“L’invisibile ovunque”, di Wu Ming

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L’ultimo libro del collettivo Wu Ming dedicato alla prima guerra mondiale, alla scoperta di un legame inedito e “surreale” fra letteratura, arte e guerra.

Un’opera antiretorica
È nelle librerie dallo scorso novembre 2015, edito da Einaudi, l’ultimo oggetto narrativo non identificato dalla collaudata officina di scrittura collettiva Wu Ming, intitolato L’invisibile ovunque: si tratta – secondo la definizione degli autori – del “libro più sottile” che abbiano scritto fino ad ora e raccoglie tre testi narrativi e una prova saggistica al solito ibrida e anomala rispetto ai canoni tradizionali.
Il tema comune è quello della prima guerra mondiale; lo scopo, quello di uscire dal coro della retorica celebrativa legata al centenario del conflitto che ci ha visti vincitori per offrire, attraverso la storia di quattro protagonisti, punti di vista ancora una volta sghembi e storti su avvenimenti appiattiti da interpretazioni troppo superficiali e di comodo. Preludio a questa “progressione in quattro movimenti”, era uscito a giugno 2015 un reportage di Wu Ming 1, Cent’anni a Nordest: viaggio fra i fantasmi della guera granda; se ne può leggere la versione a puntate sul sito della rivista “Internazionale”, a partire dal 16 marzo.

Mi è capitato anche in passato di proporre agli studenti liceali la lettura di opere firmate dal collettivo Wu Ming: di Manituana, di Timira, di Point Lenana, fino all’ultima fatica, L’Armata dei Sonnambuli: con grandi difficoltà e con soddisfazioni anche maggiori, a dimostrazione che il canone che esclude dalle aule la contemporaneità e l’attualità letteraria può felicemente e proficuamente essere forzato – ne sono testimonianza i documenti video di presentazione dei libri e di interviste agli autori conservati nell’archivio del Liceo in cui insegno (oltre ai video riferiti all’anno scolastico 2012-2013).

Ora, tuttavia, L’invisibile ovunque sembra fatto davvero apposta per essere proposto agli studenti di quinta che si preparano all’Esame di Stato per le dimensioni agili di ciascuna sezione, che può essere proposta ai ragazzi anche singolarmente ed armonizzarsi con le cogenti necessità di svolgere lo sterminato programma (che non si chiama più così, ma tale rimane), ma soprattutto perché affronta contenuti interdisciplinari e mostra ad ampio spettro dove sta andando la letteratura dei nostri giorni, quella dell’ipermodernità, nell’ambito specifico della narrazione storica in cui il collettivo si è distinto nell’arco di un ventennio, fin dagli esordi di Q, edito con il nome di Luther Blissett.

Quattro storie, quattro autori, quattro protagonisti
L’invisibile ovunque inventa quattro personaggi letterari, uno per ciascun capitolo, che sperimentano “diverse strategie di resistenza all’orrore” della prima guerra mondiale. Wu Ming ci ha abituati a romanzi corali, e passa ora a narrazioni storiche brevi e individuali. Ma non si tratta dell’unica novità: benché battezzata dall’intero collettivo, per la prima volta, pur condividendo un progetto comune, ciascuno dei quattro membri ha scritto un racconto che è stato semplicemente riletto dagli altri.

Nel primo “movimento” Adelmo, un contadino, sceglie di far parte degli Arditi per compensare un’esistenza grigia, ma soprattutto per evitare l’anonimato logorante della trincea: siamo nel campo della narrativa pura, tradizionale e con stile ruvido e evocativo nel contempo si esplorano le misteriose dinamiche che si scatenano quando un’anima semplice incontra quello che i Greci chiamavano kairós.

Secondo narra di Giovanni, della sua scelta sofferta di trovare scampo dalla trappola mortale della guerra simulando una follia di cui resterà infine prigioniero, vittima di visioni che riaffiorano alla sua mente attraverso rievocazioni di miti classici. Le suggestioni di quei racconti senza tempo si innestano nella storia dei personaggi di nuova invenzione, caratterizzata anche dalla presenza di stralci di relazioni psichiatriche, diari e altri documenti storici d’archivio (puntualmente richiamati nelle note conclusive): l’intarsio fra fiction e non fiction costituisce la peculiarità di tante costruzioni narrative degli ultimi anni secondo il modello della docufiction.

Il terzo tassello di questa controstoria del primo conflitto mondiale è la vicenda di Jacques Pierre Vaché ricostruita a distanza di decenni, nel 1949, dalla sorella Marie-Louise, che allo scopo incontra André Breton.
Vaché, che militò nel dipartimento della Marna e fu ferito sul campo, è autore di una serie di sorprendenti lettere dal fronte ed era in amicizia con Breton: con lui aveva condiviso uno sguardo ironico e paradossale sul mondo. Primogenito di una famiglia borghese, trovò una scandalosa morte ad appena ventitré anni. La scrittura del racconto si adatta al tema e al contesto narrato, ha un’impronta allucinata e surreale, anche dovuta al fatto che della vicenda, storicamente accaduta, sfuggono le precise dinamiche.
A margine di questo racconto, sarà utile sottolineare che fra le Avanguardie del Novecento, a fronte di un Futurismo che predicava la guerra come igiene del mondo, il Surrealismo ebbe atteggiamento di segno opposto, come si evince anche dall’ultimo capitolo del volume.

Quarto, infatti, ricostruisce la vicenda di Francesco P. Bonamore e collega vicende francesi e italiane, storie di artisti impegnati al fronte e di generali esaltati. Il soldato Bonamore, pittore surrealista di qualche valore, avrebbe partecipato alla battaglia del San Michele e manifestato in tale occasione una spiccata attitudine al camuffamento, che non passò inosservata. Fu inviato dai suoi superiori in Francia per perfezionarsi presso la sezione dell’esercito francese specializzata nel camouflage militare e organizzò un Laboratorio di mascheramento a Udine: Bonamore non dedicava i suoi sforzi a salvare pezzi di artiglieria, si preoccupava piuttosto di proteggere l’incolumità dei soldati, mascherando le trincee grazie a enormi teli con giochi prospettici di scuola cubista, approntando kit di camuffamento rapido da includere nell’equipaggiamento dei soldati o, ancora, attivando per la truppa corsi di avviamento al mimetismo. Lo scopo dichiarato era quello di insegnare ai militi “a diventare terra”, a praticare “la massima adesione al paesaggio e la massima separazione mentale dal medesimo”, trasformando l’azione militare in gesto artistico, lo schieramento offensivo in un mascheramento per la sopravvivenza.

Niente poteva essere più indigesto allo Stato maggiore dell’Esercito italiano che prediligeva su tutte la tattica folle dell’espugnazione della sommità, dell’assalto diretto, dello slancio eroico nel disprezzo del pericolo. Queste “logiche vettoriali e ascendenti”, come è noto, hanno condannato migliaia di uomini, già stremati dalla vita di trincea, al massacro e hanno contribuito a moltiplicare atti di autolesionismo e di diserzione, puniti con misure severissime, come la pratica della decimazione.

  • xLa cover del volume edito da Einaudi
  • xVita di trincea
  • xJacques Vaché, Lettres de guerre, Paris, K éditeur, 1949
  • xUna delle lettere illustrate di Vaché
  • xAlbero di avvistamento ad Armacourt nel 1915 (copyright: Agence photographique de la Réunion des musées nationaux)
  • xLa nave Pegasus (1917) con esempio di «Dazzle Painting»
  • xE. Lussu, “Un anno sull’altipiano”, Einaudi, Torino 1945
  • xBeppe Fenoglio, “Un Fenoglio alla prima guerra mondiale”, Einaudi, Torino 2014

Un falso d’autore
Quarto è un mockumentary, un saggio in cui eventi fittizi sono presentati come reali: il pittore surrealista Francesco Bonamore non è mai esistito. Wu Ming dichiara di essersi ispirato a certi racconti di Borges, di aver preso spunto da La letteratura nazista in America di Bolaño per realizzare un’operazione di sabotaggio, non nuova per chi nel passato si è dedicato con notevole successo a beffe mediatiche che si sono ormai circondate di un’aura leggendaria.

Anche nel romanzo L’Armata dei Sonnambuli, come si evince dai Titoli di coda, gli autori hanno mescolato ad arte fonti d’archivio reali e inesistenti per congegnare il loro intreccio e lanciare una sfida ai lettori, così da renderli guardinghi e attivi nella fruizione del testo in una forma feconda di transmedialità della letteratura che invita il pubblico ad entrare nel gioco. La ricerca infruttuosa di tracce in rete della biografia di Bonamore, delle immagini delle sue tele surrealiste Soldati nella neve e L’albero in fiore, dei saggi critici a lui dedicati e citati nel racconto, costituisce la “prova del nove” a cui Wu Ming affida il disvelamento della beffa. Sarà un’esperienza istruttiva per gli studenti assistere a un esperimento che evidenzia le debolezze del sistema mediatico in cui siamo immersi, nella quale è fin troppo facile credere alle storie, alle notizie e alle informazioni che entità subdole quanto anonime (non sempre anonime, in verità) confezionano e diffondono per scopi non sempre filantropici, per usare un eufemismo.

Ma se così sono resi evidenti i pericoli dello storytelling, d’altra parte la vicenda del pittore-soldato Bonamore dimostra in modo surreale che per arrivare alla verità bisogna talvolta forzare la realtà, lasciare spazio all’immaginazione e all’intuizione: per usare una frase che si trova in esergo al romanzo Timira, e che può funzionare anche per il saggio d’invenzione che chiude L’invisibile ovunque, “questa è una storia vera, comprese le parti inventate”.

Echi di Lussu e Fenoglio
L’ultima riflessione a margine della lettura di questo recentissimo prodotto letterario, L’invisibile ovunque, riguarda la straordinaria consonanza che vi ho ritrovato con due libri sulla prima guerra mondiale cui sono particolarmente affezionata per il realismo anti-retorico che li percorre: Un anno sull’altipiano di Emilio Lussu uscito in Italia nel 1945 e i racconti Un Fenoglio alla prima guerra mondiale, pubblicati postumi nel 1973 e dedicati alla saga familiare della generazione che ha preceduto Beppe.

Sono innumerevoli gli spunti dal bellissimo romanzo autobiografico di Lussu, un miscuglio micidiale di fango, piombo, sangue e alcool. Metto in fila solo alcune frasi colte qua e là.
“La vita di trincea, anche se dura, è un’inezia di fronte a un assalto. Il dramma della guerra è l’assalto. La morte è un avvenimento normale e si muore senza spavento. Ma la coscienza della morte, la certezza della morte inevitabile, rende tragiche le ore che la precedono.” (E. Lussu, Un anno sull’Altipiano, Torino, Einaudi, 1945, p. 108-109).
E ancora: “Una vita sconosciuta si mostrava improvvisamente ai nostri occhi. […] Il nemico, il nemico, gli austriaci, gli austriaci!… Ecco il nemico ed ecco gli austriaci. Uomini e soldati come noi, fatti come noi, in uniforme come noi, che ora si muovevano, parlavano e prendevano il caffè, proprio come stavano facendo, dietro di noi, in quell’ora stessa, i nostri stessi compagni” (ibidem, p. 134).
Poco oltre “Avevo di fronte un ufficiale, giovane, inconscio del pericolo che lo sovrastava. Non lo potevo sbagliare. Avrei potuto sparare mille colpi a quella distanza, senza sbagliarne uno. Bastava che premessi il grilletto: egli sarebbe stramazzato al suolo. Questa certezza che la sua vita dipendesse dalla mia volontà, mi rese esitante. Avevo di fronte un uomo. Un uomo! Un uomo! […]Condurre all’assalto cento uomini, o mille, contro cento altri o altri mille è una cosa. Prendere un uomo, staccarlo dal resto degli uomini e poi dire: «Ecco, sta’ fermo, io ti sparo, io t’uccido» è un’altra.” (ibidem, p. 137).

Quanto a Fenoglio, il volume sopra citato non è fra i capolavori dello scrittore di Alba: contiene appunti in forma narrativa nei quali si dedica ampio spazio a Amilcare e Osvaldo Fenoglio. Entrambi combatterono in trincea e si caratterizzarono per notevole spirito anticonvenzionale. Osvaldo, in particolare, dichiara partendo per il fronte: “Se loro son matti io non lo sono. Per non partecipare a questa matteria sono disposto a tutto, anche a passare per matto” (cit., p. 174). Ritornerà presto a casa, dopo aver convinto tutti di essere completamente sordo: una sordità in primo luogo ai miti della bella morte, un gesto etico, che significa rifiuto della violenza e della guerra.

Una dedica, col cuore
Dedico questa recensione a Maria Donata Burri, collega carissima di storia dell’arte che ci ha da poco lasciati. Con lei negli ultimi anni ho condiviso prospettive e itinerari didattici, con lei spesso ho discusso di libri. Lei, che mi ha fatto riscoprire le Avanguardie del Novecento, avrebbe apprezzato in modo particolare Quarto.
So che sentirò pungente la sua mancanza quando arriverà il momento di svelare ai nostri studenti l’inedito rapporto fra letteratura, arte e guerra che L’invisibile ovunque in modo così suggestivo illumina.

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Claudia Mizzotti

Già bibliotecaria, insegnante di Lettere italiane e latine nel liceo e formatrice, è autrice Loescher di un manuale di storia.

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