A proposito di alunno “certificato”

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Nelle classi delle scuole dei nostri tempi, il numero degli alunni che “non hanno voglia” né di studiare né di frequentare le lezioni aumenta sempre più (forse il fenomeno è meno evidente nella scuola primaria) e l’impegno dei docenti consiste nel reperire le forze umane e metodologico-didattiche che consentano loro di far raggiungere a ogni alunno gli obiettivi fissati.

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A seguito anche dei tagli che sono stati effettuati nei confronti della scuola, le possibilità di avere degli insegnanti che si dedichino in modo particolare a quegli alunni che presentano delle difficoltà di un certo rilievo diminuiscono notevolmente. Ecco perché nelle nostre classi cresce il numero degli alunni BES (bisogni educativi speciali) con i quali ci si deve relazionare in modo personalizzato all’interno del contesto comune della classe. Principio pedagogicamente corretto, ma che per essere applicato compiutamente e in forme adeguate, richiede un impegno ulteriore ai docenti, già oberati da molti altri problemi. Definire e ricercare i bisogni educativi speciali non significa “fabbricare” alunni diversi per poi emarginarli o discriminarli in qualche modo; significa rendersi conto delle varie difficoltà, grandi e piccole, per sapervi rispondere in modo adeguato (Janes 2005).

Tra gli alunni che hanno bisogno di un’attenzione particolare, ve ne sono molti che presentano uno o più DSA: una parte di essi ha una certificazione in base alla quale vengono attivati gli interventi e le risorse previste dalla normativa, un’altra parte (sempre più crescente) presenta sempre difficoltà di apprendimento che non sono associabili (o che non vengono associate sia a seguito di “ resistenze” da parte dei famigliari dell’alunno, sia perché sono scarse le risorse economiche per retribuire uno specialista)a situazioni di handicap e per i quali, quindi, non vengono attivati sostegni specifici (cfr. l’articolo di Giorgio Israel apparso su Il Foglio del 21 aprile 2011). Questi soggetti manifestano quelle che sono definite “problematiche emozionali”: dall’ansia alla vergogna, dalla rabbia alla scarsa autostima che interferiscono profondamente con la capacità di apprendimento, con l’attenzione e provocano inibizione e insicurezza. Il disturbo specifico di apprendimento – lettura, scrittura, calcolo, attenzione – può essere considerato come una condizione complessa (comorbilità), dove s’incontrano la componente cognitiva e quella affettiva, che s’influenzano tra loro.

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Ugo Avalle

Pedagogista-formatore e docente a contratto presso l’Università degli studi di Torino.

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