Termine “contenitore”, termine “ombrello”: il disagio fa riferimento a varie problematiche, ad una serie di vissuti soggettivi che includono sofferenza, frustrazione, insoddisfazione ed alienazione riferibili genericamente all’insieme delle condizioni obiettivamente difficili che pesano sui processi di maturazione personale e di inserimento sociale dei giovani (R. Mion).
È condiviso da vari studiosi del problema il principio secondo il quale il disagio debba essere riconducibile a una serie di cause e a una pluralità di esperienze; per questi motivi, risulta più opportuno, più completo distinguere tra:
– disagio non grave: consiste in stati di malessere scaturiti da varie esperienze d’insuccesso e si manifesta in comportamenti di chiusura, di aggressività, e di autosvalutazione
– disagio intermedio: si manifesta in comportamenti trasgressivi spesso attuati nel gruppo
– disagio grave: si esplicita con una condotta autolesiva (fuga, tossicodipendenza) e/o trasgressivo-illegale, trasformando il comportamento antisociale in veri e propri reati (D. Izzo, A. Mannucci, M.R. Mancaniello).
Nella scuola italiana aumenta considerevolmente il numero di alunni che presentano varie tipologie di difficoltà le quali non sono riconducibili alle principali Classificazioni dell’OMS; di conseguenza si tratta di soggetti che vivono situazioni problematiche, ma non possono essere “certificati“, ovvero non possono avere una Diagnosi funzionale che consenta loro di ottenere l’aiuto dell’insegnante di sostegno. Con il DPCM n.185 del 23 febbraio 2006 è cambiato (in senso restrittivo) il regolamento per la certificazione dell’handicap ai fini dell’inserimento scolastico, in quanto le attività di sostegno andranno rivolte ai soli alunni che presentano una minorazione fisica, psichica o sensoriale stabilizzata e progressiva. Ne deriva che quegli alunni i quali presentano deficit non gravi né progressivi non possono avere un aiuto ulteriore costituito dalla presenza del docente di sostegno: succede che sia loro sia i rispettivi docenti vivano esperienze difficili, in quanto i primi non vedono nessun vantaggio nel frequentare la scuola e i secondi si sentono in difficoltà nell’affrontare e nel gestire situazioni che non rientrano nella “norma”.
L’andare male a scuola è espressione che si riferisce a una situazione di mal-essere generalizzato che caratterizza la vita scolastica di numerosi allievi; mal-essere che è/potrebbe essere sia la causa sia la conseguenza di una situazione di dis-agio vissuta a scuola oppure nell’ambiente socio-culturale in cui il soggetto vive, i cui riflessi negativi si riverberano anche sulla scuola. Si tratta di situazioni a volte molto complesse, che è opportuno affrontare per tempo e risolverle oppure ridurne il tasso di negatività: ecco l’importanza dell’individuazione precoce, affinché la scuola sia davvero “ambiente per l’apprendimento”, al cui interno lo scolaro sia artefice della propria crescita in un contesto positivo e sereno.