Ci sono cose che dobbiamo imparare. Tutte le altre le insegniamo perché le sappiamo già.
Insegniamo la coniugazione dei verbi irregolari, il periodo ipotetico, coordinate e subordinate; prepariamo i compiti per verificare che i congiuntivi risuonino al posto giusto, poi li correggiamo armati di una dotazione identica di disillusione e speranza.
Polito dorme. Così sembra. Si appoggia la testa sul braccio, ciondola, socchiude gli occhi. È troppo piccolo per stare in questa classe, ancora immaturo per parole così pesanti. Non riesce ad afferrarle e quindi si annoia: giochicchia con l’astuccio, il righello, una strisciolina di carta strappata dal quaderno. Oppure dorme, quel sonnecchiare nascosto che gli permette di sopravvivere fino all’ora successiva, fino all’intervallo. Non è possibile, non è permesso.
– Polito – dico. È un avvertimento. Non vorrà certo un’altra nota sul diario.
Si raddrizza con la schiena, spalanca gli occhi, fa cadere dal banco il quaderno, le penne, tutto.
– Che c’è?
La classe scoppia a ridere. Gli scrivo la nota sul diario.
Scriviamo alla lavagna Io sono amato. Lo decliniamo per tutte le persone sul quaderno. La pagina è divisa a metà: i tempi semplici a sinistra, i composti a destra. Accanto al presente scriviamo il passato prossimo: Io sono stato amato. La parte destra del foglio è sempre quella più triste.
– Polito, scrivi.
Lui riprende la penna. Scrive.
Io ero amato. Io ero stato amato.
Fuori si è alzato il vento ma nella classe non si sente altro che il rumore delle penne.
Io fui amato. Io fui stato amato.
Il segreto della forma passiva è tutto nell’ausiliare. Il verbo non importa davvero: è messo lì al fondo, al participio passato, e quello che conta è solo essere coniugato in tutti i modi e i tempi.
Loro scrivono, sorridono, fanno di sì con la testa. Hanno capito.
Tutti tranne Polito.
– Prof., ma com’è possibile?
– Polito, scrivi.
Io sarò amato.
– È il futuro passivo. Scrivi.
– Prof, ma non si può dire! Come si fa a sapere che sarò amato?
Guardo il futuro passivo alla lavagna. Non importa se questo amore non esiste. La lingua vuole la possibilità di esprimere tutto, anche quello che non si realizza.
– Non importa, Polito – comincio ma poi, per un attimo, incrocio i suoi occhi supplici.
– Ma certo che sarai amato, Polito – dico. – È sicuro.
Lui ci pensa poi fa di sì con la testa, scrive. Ha capito.