La formazione degl’insegnanti: l’importanza (e il gusto) di conoscerne la storia

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A fronte di un ritorno ciclico di posizioni intorno alle diverse variabili che comporta, da due secoli almeno, la preparazione degli insegnanti secondari, il contributo mostra il ruolo della storia a favore dell’acquisizione di una consapevolezza critica derivante dalla conoscenza delle linee evolutive del problema, che investe il corpo docente e, con esso, l’intero sistema scolastico. Dal numero 22 de «La ricerca», “Professione prof”.
Una foto di classe degli anni Quaranta – Wikimedia.

Eterni ritorni. Sembra quasi richiamare questa espressione lo storico che intenda passare in rassegna e confrontare atti e dichiarazioni del passato con quanto sta avvenendo (o non avvenendo) oggi in Italia in materia di formazione docente, specie per il grado secondario. L’enfasi posta sulla necessità di un percorso obbligato appositamente concepito in vista di una professionalizzazione altrimenti lasciata all’esperienza sul campo, le discordanze sui contenuti e sui tempi di tale training professionalizzante, l’imprescindibilità del tirocinio, la centralità dei saperi disciplinari rispetto, piuttosto, a una cultura trasversale comprendente tutte le scienze dell’educazione, e non soltanto le didattiche specifiche, sono questioni che, con andamento carsico, si ripropongono ogniqualvolta il legislatore metta mano al problema.

Intendiamoci, non che non lo abbia fatto anche di recente, anzi. Fatte salve le decisioni di questi giorni, cinque riforme in vent’anni, come ha ricordato poco tempo fa, tra il serio e il faceto, il musicologo Daniele Sabaino1, danno piuttosto l’idea di un arrancare sfiancante e a tratti disperato. Certo, il tramonto di una concezione “monumentale” di riforma, sull’esempio della legge Casati del 1859 o dei decreti Gentile del 1923, volta ad assicurare solidità al sistema mediante un insieme di regole uniformi, progettate ben prima che il “romanzo di formazione” di una generazione avesse inizio, ha lasciato spazio sul finire del secolo, anche a seguito dell’entrata in vigore dell’autonomia scolastica, a una progettualità in grado di adattarsi meglio al mutare delle condizioni2. In questo senso, i continui cambi di maggioranza al governo non han giovato, col risultato che il modello avviato nel 1998 con le SSIS, presto disconfermato e via via modificato, è divenuto di fatto incoerente con qualsiasi intenzione oggi lo ispiri.

Così, non di rado, ci capita di assistere alle recriminazioni dei laudatores temporis acti, per cui basta sapere per saper insegnare, come se un possibile bagaglio di competenze “tecniche” possa distrarre, anziché arricchire, l’aspirante professore dalla sua sacrosanta vocazione disciplinare3. Quale distanza intercorre fra le non lontane affermazioni dell’archeologo Salvatore Settis, già direttore della Scuola normale di Pisa («La sapienza specifica dell’insegnante diventa un bagaglio ingombrante, se ‘sapere la matematica’ – o la storia – conta poco o niente, se vale solo una tecnica dell’insegnare che è parente stretta della […] pubblicità»4) e le geremiadi del patriota risorgimentale Luigi Settembrini («Ci lamentiamo di non avere grandi uomini, ma noi facciamo di tutto per […] renderli proprio nani; noi non abbiamo innanzi alla mente altro tipo che quello del maestro elementare, e non ammiriamo altra scienza che il sistema metrico decimale»5)? Quanto spazio c’è fra la considerazione che della pedagogia avevano Alfredo Galletti e Gaetano Salvemini più di cent’anni fa («Il pedagogista è, almeno cinque volte su dieci, un disgraziato che non sa nulla di nulla, e pretende insegnare a tutti come si insegna ogni cosa»6) e quella che emerge oggi dalle parole d’intellettuali come Luciano Canfora, quando paragona l’«indottrinamento pedagogico» alla «teoria astratta del nuoto»7?

La sfida democratica

La verità è che la scuola, dagli anni Sessanta almeno, è molto cambiata. Non solo perché, con l’avvento dell’istruzione di massa e l’innalzamento dell’obbligo scolastico, anche le frange per tradizione escluse dalla Cultura (rigorosamente con la C maiuscola) hanno avuto accesso alle aule, e non più soltanto ai campi e alle officine come i Gianni della Lettera a una professoressa, ma anche perché il dover essere valoriale della scuola è mutato, verrebbe da dire per fortuna!

Uno sguardo più accogliente e inclusivo ha comportato la spinta verso la personalizzazione degli apprendimenti, pratica forse meno efficace di quel metodo razionale e precettistico al quale l’“Ottocento dell’alfabeto” ci aveva abituato8, ma di sicuro più vicina agli alunni reali, spesso così diversi dall’idea che il docente ha di loro. Tra questi ci sono poveri, stranieri, disabili…, soggetti che in un passato poi non tanto remoto la scuola teneva alla porta, come ricorda Massimiliano Fiorucci nella replica a Settis9.

D’altronde, crediamo noi oggi, come nell’ipotesi formulata per assurdo da Galletti e Salvemini nel 1908, «che, con la più larga dottrina e la migliore preparazione filosofica e la più serafica bontà di questo mondo, possa riuscire buon insegnante chi entri nella scuola senza essersi mai domandato a quale classe sociale appartengano gli alunni che egli dovrà educare; che cosa gli alunni di quella data classe sociale abbiano il diritto di chiedere alla scuola di Stato e che cosa lo Stato abbia il dovere di chiedere ad essi»10?

Bisognerà pure insegnare ai futuri insegnanti questo nuovo modo d’intendere le cose, e dunque offrire loro almeno un minimo di competenze pedagogiche, storico-educative, didattiche, valutative, psicologiche, sociologiche, antropologiche… Renderli, insomma, uomini e donne vocati alla ricerca, non tanto quella che li ha fatti all’università brillanti scopritori di un antico documento o di una formula matematica, e dediti a nient’altro, ma quella che porta «allo sviluppo di adeguati atteggiamenti sperimentali e metodologici di tipo scientifico», tali da accompagnare una più attenta considerazione dell’allievo «in tutte le dimensioni della sua esperienza», stimolando altresì una capacità matura d’intervenire, senza mai tradirli, «nella continua evoluzione dei curricoli»11. Il rischio sarà, altrimenti, quello di fallire davvero la missione di democratizzare l’istruzione, navigando fra condiscendenza e frustrazione e ridimensionando «le ambizioni e le esigenze nel tentativo di mascherare il proprio fallimento»12. Perché se è vero ciò che sosteneva già Gasparo Pecchioli, ordinario di pedagogia nella Normale granducale, che «altro è sapere per sé, altro sapere per i discepoli»13, problemi più complessi attendono oggi i docenti.

Quale sfida, ad esempio, ci lancia l’attuale processo di europeizzazione dell’istruzione, col suo sistema di “parole d’ordine”: competenze, innovazione, qualità, valutazione, apprendimento permanente? Si badi, non si tratta soltanto di uno spostamento d’asse dall’obiettivo principe di emancipare gl’individui a quello di supportare le economie di mercato, migliorando il capitale umano e rendendolo internazionalmente più competitivo. Come ha di recente osservato Rita Casale, il fenomeno sta determinando, se non ha già determinato, anche nella formazione insegnante l’abbandono dei canoni tipici dei singoli modelli nazionali a favore della realizzazione di programmi sovranazionali centrati appunto sull’idea di competenza, col conseguente trasferimento del problema da un piano disciplinare a uno di fatto operazionale14.

In aula, anni Trenta. Foto Wikimedia.

Piste storiografiche, consigli bibliografici

Su molti di questi argomenti è intervenuta, negli ultimi anni, una storiografia attenta a ricostruire gli aspetti profondi della questione. Nel maggio 2017, negli stessi giorni in cui usciva sulla «Gazzetta ufficiale» il decreto 59 del 13 aprile previsto dalla legge sulla “Buona scuola” e dedicato alla preparazione iniziale e all’accesso ai ruoli del personale docente della secondaria, a Pavia, presso il Collegio Ghislieri, veniva organizzato un convegno internazionale, grazie alla collaborazione fra l’Ateneo cittadino e l’Università di Wuppertal, in Germania. Al centro della discussione, in gran parte confluita in un volume edito da poco in doppia edizione italiana e tedesca15, stava la convinzione degli organizzatori – Monica Ferrari, Rita Casale ed io – che il problema andasse affrontato in termini culturali, nella comparazione fra modelli nazionali che hanno a lungo segnato il nostro sistema d’istruzione. Realtà quali il “seminario scientifico” o la “scuola normale”, per limitarci ad alcuni esempi, sono entrati nella tradizione italiana nel corso del XIX secolo dopo un processo di transfer, che li ha tradotti, “trasformandoli”, sulla base del nuovo contesto politico-istituzionale16.

A una prospettiva comparata ha guardato nel 2018 anche Francesco Magni, autore de La sfida del “caso” Inghilterra. Formazione iniziale e reclutamento dei docenti. L’anno successivo lo stesso tornava sull’Italia, conciliando «percorso storico e prospettive pedagogiche» in un libro, come il precedente, edito da Studium17.

Del resto, la parabola del professore, come quella del maestro, avrebbe potuto rappresentare un’utile traccia per seguire l’evolversi, in termini sociali e culturali in primis, del rispettivo segmento scolastico in età contemporanea, come testimonia, già nel 1959, la fortunatissima monografia di Antonio Santoni Rugiu su Il professore nella scuola italiana, più volte aggiornata fino al 2011, da ultimo con l’aiuto di Saverio Santamaita. In realtà, quel che seguì fu un vero e proprio «deserto storiografico», come lo definì nel 2004 Pietro Causarano, ricostruendo in sintesi il dibattito sulla formazione iniziale e continua degl’insegnanti secondari nell’Italia repubblicana: un silenzio, osservava, «tanto più stridente e inaspettato se pensiamo all’attenzione che comunque la storia della scuola secondaria e della sua sempre rinviata riforma ha suscitato in sede di analisi storica»18. Se infatti i contributi sulla preparazione iniziale, dall’Unità alle SSIS, furono rari (ricordo soltanto gli scritti di Genovesi, Raicich, De Fort e Betti, a cui sono da aggiungere un saggio specifico di Giulia Di Bello sulla professoressa e, da un certo momento in avanti, le prime ricognizioni sulla scuola di specializzazione all’insegnamento, a firma di Curti, Crivellari e Chiappano19), quasi del tutto assenti risultavano approfondimenti specifici o affreschi più generali sull’aggiornamento in itinere, con l’unica eccezione, mi pare, di Laporta e colleghi, nonché di Jetto sugli IRRSAE20.

Eppure, la formazione dei formatori, a qualsiasi livello, rappresenta da due secoli almeno uno dei principali ambiti d’intervento della pedagogia: basti pensare al target a cui è rivolta la letteratura di settore per rendersi conto della centralità del problema. Appunto a questi temi, che sono politici e culturali insieme, ho dedicato le pagine de La fucina dei professori. Storia della formazione docente in Italia dal Risorgimento a oggi21. Non a caso il libro ripercorre le principali tappe della vicenda anche sulla scorta di un recente schema offerto da Giuliano Franceschini circa il succedersi dei modelli d’insegnante: colto, competente, consapevole22.

Che senso ha, oggi, interrogarsi sul ruolo del professore come intellettuale23, nel momento in cui, in Italia e altrove, come nella Germania studiata da Casale, si è passati da una concezione della formazione centrata sulla Bildung a una basata, da un lato, sul concetto di “apprendimento” e, dall’altro, su quello di “professionalità” abbinato all’idea di competenza? Fino a che punto l’indagine storica si è soffermata sul cambiamento della “postura” professionale degl’insegnanti, sul costruirsi delle loro credenze, sulle attitudini richieste e manifestate nel corso del tempo, sul concetto di vocazione (termine che, ricordo, in tedesco coincide con quello professione: Beruf)…? Forse basterebbe conoscere la consistenza storica di un dibattito24 che, con poche varianti, attraversa tutta la scuola degli ultimi duecento anni per acquisire quanto meno una mente più lucida, consci che il passato non potrà, se non in forme del tutto nuove, ritornare.


NOTE

    1. D. Sabaino, La formazione degli insegnanti di scuola secondaria: anno ventesimo, riforma quinta, consultabile all’indirizzo https://www.saggiatoremusicale.it/2020/02/08/intervento-la-formazione-degli-insegnanti-di-scuola-secondaria-anno-ventesimo-riforma-quinta-2/.
    2. Cfr. B. Vertecchi, Dalle riforme monumento alla riforma progetto, in Id. (con la collaborazione di P. Lucisano, E. Nardi, I. Volpicelli), La scuola italiana da Casati a Berlinguer, FrancoAngeli, Milano 2001, pp. 9-66.
    3. Penso, per intenderci, alla nota tesi di P. Mastrocola: «Il mio mestiere […] non era insegnare: era insegnare letteratura italiana». P. Mastrocola, La scuola raccontata al mio cane, Guanda, Parma 2004, p. 69.
    4. S. Settis, Scuola, la catena del sapere spezzata, in «Il Fatto quotidiano», 15 marzo 2018.
    5. L. Settembrini, Scritti vari di letteratura, politica, ed arte, riveduti da F. Fiorentino, Morano, Napoli 1879, I, p. 78.
    6. A. Galletti, G. Salvemini, La riforma della scuola media. Notizie, osservazioni, proposte, Sandron, Milano [etc.] 1908, p. 406.
    7. L. Canfora, Salviamo la laurea magistrale, in «Corriere della sera», 19 dicembre 2021.
    8. Cfr. V. Schirripa, L’Ottocento dell’alfabeto italiano. Maestri, scuole e saperi, ELS La Scuola, Brescia 2017.
    9. «Il Fatto quotidiano», 17 marzo 2018. È noto che contro “le utopiche buone intenzioni della ‘scuola democratica’” si è scagliata negli ultimi anni l’intelligencija conservatrice, alla Galli della Loggia (L’aula vuota. Come l’Italia ha distrutto la sua scuola, Marsilio, Venezia 2019, p. 40 per la citazione) o alla Mastrocola-Ricolfi (Il danno scolastico. La scuola progressista come macchina della disuguaglianza, La Nave di Teseo, Milano 2021).
    10. Galletti, Salvemini, La riforma della scuola media cit., p. 406.
    11. C. Pontecorvo, Insegnanti e riforme, in «Scuola e città», 25 (1974), 11-12, p. 509.
    12. A. Bentolila, La scuola contro la barbarie, prefazione di B. Vertecchi, trad. it. Anicia, Roma 2021, p. 32.
    13. G. Pecchioli, Orazione letta nella solenne apertura della Regia Scuola Normale a dì 15 Novembre 1847, Tip. Pieraccini, Pisa 1847, p. 12.
    14. R. Casale, La “spedagogizzazione” della formazione degli insegnanti in Germania e la scienza dell’apprendimento come disciplina di riferimento dalla fine degli anni Novanta a oggi, in M. Ferrari et al. (a cura di), La formazione degli insegnanti della secondaria in Italia e in Germania. Una questione culturale, FrancoAngeli, Milano 2021, pp. 264-279.
    15. Ferrari et al. (a cura di), La formazione degli insegnanti cit., in Germania col titolo Kulturen der Lehrerbildung in der Sekundarstufe in Italien und 
Deutschland. Nationale Formate und “cross culture”, Julius Klinkhardt, Bad Heilbrunn 2021.
    16. Cfr. R. Cowen, Transfer, Traslation and Transformation: Re-Thinking a Classic Problem of Comparative Education, in A.R. Paolone (a cura di), Education Between Boundaries. Comparazione, etnografia, educazione. Atti del Convegno internazionale di studi (Udine, 30-31 maggio 2008), Imprimitur, Padova 2010, pp. 43-53.
    17. F. Magni, Formazione iniziale e reclutamento degli insegnanti in Italia. Percorso storico e prospettive pedagogiche, Studium, Roma 2019.
    18. P. Causarano, La formazione e l’aggiornamento degli insegnanti secondari nell’Italia repubblicana: una prima ricognizione, in G. Bosco, C. Mantovani (a cura di), La storia contemporanea tra scuola e università. Manuali, programmi, docenti, Rubbettino, Soveria Mannelli 2004, p. 182.
    19. G. Genovesi, I professori, in T. Tomasi et al., La scuola secondaria in Italia (1859-1977), Vallecchi, Firenze 1978, pp. 33-87; M. Raicich, Scuola, cultura e politica da De Sanctis a Gentile, Nistri-Lischi, Pisa 1981; E. De Fort, I professori, in C.G. Lacaita, M. Fugazza (a cura di), L’istruzione secondaria nell’Italia unita. 1861-1901, FrancoAngeli, Milano 2013, pp. 88-102; C. Betti, La formazione professionale degli insegnanti in Italia fra attese, arresti e svolte, in «Mizar. Costellazione di pensieri», 1 (2015), pp. 33-40. Inoltre, G. Di Bello, La professionalizzazione delle insegnanti della secondaria, in E. Becchi, M. Ferrari (a cura di), Formare alle professioni. Sacerdoti, principi, educatori, FrancoAngeli, Milano 2009, pp. 492-499. Sulle SSIS, L. Curti, Le Scuole di specializzazione nell’insegnamento secondario (SSIS). Storia, problemi, prospettive, in «Il Mestiere di storico», 2000, 1, pp. 114-134; C. Crivellari, Le scuole di specializzazione all’insegnamento universitario. Un lungo e faticoso cammino, ivi, pp. 91-106; Id., SSIS: il quadro istituzionale, in G. Bonetta et al. (a cura di), Università e formazione degli insegnanti: non si parte da zero, Forum, Udine 2002; pp. 25-35; A. Chiappano, La genesi delle scuole di specializzazione all’insegnamento secondario nella storia della scuola italiana, in «Il Protagora», s. V, 31 (2003), 1-2, pp. 331-368.
    20. R. Laporta et al., Aggiornamento e formazione degli insegnanti, La Nuova Italia-RCS Libri, Milano 2000; A. Jetto, L’evoluzione storico-istituzionale degli IRRSAE, in «Rivista dell’istruzione», 1986, 3, pp. 293-305.
    21. Scholé, Brescia 2021.
    22. G. Franceschini, Colto, competente o consapevole? Modelli di insegnante a confronto, in «Studi sulla formazione», 22 (2019), 2, pp. 253-270.
    23. Cfr. R. Luperini, Il professore come intellettuale. La riforma della scuola e l’insegnamento della letteratura, Lupetti, Milano – Manni, Lecce 1998
    24. Sulla storia della scuola e della professionalità docente a servizio della preparazione iniziale degl’insegnanti del grado secondario, cfr. da ultimo A. Gaudio, Le discipline storico educative nella formazione degli insegnanti secondari, in «Nuova secondaria Ricerca», 6 (2022), pp. 285-291.

 

Una foto di classe di un istituto magistrale, anno 1956-57.

 

 

 

La formazione degli insegnanti 
di scuola secondaria in Italia: una storia in 12 tappe1844

A Torino il cremonese Ferrante Aporti apre la prima scuola di metodo a carattere universitario per la preparazione dei maestri elementari. Il corso, istituzionalizzato l’anno successivo, è frequentato anche da professori del grado medio.

1846

A Pisa, sotto il governo granducale, rinasce la Scuola normale per l’insegnamento secondario, erede dell’istituto fondato da Napoleone nel 1810 e aperto nel 1813 come succursale della Normale di Parigi.

1862

A pochi mesi dalla proclamazione dello Stato unitario, i ministri Francesco De Sanctis e Carlo Matteucci presentano alle Camere due progetti di legge riguardanti la creazione di scuole normali, su modello della realtà pisana.

1875

Il ministro Ruggiero Bonghi istituisce scuole di magistero nel seno delle facoltà di Scienze e Lettere.

1920

Il ministro Benedetto Croce sopprime tali scuole, più volte riformate, sostituendole con corsi di esercitazioni scientifiche o pratiche presso le università e gl’istituti d’istruzione superiore del Regno.

1998

Dopo decenni di stallo, nascono le Scuole di specializzazione all’insegnamento secondario (SSIS), stabilite con legge del 1990.

2003

La riforma Moratti prevede di sostituire le SSIS con lauree specialistiche abilitanti all’insegnamento, a cui si aggiunge un anno di tirocinio. Il provvedimento non è attuato a causa del cambio di maggioranza politica.

2008

Le procedure per l’accesso alle SSIS sono sospese.

2011

Nelle more di un più generale processo di revisione della formazione iniziale e del reclutamento dei docenti, è istituito il Tirocinio formativo attivo (TFA), incoerentemente sganciato dalle lauree magistrali.

2013

Sono varati i Percorsi abilitanti speciali (Pas), riservati a professori già in servizio, sprovvisti di abilitazione e in possesso dei requisiti richiesti.

2017

La legge Renzi sulla “Buona scuola” fissa che l’accesso ai ruoli del personale insegnante della scuola secondaria avvenga tramite concorso, previo possesso di una laurea magistrale e dopo l’acquisizione di 24 cfu nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche. Segue, per i vincitori del concorso, un percorso triennale di formazione iniziale, tirocinio e inserimento nella funzione docente (FIT).

2018

Il governo Conte abolisce definitivamente il FIT, mai attuato, mantenendo in vita il Percorso formativo 24 cfu.

 

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Matteo Morandi

È dottore di ricerca in Storia (Pisa 2006) e in Istituzioni, idee, movimenti politici nell’Europa contemporanea (Pavia 2013), è ricercatore di Storia della pedagogia all’Università di Pavia, dove insegna anche Pedagogia generale. Studioso di storia della scuola e dei processi formativi tra Otto e Novecento, è autore, tra l’altro, de La fucina dei professori. Storia della formazione docente in Italia dal Risorgimento a oggi (Scholé 2021). Con M. Ferrari, R. Casale e J. Windheuser ha curato, sempre nel 2021 presso FrancoAngeli, La formazione degli insegnanti della secondaria in Italia e in Germania. Una questione culturale.

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