L’inclusione degli alunni disabili

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Una scuola inclusiva è una scuola che pensa e progetta tenendo a mente proprio tutti. L’inclusione degli studenti con disabilità nella scuola italiana si attua da ormai quarant’anni. Vediamo come: dal numero 14 de «La ricerca», “Corpi intelligenti”.
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Un momento di una partita di pallavolo seduta, Wikimedia commons.

Ai docenti della scuola italiana oggi si richiede di rispondere ai diversi e specifici bisogni di ogni singolo alunno. Gli attuali orientamenti nell’ambito pedagogico e didattico, infatti, affermano la dignità della diversità, valorizzandola come risorsa per l’intero gruppo classe, in grado, attraverso la valorizzazione delle potenzialità di ciascuno, di diventare una classe inclusiva. Il compagno o la compagna disabile diventa un soggetto attivo, che potrà portare agli altri la propria disabilità.
Una scuola inclusiva è una scuola che pensa e progetta tenendo a mente proprio tutti, partendo dalla modifica del contesto e non agendo solo sul soggetto, ma trovando strategie specifiche, adatte alla disabilità, utili alla collettività. Nella scuola inclusiva hanno diritto e dignità di personalizzazione e individualizzazione «tutti gli studenti intesi come persone»1.
Oggi si parla di inclusione, ma precedentemente venivano usati i termini inserimento e integrazione. Quali differenze si riscontrano?

Negli anni Settanta in Italia, la chiusura delle scuole speciali (L. 517/1977) ha portato all’inserimento degli alunni disabili nelle classi comuni. Con gli anni e l’avanzare della ricerca pedagogica, il termine “inserimento” venne considerato troppo statico e incapace di esprimere il lavoro di co-educazione esistente tra gli alunni.
Per questo motivo si è passati a parlare di “integrazione”, termine che meglio esprimeva l’idea che il compagno disabile non solo era fisicamente presente in classe, ma condivideva l’attività didattica dei compagni, integrandosi, appunto, al lavoro della classe con le dovute modifiche, riduzioni, adattamenti e il supporto dell’insegnante di sostegno.
A partire dalla metà degli anni Novanta, però, si cominciò a interrogarsi sulla valenza del termine “integrazione”, che rischiava di assumere connotati negativi, puramente compensatori, dimenticando aspetti unici legati alla persona umana, quali l’originalità, l’autenticità e la libertà. In quest’ottica è nato il termine “inclusione”, con l’intento di evidenziare una reciproca permeabilità e scambio tra alunni con potenzialità diverse all’interno di una stessa classe.

L’inclusione è un fenomeno biunivoco, in cui non solo il compagno disabile si adatta al comportamento dei compagni non disabili, ma anche l’intera classe deve sforzarsi di adattarsi e comprendere la disabilità del compagno, imparando e cambiando mediante l’esperienza con le persone con disabilità e viceversa. Con il nuovo termine di “inclusione”, quindi, si intende un processo, una filosofia dell’accettazione, ossia la capacità di fornire una cornice dentro cui gli alunni possano essere ugualmente valorizzati, trattati con rispetto e forniti di uguali opportunità. Si tratta di un approccio globale, non unicamente centrato sul singolo disabile, ma che si rivolge a tutti gli alunni e a tutte le loro potenzialità2.

L’inclusione nelle scienze motorie e sportive

L’inclusione degli studenti con disabilità nella scuola italiana si attua da ormai quarant’anni nella scuola regolare e nelle classi normali, e si realizza mediante l’individualizzazione e la personalizzazione delle attività didattiche, partendo dalle differenze e dalle potenzialità di ogni alunno disabile, valorizzate nel contesto del gruppo classe.
Nel processo di individualizzazione della didattica si prevedono, per gli alunni disabili, attività necessarie affinché sia possibile raggiungere conoscenze e abilità comuni al resto della classe. Obiettivi comuni, quindi, al gruppo classe, ma metodologie diverse, individualizzate, che tengano conto delle potenzialità, capacità e abilità personali dell’alunno disabile, che divengono risorsa, tentando di eliminare i fattori che originano o mantengono la difficoltà.
Una didattica personalizzata prevede invece il raggiungimento di obiettivi differenti da quelli della classe, perché costruiti ad hoc sulla disabilità del singolo alunno, valorizzandone i punti di forza. In questo modo, considerando specificamente l’abilità diversa dell’alunno come una peculiarità sua propria, sarà data all’alunno la possibilità di sviluppare appieno le proprie potenzialità e dargli l’opportunità di trasmettere la propria abilità diversa agli altri.

Prima di parlare di inclusione nelle scienze motorie e sportive curriculari italiane, bisogna chiarire due concetti fondamentali che la riguardano, quali APA e APE.
L’Attività fisica adattata (APA) «individua un’area interdisciplinare di saperi e attività che include le attività di educazione fisica, tempo libero, danza, sport – fitness, riabilitazione per individui con impedimenti di qualunque età e lungo il ciclo della vita»3.
L’Educazione fisica adattata (APE) è quella praticata nel contesto scolastico dagli studenti con bisogni educativi speciali e disabili. Nasce negli anni Cinquanta in America e alcuni la considerano come una specializzazione dell’APA, una «sottodisciplina dell’Educazione Fisica generale che si occupa in modo particolare dell’educazione fisica per gli studenti con disabilità», che «permette le esperienze di sicurezza, personale soddisfazione e successo agli studenti con differenti abilità»4. 

Cosa significa adattare nelle scienze motorie e sportive? Significa cambiare, modificare in relazione ai dati osservati e alle potenzialità della persona disabile. L’adattamento è «l’arte, la scienza del saper controllare e modificare le variabili del movimento, in modo da ottenere i risultati voluti»5. Gli adattamenti per favorire la partecipazione degli alunni disabili alle attività motorie e sportive possono essere di tre tipologie: educativo/metodologico (didattica e metodologia); tecnico (regole e regolamenti); strutturale (attività motoria creata per una specifica tipologia di disabilità, come, ad esempio, il torball), come citato nella Carta europea dello sport per tutti. Le persone con disabilità (Consiglio d’Europa, 1987).

Gli adattamenti o modificazioni sono di grado diverso in relazione alle caratteristiche della disabilità e alle potenzialità del singolo soggetto6.
Le modificazioni possono essere minime, moderate e considerevoli.
Gli adattamenti promuovono nel disabile sicurezza, divertimento e successo nelle attività; possono riguardare prassi e procedure quali: la dose/risposta, l’ambiente e i materiali, l’organizzazione, le condizioni esecutive, le scelte metodologiche.

Il docente di scienze motorie e sportive quindi, nella sua progettazione, deve cercare degli obbiettivi per l’alunno disabile che si avvicinino il più possibile a quelli della classe o, viceversa, in una relazione reciproca. La didattica inclusiva si realizza mediante:
– la cultura del compito, che prevede che tutto il gruppo in apprendimento partecipi al processo di insegnamento-apprendimento.
– l’analisi del compito (task analysis) che prevede che i compiti complessi vengano destrutturalizzati e scomposti in compiti più semplici.

L’integrazione degli alunni disabili, regolamentata dalla legge 104/92, viene attuata compilando i seguenti moduli: DF o Diagnosi funzionale, PDF o Profilo dinamico funzionale, PEI o Piano educativo individualizzato. Il docente di scienze motorie e sportive partecipa alla progettazione e stesura di tali documenti che vengono redatti per l’alunno disabile, dando indicazioni rispetto allo sviluppo senso-percettivo, abilità motorie, condizione fisica, autonomia, abilità relazionali, rispetto delle regole.

Come progettare un percorso motorio per l’alunno disabile? Seguendo questi step successivi:
– analisi della situazione, dei bisogni, potenzialità e difficoltà del soggetto;
– competenze, abilità e conoscenze possedute a livello motorio;
– definizione degli obiettivi;
– pianificazione delle attività;
– descrizione delle attività, contenuti del percorso;
– adattamenti alle attività (correzione, assistenza, linguaggio);
– indicazioni metodologiche;
– modificazioni della programmazione (minimali, parziali, totali);
– strumenti e criteri di valutazione;
– verifica e valutazione.

Di seguito una breve descrizione di tre sport adattati: il baskin, il sitting volley e il torball.

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Un momento di una partita di torball, Wikimedia commons.

Baskin

Il baskin (abbreviazione di basket integrato) è un gioco a squadre pensato per far giocare insieme nella stessa squadra ragazzi disabili e non disabili. È uno sport che prende spunto dalla pallacanestro, della quale utilizza la struttura generale, mantenendone gli obiettivi, ma ne cambia le regole adattandole ai vari tipi di disabilità presenti. Possono giocare gli alunni con qualsiasi tipo di disabilità (fisica e/o mentale), purché capaci di tirare a canestro. Il gioco nasce a Cremona nel 2001 presso la scuola media “Virgilio” come attività extracurricolare e coinvolge  un gruppo misto di circa 12/13 ragazzi dei quali 5 con diversi tipi di disabilità. Nel 2006 è nata l’Associazione baskin onlus che costituisce il riferimento di questa attività. Il regolamento è composto da 10 regole che valorizzano il contributo di ogni ragazzo/a all’interno della squadra: il successo comune, infatti, dipende realmente da tutti. Vengono adattati:
– il materiale: si usano più canestri, due normali e due laterali più bassi (eventualmente sostituiti da scatoloni); è possibile sostituire la palla da mini-basket con una di dimensione e peso diversi;
– lo spazio: sono previste zone protette per garantire il tiro nei canestri laterali;
– le regole: ogni giocatore ha un ruolo definito dalle sue competenze motorie e ha di conseguenza un avversario diretto dello stesso livello. Questi ruoli sono numerati da 1 a 5 e hanno regole proprie;
– le consegne: è possibile assegnare un tutor, un giocatore della squadra che può accompagnare più o meno direttamente le azioni di un compagno disabile.

Sitting volley (pallavolo seduta)

Il sitting volley è uno sport derivato dalla pallavolo, inventato in Olanda nel 1957 come sport adattato per la pratica sportiva delle persone diversamente abili, e deriva dalla combinazione della pallavolo tradizionale con un gioco tedesco chiamato “palla seduta” (Sitzbälle). Consiste in una pallavolo giocata stando seduti sul pavimento, con il campo ridotto e la rete più bassa.

La formazione della squadra è simile a quello della pallavolo normale: i giocatori sono seduti per terra disposti su due linee come nella pallavolo (prima e seconda linea), le posizioni in campo dei sei giocatori sono determinate dall’appoggio del gluteo sul pavimento e non dalla posizione di mani e gambe. Lo scopo del gioco è quello di inviare la palla sopra la rete, affinché cada a terra nel campo rivale, e di evitare che ciò avvenga sul proprio campo. La palla si mette in gioco con la battuta, e ogni squadra ha a disposizione tre tocchi per rinviarla nel campo avversario. L’azione di muro per intercettare la palla non è conteggiata come uno dei tre tocchi. È possibile effettuare un muro quando la palla è nella prima linea del campo avversario, cercando di intercettare la palla al di sopra della rete. I giocatori di seconda linea devono difendere i palloni attaccati dagli avversari e passare la palla per l’alzatore, ma non possono attaccare in prima linea. In fase difensiva i giocatori attendono a muro la palla e si posizionano in modo adeguato per intercettare l’attacco avversario. Si può effettuare il muro anche con una sola mano.

L’azione termina quando la palla tocca terra o finisce fuori dal campo, o quando l’arbitro fischia un fallo. Viene utilizzato il sistema di punteggio Rally point system (RPS), cioè si assegna il punto all’attacco e alla difesa se la palla non ritorna nel campo avversario. Quando la squadra sbaglia servizio, gli avversari prendono un punto, e la battuta in questo caso passa all’altra squadra. Nel momento in cui la squadra in ricezione vince uno scambio e il servizio, le posizioni dei giocatori devono ruotare di un posto in senso orario. 

Torball (palla rotante)

Il torball è un gioco sportivo a squadre per non vedenti, in cui si fronteggiano due team composti ciascuno da 3 giocatori (con 3 riserve). È lo sport più praticato dai non vedenti in Italia, e prevede l’impiego di un pallone sferico di 500 grammi al cui interno sono presenti dei campanelli, in modo che il suono, e quindi la traiettoria del pallone, siano percepiti e intuiti dai giocatori.

Il campo di gioco, diviso in due metà da tre cordicelle tese dotate di campanellini, è lungo 16 metri e largo 7 metri. La porta ha la stessa larghezza del campo e un’altezza di 1,30 metri.

I giocatori (che possono essere non vedenti assoluti o ipovedenti) sono dotati di una benda oculare che impedisce completamente la vista e hanno come punto di riferimento un tappetino che consente l’orientamento. Lo scopo è tirare con le mani la palla verso la porta avversaria per segnare i gol facendola passare sotto le cordicelle che dividono il campo. Se il pallone tocca le cordicelle, si commette un fallo, con conseguente uscita momentanea di chi ha effettuato il tiro per la durata dell’azione successiva (punizione a tempo fermo) in modo da scontare la penalità; ogni tre falli si assegna un rigore agli avversari (punizione di squadra a tempo fermo con un solo giocatore per squadra in campo). La partita dura 10 minuti effettivi di gioco ed è divisa in due tempi; le punizioni si eseguono a tempo fermo. Vince la squadra che totalizza il maggior numero di reti.


Il Comitato paralimpico italiano (CIP) e le Special Olympics

I ragazzi con disabilità sono inclusi nel percorso dello sport, a tutti i livelli e lungo l’arco della vita, mediante organizzazioni sportive e federazioni sportive, tra cui CIP (Comitato paralimpico italiano) e Special Olympics. Diverse le premesse, diversa la filosofia che muove le due organizzazioni. Mentre il Comitato paralimpico opera coerentemente con i criteri dei Giochi olimpici con gare competitive riservate ai migliori, Special Olympics è un programma educativo che propone e organizza allenamenti ed eventi solo per persone con disabilità intellettiva e per ogni livello di abilità ovunque nel mondo e a ogni livello (locale, nazionale ed internazionale). Le manifestazioni sportive sono aperte a tutti e premiano tutti, sulla base di regolamenti internazionali continuamente testati e aggiornati.

Grazie all’approvazione del Decreto legislativo n. 43 del 27 febbraio 2017, il Comitato italiano paralimpico ha ottenuto il riconoscimento formale di Ente pubblico per lo sport praticato da persone disabili, mantenendo il ruolo di Confederazione delle federazioni e discipline sportive paralimpiche, sia a livello centrale che territoriale, con il compito di riconoscere qualunque organizzazione sportiva per disabili sul territorio nazionale e di garantire la massima diffusione dell’idea paralimpica e il più proficuo avviamento alla pratica sportiva delle persone disabili.

IL CIP disciplina, regola e gestisce le attività sportive per persone disabili sul territorio nazionale, secondo criteri volti ad assicurare il diritto di partecipazione all’attività sportiva in condizioni di uguaglianza e pari opportunità. Per quanto riguarda l’agonismo di alto livello, il CIP coordina e favorisce la preparazione atletica delle rappresentative paralimpiche delle diverse discipline, in vista degli impegni nazionali ed internazionali e soprattutto dei Giochi paralimpici, nelle stesse sedi e strutture utilizzate per le Olimpiadi.
Il CIP riconosce 28 Federazioni sportive paralimpiche, 8 Discipline sportive paralimpiche, 13 Enti di promozione sportiva paralimpici, 5 Associazioni benemerite.
I valori che ispirano il suo operare sono quelli della piena, possibile e, anzi, doverosa integrazione delle persone disabili nel tessuto sociale attraverso la pratica sportiva, strumento di benessere psicofisico.
La sua mission è garantire a tutti i soggetti disabili, in ogni fascia di età e di popolazione, a qualunque livello e per qualsiasi tipologia di disabilità, il diritto allo sport, quale formidabile mezzo di crescita personale attraverso la sfida con se stessi e collettiva e attraverso l’in- contro-confronto con l’altro, affinché ciascuna persona disabile abbia l’opportunità di migliorare il proprio benessere, recuperare la propria autostima e trovare una giusta dimensione nel vivere civile.

Le Special Olympics 

Special Olympics è un movimento globale di allenamenti e competizioni per persone con disabilità intellettiva che, attraverso questa proposta, possono vivere quotidianamente momenti di sport e manifestazioni in cui liberare la gioia di fare attività fisica e sperimentare nuove discipline. Il fine è l’utilizzo dell’attività motoria per il miglioramento dell’autonomia e delle condizioni di vita delle persone con disabilità intellettiva e delle loro famiglie, ponendoli nelle condizioni di ottenere le giuste occasioni di gratificazione e riconoscimento sociale. Special Olympics consente di sperimentare le diverse abilità, creando occasioni di conoscenza e quindi di maggiore disponibilità all’accoglienza della diversità in generale.
La fondatrice di Special Olympics è Eunice Kennedy Shriver, che nel 1968 diede il via ufficiale al movimento con i primi Giochi internazionali di Chicago, in Illinois.
Il giuramento dell’atleta Special Olympics è: «Che io possa vincere, ma se non riuscissi che io possa tentare con tutte le mie forze».
I programmi di Special Olympics sono adottati in più di 172 Paesi. Si calcola che nel mondo ci siano 5.657.652 atleti, 627.452 famiglie e 1.156.397 volontari che ogni anno collaborano alla riuscita di 108.821 grandi eventi nel mondo.
Special Olympics è riconosciuto dal Comitato olimpico internazionale, così come dal Comitato paralimpico. 

Special Olympics Italia 

Special Olympics Italia ONLUS, Associazione benemerita del CONI e del CIP, è presente in Italia da 34 anni e opera in tutte le regioni, dove i team locali seguono l’allenamento degli atleti nel rispetto dei programmi internazionali e attraverso convenzioni stipulate con alcuni tra i maggiori Enti di promozione sportiva italiani. 

I potenziali beneficiari del programma in Italia sono più di 1.000.000 e sono circa 16.500 gli atleti aderenti al programma, in circa 180 eventi organizzati annualmente di cui 45 tradizionali e 135 unificati. Gli atleti partecipano ogni anno ai Giochi regionali e nazionali delle varie discipline. Rappresentative italiane gareggiano, inoltre, nei Giochi europei e mondiali, estivi e invernali. Sono circa 4.500 i volontari di cui il 70% proveniente da istituti scolastici, circa 3.000 i famigliari e 1.100 gli allenatori.
Special Olympics in Italia è particolarmente attivo nei Progetti scuola, volontari e Unified Sports®.


NOTE

1. L. 53/2003; L. 104/1992; L. 170/2010; C.M. 06/03/2013.
2. P. Vicari, Attività fisica adattata. Buone prassi per l’inclusione, G. D’Anna, Firenze 2017; Legge quadro 104/1992, MIUR 2009-Linee guida per l’integrazione scolastica e degli alunni con disabilità, ONU 2006-Convenzione ONU dei diritti delle persone con disabilità ratificata con legge 18/2009, Legge 107/2015 La Buona Scuola-Inclusione e equità.
3.  K. De Pauw, S. Gavron, Disability Sport, Human Kinetics Publishers, Champaign (Illinois) 2000.
4. J.P. Winnick, Adapted Physical Education and Sport, Human Kinetics Publishers, Champaign (Illinois)  2005.
5. C. Sherill, The physical self: From motivation to well-being, Human Kinetics Publishers, Champaign (Illinois) 1997.
6. S. Cazzoli, Scuola Inclusiva, 2014, p. 42-43, in L’educazione fisica che vogliamo. Nuove competenze motorie dai 3 ai 19 anni, CAPDI. 

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Federica Pramaggiore

È insegnante di scienze motorie e sportive presso il liceo scientifico sportivo “A. Pacinotti” di La Spezia.

Paola Vicari

È insegnante di scienze motorie e sportive e APA, e co-autrice della monografia “Nuova APA per l’inclusione. Attività fisica adattata nell’educazione fisica e sportiva”, CAPDI &LSM (Confederazione associazioni diplomati ISEF e laureati scienze motorie), Mestre-Venezia 2018.

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