresentato l’indebolimento e, in molti casi, la perdita della pittura muraria del Tre e del Quattrocento, perché un affresco staccato non avrebbe potuto conservare la ricchezza originaria.

Nel 1951, nuove circolari ministeriali invitarono le Soprintendenze a predisporre adeguati rifugi per le opere d’arte mobili nell’eventualità di un nuovo conflitto. La progettazione di nuovi rifugi avrebbe comportato una spesa notevole, per questo il Ministero chiedeva alle Soprintendenze di valutare l’opportunità di utilizzare, adattandoli, i rifugi già esistenti, come grotte naturali, locali interrati e edifici particolarmente solidi.

Tutti erano perfettamente consapevoli che i provvedimenti adottati nel corso della Seconda guerra mondiale non sarebbero stati sufficienti a proteggere il patrimonio artistico nel caso di una nuova guerra, ma fortunatamente non ci fu bisogno di ulteriori protezioni. Con la Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, adottata all’Aja nel 1954, i paesi si dotavano del primo strumento internazionale dedicato esclusivamente alla materia. L’Italia ci aveva già provato nel 1949, presentando un progetto di convenzione che non ebbe seguito e, soprattutto, proponendo l’istituzione di un’Accademia internazionale della Pace, punto d’incontro fra gli studiosi dei vari paesi, chiamati a collaborare per salvaguardare il patrimonio culturale di tutta l’umanità e scongiurare, insieme, il pericolo di un nuovo, devastante conflitto.


Per approfondire:

Elena Franchi, L’“equilibrio del terrore”: i progetti di protezione del patrimonio artistico italiano nello scenario della guerra fredda, in Il «dono dei padri». Il patrimonio culturale nelle aree di crisi, a cura di E. Franchi, numero monografico di “Predella”, 6, 2012 (2017), pp. 51-67.

Elena Franchi, Il sogno degli umanisti: la proposta italiana di un’Accademia internazionale della Pace e di una Convenzione per la protezione del patrimonio artistico e culturale, 1949, in “Predella”, 47, 2020, pp. 147-165.

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Elena Franchi

È storica dell’arte, giornalista e membro di commissioni dell’International Council of Museums (ICOM).
Candidata nel 2009 all’Emmy Award, sezione “Research”, per il documentario americano “The Rape of Europa” (2006), dal 2017 al 2019 ha partecipato al progetto europeo “Transfer of Cultural Objects in the Alpe Adria Region in the 20th Century”.
Fra le sue pubblicazioni: “I viaggi dell’Assunta. La protezione del patrimonio artistico veneziano durante i conflitti mondiali”, Pisa, 2010; “Arte in assetto di guerra. Protezione e distruzione del patrimonio artistico a Pisa durante la Seconda guerra mondiale”, Pisa, 2006; il manuale scolastico “Educazione civica per l’arte. Il patrimonio culturale come bene dell’umanità”, Loescher-D’Anna, Torino 2021.
Ambiti di ricerca principali: protezione del patrimonio culturale nei conflitti (dalle guerre mondiali alle aree di crisi contemporanee); tutela e educazione al patrimonio; storia della divulgazione e della didattica della storia dell’arte; musei della scuola.

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