La relazione educativa base del buon apprendimento

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“Non possiamo insegnare a un’altra persona direttamente; possiamo solo facilitare il suo apprendimento”, C. R. Rogers. “Un vero professore si preoccupa di comprendere il dolore e la solitudine di un bambino che non capisce in un mondo di ragazzi che capiscono”, D. Pennac.

 

Ritengo che queste due affermazioni  servano a costruire il setting entro il quale si sviluppa la relazione insegnante-allievo con o senza DSA. La relazione educativa è già di per sé un una componente molto delicata della vita in classe; se aggiungiamo la particolare situazione che vive un alunno con DSA, la qualità del rapporto discente-docente diviene fondamentale per la soluzione o la riduzione del problema. Anche la giurisprudenza prende in considerazione questo aspetto: cito, a titolo di esempio una sentenza del T.A.R. Lombardia (30/01/2011), relativa al caso di uno studente dislessico, ingiustamente respinto all’esame finale: “la valutazione negativa formulata nei confronti di un ragazzo molto giovane per il mancato superamento dell’anno scolastico determina, secondo comune esperienza, uno stato d’animo di angoscia e frustrazione perché a risultarne colpita è l’immagine che l’individuo ha di sé. Il detrimento del sentimento di autostima si ripercuote sulla personalità e può anche acuirsi con il tempo. Del resto, l’inferenza di tale rischio è confermato anche nelle citate disposizioni di legge nelle quali si afferma che le difficoltà di apprendimento derivanti dalla dislessia possono comportare gravi ricadute a livello personale quali l’abbassamento dell’autostima, depressione e comportamenti oppositivi che possono a loro volta comportare un abbandono scolastico o una scelta di basso profilo rispetto alle potenzialità”. Si è avuto, in particolare, espresso riguardo “alla fragilità della struttura psichica di un soggetto molto giovane che accentua ogni trauma emotivo” e si è considerato “il tipo di lesione la cui consistenza va apprezzata non solo al momento del fatto ma anche per il fatto di essere destinata a ripercuotersi, per il futuro, lungo tutta la vita scolastica del danneggiato”.

La recente pronuncia del T.A.R. Liguria – Sez. II (29/02/2012 n. 349) parimenti riconosce che “la non promozione, specie se percepita e vissuta come conseguenza di un agire illegittimo ed ingiustificato, costituisce un evento che incide profondamente nella sfera morale dell’interessato, provocando un notevole stato di sofferenza interiore che va risarcito per se stesso, a prescindere dalla questione del danno esistenziale, e sulla base di un criterio probatorio che tenga conto sia del carattere intimo del pregiudizio sia del fatto che la sussistenza dello stesso può normalmente essere presunta in relazione a determinate tipologie di illecito”.

Un esempio citato dalle Linee guida è quello del turista che si trova in Paese straniero e non ne conosce la lingua in uso. “Immaginiamo di trovarci in un posto con una lingua totalmente diversa o che non riusciamo a ben comprendere: sentiamo sorgere un senso di profondo disagio perché manca una comunicazione completa, reale, intima. Ma riusciamo a tranquillizzarci perché il nostro soggiorno avrà termine e, con il rientro a casa, potremo tornare ad esprimerci, a parlare in rapporto allo stesso quadro di riferimento, a trovare uno scambio vero, uno scambio pieno. Pensiamo invece al disagio di questi bambini che non possono tornare a casa, in un mondo dove devono rincorrere punti di riferimento… che rimangono stranieri, soprattutto se noi siamo per loro stranieri, chiudendoci nell’incomprensione”.

I bambini affetti da uno o più Disturbi specifici di apprendimento sono soggetti normodotati che, secondo le ricerche attualmente più accreditate, sono affetti da un disturbo di origine neurobiologica, che ha matrice evolutiva e si mostra come un’atipia dello sviluppo. Si tratta di un disturbo che può presentarsi isolatamente o insieme agli altri (in tal caso si parla di “comorbilità”), che è “modificabile attraverso interventi mirati”. In questo contesto alla scuola viene assegnato il compito fondamentale di effettuare, attraverso l’osservazione, l’identificazione dei casi sospetti e la conseguente messa in atto delle attività di recupero didattico mirato. Anche, anzi, soprattutto in questi casi l’apprendimento non è “mero condizionamento e assimilazione passiva di contenuti preconfezionati”, ma per la forte componente di attivazione emotivo-cognitiva “rappresenta una sfida e un’avventura che implica un atto di fiducia che consiste nel coraggio di tuffarsi nell’incerto e nell’ignoto” (C. De Marco, Educazione e scuola).

La relazione educativa è stata intesa come un “contatto d’anime”. Spesso, però, viene tenuta in scarsa considerazione la componente emotiva, che deve invece rappresentare la base da cui partire per impostare tutta la relazione con l’alunno: partire dall’emozione per creare emozioni. Dal momento che l’individuo forma la propria identità attraverso un processo unitario “sinergico e interfunzionale”, fondato sull’interazione fra le singole dimensioni della personalità: “un’affettività piena, autentica, sicura finisce con l’esercitare inevitabilmente una positiva influenza sulle altre dimensioni della personalità: da quella intellettuale a quella corporea, sociale[…]” (M. Badiali, SSIS Toscana). Bloom, infatti, ritiene che esista uno stretto rapporto che lega affettività, motivazione e apprendimento, poiché le variabili affettive esercitano un’azione rilevante nei processi di conoscenza, comprensione e socializzazione che avvengono nell’ambiente scolastico.

La risonanza emotiva, pertanto, può divenire il “clou” del processo didattico ed un prezioso strumento di conoscenza per l’insegnante, se usato con oculatezza, senza cedere a facili quanto immotivati ottimismi, date le implicazioni strettamente personali presenti nel rapporto.

Ecco perché quando nel contesto-classe si assiste al deterioramento del tessuto relazionale, alla comunicazione che diventa inefficace nonché alla messa in gioco del delicato rapporto “autorità dell’insegnante-libertà dell’alunno”, la relazione insegnamento-apprendimento assume toni negativi. Così il disagio dell’alunno che si accompagna a quello dell’insegnante, rende la scuola un luogo privo di interesse: l’unico modo per evitarlo è strutturare una scuola che non sia esclusivamente il luogo dell’acquisizione delle conoscenze, affinchè esse non siano prive dei significati affettivi ed emotivi che, al contrario, hanno. “Occorre,pertanto, privilegiare il dialogo”, poiché l’affettività è “maieutica di apprendimento: l’insegnante affettivo nell’azione educativa deve percorrere l’itinerario del dialogo, della reciprocità e dell’integrazione comunicativa. L’apprendimento nasce attraverso un processo che è affettivo e cognitivo insieme, e quindi solo un insegnante autorevole e antiautoritario, che possieda, oltre a nozioni e valori, una mentalità aperta e una capacità critica, permette ai propri allievi, attraverso la partecipazione attiva e la corresponsabilità e la cooperazione (si veda, ad es., il cooperative learning), di sviluppare interessi e strutture psichiche (cognizioni,abilità, convinzioni), anche perché laddove si presenti una partecipazione affettiva all’esperienza apprenditiva ci sarà una maggiore fissazione dell’appreso, che si legherà più facilmente alla rete cognitiva del soggetto” (M. Melani).

Come afferma C. Rogers, la scuola non è solo il luogo dove si impara, ma è anche l’ambiente in cui dobbiamo far entrare le nostre emozioni, la nostra esperienza e il nostro vissuto; la capacità di ascolto attivo, di comprensione delle dinamiche di gruppo e la disponibilità a mettersi in gioco devono essere tra le competenze principali del docente.  L’insegnante deve rivelare il suo volto umano, incoraggiando l’alunno ad aprirsi attraverso l’ascolto empatico e stimolandolo nel suo cammino di scoperta e di conoscenza di sé. Nel contempo, l’atteggiamento empatico dell’insegnante non può  sfociare nella smobilitazione della sua assertività educativa, della sua autorevolezza, della capacità di contenimento del gruppo classe in un contesto di regole e di impegni.

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Ugo Avalle

Pedagogista-formatore e docente a contratto presso l’Università degli studi di Torino.

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