Insegnare l’editing #1

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Prima lezione di editoria: differenze tra testo, opera, libro; la struttura della casa editrice; la presentazione e la scheda editoriale.

 

 

Da alcuni anni, grazie a un paio di amici, tengo dei corsi di comunicazione editoriale rivolti agli studenti delle superiori o dell’università. Si tratta di corsi in cui metto a frutto la mia esperienza di editor, nei due sensi che il termine inglese ha assunto in Italia: da un lato quello di direttore editoriale (essendo titolare di una piccola casa editrice di Milano, la Albe Edizioni) e dall’altro quello di chi si occupa di editing, cioè lavora con autrici e autori, a volte già affermati, a volte aspiranti esordienti, alla revisione e alla messa a punto del loro testo in vista della pubblicazione.

Vorrei raccontare qui, in estrema sintesi (lo spazio e il tempo sono lussi rari…), qualche passaggio delle mie lezioni, sperando che queste poche pagine forniscano ai colleghi insegnanti qualche spunto didatticamente utile.

Testo, opera, libro

Il primo argomento che è sempre necessario affrontare è la definizione di lavoro editoriale. È davvero sorprendente, per chi lavora da tanti anni nell’editoria, quanto sia ancora diffusa l’idea che il libro sia sostanzialmente, se non addirittura in tutto e per tutto, opera dell’autore o dell’autrice che lo firma mettendo il nome in copertina. Questa idea ha alle spalle una lunga tradizione che ci rappresenta l’autore o l’autrice chiusi nella loro stanzetta, in dolorosa o beata solitudine, a scrivere ciò che detta l’estro del momento alla loro ispirata sensibilità.

Non funziona così. Scrivere non è mai un’attività solipsistica, anche se di solito la si svolge in solitudine: poeti, narratori, saggisti, drammaturghi, attraverso la scrittura, intrattengono in realtà un doppio dialogo (a distanza) – con i loro modelli, gli antichi maestri, i concorrenti, gli amici scrittori ecc.; e con i loro potenziali lettori. Ogni testo si colloca all’interno di un “discorso” collettivo, polifonico, che è quello dell’epoca, del genere, della lingua, insomma dei vari contesti in cui chi scrive si trova a vivere e lavorare.

Ma quello che più ci interessa qui è che il frutto del lavoro di scrittura “individuale” (tra virgolette, ovviamente) non è ancora un libro: è un testo. Perché diventi un libro è necessario un lungo lavoro di intermediazione, di cui si incarica appunto il sistema editoriale. Il testo è l’insieme dei segni prodotti da chi scrive (le parole organizzate in frasi, periodi, paragrafi, capitoli ecc.). Ma perché il testo entri in un processo di comunicazione, cioè raggiunga un destinatario (un lettore o un ascoltatore), è necessario che sia pubblicato, cioè, alla lettera, che sia reso pubblico e che un pubblico possa fruirne. In altre parole, è necessario che un testo diventi un libro.

La figura dell’editore può anche coincidere con l’autore stesso, e anzi sempre più di frequente è così: ogni volta che pubblichiamo (cioè rendiamo pubblico, sia pure a pochi amici) un post su uno dei tanti social a cui siamo iscritti, facciamo gli editori di noi stessi. Ma perché si parli di editoria in senso proprio, cioè perché entrino in campo le professionalità specifiche del settore, è necessario che corra denaro: giacché il professionista vuole essere pagato per il suo lavoro (magari orribilmente poco, ma qualcosa). Ecco perché l’autopubblicazione (sui social, sui blog o in forma cartacea) e l’editoria a pagamento (in cui il sedicente editore non partecipa al rischio d’impresa, che viene interamente scaricato sull’autore) non rientrano nel discorso che stiamo facendo, e infatti non prevedono se non in minima parte le fasi del lavoro svolte da un vero editore.

A chiarire ulteriormente la differenza fra testo e opera interviene utilmente il concetto di opera. Mi avvarrò di un esempio: io posso affermare di aver letto Guerra e pace, pur non avendo nessuna conoscenza del russo; non ho mai nemmeno posato gli occhi sul testo di Tolstoj, eppure posso parlare con un amico russo, o inglese, o cinese, dell’opera – del principe Andrej e del suo amore per Nataša, del giudizio di Tolstoj su Napoleone, delle geniali tattiche del generale Kutuzov o delle patate lesse del soldato Platòn Karataev. In un discorso sulla comunicazione editoriale, ciò che importa è innanzitutto il testo e il percorso che lo trasforma in libro. In un discorso di storia della cultura, ciò che importa davvero è l’opera. Ma senza testo e senza libro non esisterebbe l’opera.

La struttura della casa editrice

Possiamo cominciare così a dare concretezza alla famosa battuta di Valentino Bompiani, secondo cui l’editore non scrive i libri, non li impagina, non li stampa, non li distribuisce, non li vende, ma fa “tutto il resto”. In questo “tutto il resto” c’è il passaggio da testo a libro.

Il secondo argomento dei miei corsi è quindi la struttura di una casa editrice, che non coincide, a dispetto di quanto pensano molte persone, e anche molti letterati, con la redazione. La redazione è solo uno degli “uffici” di cui è composta la struttura ideale di una casa editrice, che ne prevede altri sei, altrettanto importanti. Ecco, in estrema sintesi, quali sono e che cosa fanno:

la redazione: è composta dalla direzione editoriale, cioè dagli editor nel primo significato del termine spiegato sopra (per l’aspirante autore/autrice, l’editor-direttore editoriale è di norma l’interlocutore con cui si ha a che fare e con cui si discute la questione decisiva: pubblicare o non pubblicare); e dalla redazione propriamente detta, cioè dagli editor nel secondo significato del termine, che si occupano della messa a punto del testo in vista della pubblicazione, e da altre figure (redattori, correttori di bozze, segretari di redazione) che approfondiremo meglio in seguito.

l’ufficio grafico: si occupa non solo dell’impaginazione del libro, ma di tutti gli aspetti relativi alla comunicazione visuale: il formato, i colori, la grafica di copertina, la scelta dei caratteri e così via; lavora a strettissimo contatto con la redazione, da cui riceve il testo e a cui manda gli impaginati per le ulteriori messe a punto.

l’ufficio tecnico: si occupa della scelta dei materiali (per esempio il tipo di carta: ne esistono centinaia, diversi per colore, spessore, consistenza al tatto, resistenza ecc.) e delle tecniche di stampa migliori per ciascuna tipologia di libro (la scelta può dipendere dal numero di copie che si vuole stampare, ma anche da considerazioni economiche, dalla presenza o meno di illustrazioni e dalle loro caratteristiche e così via).

l’ufficio contratti: autori e collaboratori devono essere retribuiti in base a dei contratti; senza entrare nei dettagli delle clausole, alcune gravide di conseguenze, basti dire per ora che i contratti editoriali si dividono in due grandi categorie: i contratti d’autore e quelli di prestazione professionale; i primi sono molto convenienti dal punto di vista fiscale, ma proprio per questo si possono usare solo laddove esista un vero lavoro autoriale, pena salatissime multe.

l’ufficio commerciale: si occupa dei rapporti con i promotori e i distributori, cioè con le aziende che tengono i contatti con i rivenditori all’ingrosso e al dettaglio; l’ufficio commerciale non solo segue l’andamento delle vendite, ma stabilisce gli obiettivi e contribuisce quindi a decidere, per esempio, quante copie di un libro verranno stampate, quali canali privilegiare (librerie indipendenti o di catena? centri commerciali o siti online?) e così via; sempre più spesso, la direzione commerciale contribuisce attivamente, insieme alla direzione editoriale, alla scelta dei libri da pubblicare e quindi all’elaborazione della “linea editoriale”.

l’ufficio stampa: si occupa di far conoscere il libro, cioè di pubblicizzarne l’uscita e gli eventuali successi (premi vinti, risultati raggiunti ecc.); tiene i rapporti con i recensori (giornalisti, blogger ecc.) e organizza presentazioni, letture, interviste, partecipazione a fiere e convegni e altri eventi utili per la visibilità dei libri e dei loro autori.

l’amministrazione: come tutte le aziende, una casa editrice ha un bilancio, dei rendiconti mensili o trimestrali, degli adempimenti burocratici e fiscali a cui ottemperare e così via; gli uffici amministrativi (fra cui vanno compresi, per non appesantire eccessivamente il nostro discorso, anche l’ufficio del personale e i servizi generali come acquisti, pulizie ecc.) sono il cuore nascosto di ogni casa editrice, quello che il pubblico non vede mai, ma senza il quale l’intero meccanismo si blocca.

Come si intuisce, più che di sette uffici intesi come luogo fisico stiamo parlando di sette funzioni, che in una piccola casa editrice possono essere e sono di fatto coincidenti con le poche persone che vi lavorano (in molti casi due o tre, che svolgono tutte le mansioni), mentre in una grande azienda editoriale le funzioni fondamentali possono trovarsi ulteriormente suddivise, per esempio fra uffici interni, a cui sono affidate le scelte strategiche, e studi/collaboratori esterni, che si occupano delle fasi più tecniche della produzione (impaginazione, correzione di bozze e simili).

Intorno alla casa editrice ruotano poi varie categorie di professionisti, che contribuiscono al lavoro editoriale nel suo complesso: penso per esempio ai traduttori, che svolgono un lavoro sempre più fondamentale (il numero di testi tradotti, nell’età della globalizzazione, tende a crescere costantemente, così come le lingue di origine dei libri tradotti tendono a moltiplicarsi); penso agli agenti letterari, quasi sconosciuti quando l’editoria italiana presentava caratteri più artigianali che industriali, ma fondamentali nel sistema moderno; e così via.

Ciò che emerge da questa schematicissima esposizione è la complessità della macchina editoriale e il fatto che un libro, anche il più semplice, è sempre il prodotto di un lavoro collettivo. Come nella lavorazione di un film, in cui il regista che lo firma non potrebbe realizzare la sua opera senza il contributo di decine o addirittura centinaia di persone, dal soggettista agli attori, fino all’addetto alle pulizie, così l’autore del più elitario libro di liriche sperimentali non potrebbe far arrivare la sua opera al suo selezionatissimo pubblico senza il lavoro di un’intera collettività, dai redattori ai grafici, dai tecnici delle stamperie ai ragionieri degli uffici amministrativi, senza dimenticare gli operai delle cartiere e gli autotrasportatori. In un paese come l’Italia, dove l’eredità idealistica è ancora molto forte, mi sembra importante sottolineare questo carattere collettivo del lavoro culturale, e della produzione libraria in particolare, insistendo sullo stretto rapporto che viene necessariamente a crearsi tra lavoro intellettuale e lavoro manuale.

 

La presentazione e la scheda editoriale

Il terzo argomento delle mie lezioni (e l’ultimo di questo articolo) è il percorso che compie un testo all’interno della redazione, dal momento in cui l’autore o l’autrice lo considera “finito” al momento in cui è davvero pronto per andare in stampa.

Immaginiamo per semplicità un romanziere (uso il maschile generico) che mette la parola “fine” in fondo al suo file e lo salva come “definitivo”. Inizia in questo momento una nuova fase del suo lavoro, per trovare al capolavoro appena partorito un editore che lo renda vivo nella mente dei lettori (e che permetta all’autore di guadagnare il giusto dal suo lavoro, giacché anche gli autori hanno umilianti esigenze materiali come mangiare, vestirsi e trovare un tetto per ripararsi dalla pioggia…).

All’aspirante autore (se l’autore è affermato, questa prima fase risulta assai semplificata, ma immaginiamo un autore alle prime armi, se non proprio esordiente) si aprono due strade: rivolgersi direttamente a un editore o cercare un agente letterario, cioè un mediatore che valuta il testo, decide se farsene carico o meno in base alle potenzialità commerciali che intravede, e aiuta l’autore a migliorarlo e a trovare l’editore più adatto.

In entrambi i casi, l’autore deve preparare una presentazione del proprio testo, e cioè:

una breve biografia (il concetto di brevità essendo relativo, come quasi tutto nella vita, mi permetto di suggerire una misura intorno alle 300 battute, eventuali pubblicazioni comprese: non è necessario elencare tutte le scuole fatte, né il nome dei figli, né gli articoli usciti otto anni fa sul giornale parrocchiale del proprio quartiere…);

una sinossi estremamente sintetica (Pennac, anni fa, ha riassunto Guerra e pace in una sola riga: “è la storia di una che ama uno ma sposa un altro”; propongo tre righe: i famosi sessanta secondi che i produttori americani concedono a chi vuole presentare il proprio soggetto;

una sinossi più articolata, in cui si riassume la trama in maniera più analitica (anche in questo caso, mi permetto di suggerire una misura – intorno alle due cartelle, cioè 4000 battute spazi inclusi).

La scrittura di questi testi “di servizio” è oggetto della prima attività laboratoriale del mio corso. Molti studenti osservano che si tratta della versione “adulta” delle vecchie care insopportabili schede di lettura che venivano richieste a scuola. È proprio così. Una presentazione ben fatta fa capire all’editor di avere di fronte un professionista, e non un dilettante che scrive nel tempo libero perché non ha di meglio da fare. Aggiungo che le “schede editoriali”, cioè le schede che i lettori di professione inviano al direttore editoriale per fornirgli i primi elementi di valutazione su un testo, hanno la medesima struttura, con in più un sintetico elenco dei punti di forza e di debolezza del libro, cioè una valutazione delle sue potenzialità commerciali (che però a degli studenti non si può chiedere, perché deve basarsi su una buona conoscenza del mercato, che solo l’esperienza può fornire).

Presentazione d’autore e scheda editoriale sono di fondamentale importanza perché, se fatte bene, costituiscono la base su cui verranno create le presentazioni ai librai, i comunicati stampa, le bandelle e le quarte di copertina, cioè tutti i testi che accompagneranno il libro nel suo percorso dalla casa editrice ai lettori. Ai miei studenti chiedo quindi di “presentare”, come se ne fossero gli autori, alcuni classici noti a tutti i presenti, in modo che sia possibile confrontare le varie soluzioni e migliorarle l’una con l’altra.

(continua)

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Alberto Cristofori

ha organizzato nel 2015 “Milano per Dante”, una lettura integrale della Commedia affidata a 100 esponenti della società civile milanese. È autore di manuali scolastici e traduttore. Ha pubblicato con Bompiani un romanzo e una raccolta di racconti, e dirige una casa editrice per bambini e ragazzi (Albe
Edizioni).

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