Hitchcock fra cinema, fotografia e… tragedia greca

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Dal 9 ottobre 2020 al 10 gennaio 2021, all’Arengario di Monza, è in corso (per ora le visite sono sospese fino al 3 dicembre) una mostra intitolata “Alfred Hitchcock nei film della Universal Pictures” e curata da Gianni Canova (produzione e organizzazione a cura di ViDi in collaborazione con il Comune di Monza). Propone oltre settanta fotografie, video o contenuti speciali che provengono dagli archivi della Major americana, che conducono il pubblico nel backstage dei principali film del Maestro. Mauro Reali e Alessio Turazza ne propongono due diverse chiavi di lettura.
Alfred Hitchcock, La finestra sul cortile, 1954 © Universal Pictures

Da Eschilo a Psycho

La mostra Alfred Hitchcock nei film della Universal Pictures è la prima che ho visitato (domenica 18 ottobre) dopo il lockdown della scorsa primavera; e – lo dico con molto dispiacere – le nuove chiusure imposte dalla situazione epidemiologica lombarda temo mi impediranno per un po’ di visitarne altre.
Mentre guardavo le oltre settanta immagini esposte, mi sono comunque chiesto se e come il regista del brivido, morto quaranta anni fa (1899-1980), sarebbe stato in grado di rappresentare il clima di angoscia collettiva che sta opprimendo l’umanità in questi tempi di pandemia.
Ma forse – ho riflettuto ancora – Hitchcock già l’ha, profeticamente, fatto: le nuvole nere di volatili degli Uccelli (1963) non potrebbero infatti essere viste come una metafora delle inquietudini di ogni tempo? Le foto e i filmati esposti a Monza sembrerebbero confermarlo.

Hitchcook donna visse
Alfred Hitchcock, “La donna che visse due volte”, 1958 © Universal Pictures

Poiché non intendo improvvisarmi esperto di cinema, lascio il commento tecnico e critico della mostra (a mio avviso bellissima) al nostro Alessio Turazza.

Alfred Hitchcock, Psycho © Universal Pictures

Da classicista, non posso però che ribadire – come già molti hanno fatto – che Hitchcock è davvero l’erede più degno della tragedia greca, sia per la capacità di costruire drammi perfetti, sia per la profondità dell’indagine psicologica dei protagonisti, sia per la resa geniale – si può dire immortale? – di alcune scene.
Tra queste vi è senz’altro quella celeberrima dell’omicidio nella doccia di Psyco (1960), film che ha inquietato generazioni di spettatori, e tra questi anche chi scrive. Pertanto non ho rivisto questo film tante volte come altri del grande Maestro; quando l’ho fatto, però, non ho potuto non pensare a quello che a mio avviso è l’archetipo di quel delitto, e cioè l’uccisione nella vasca da bagno di Agamennone per opera della scure della moglie Clitemnestra e del suo amante Egisto.

Alfred Hitchcock sul set di Psycho © Universal Pictures

L’omicidio è narrato tra gli altri da Eschilo, nell’Agamennone, laddove il re di Micene fa appena in tempo a gridare: «Ahimè, trafitto sono al cuore da una ferita mortale… Ahimè, un’altra ferita ancora» (trad. M. Valgimigli).

Eppure il signore di Micene, nel suo bagno regale, si sentiva sicuro; così come sicura si sentiva nella doccia la bella Marion (interpretata da Janet Leigh) nel film hitchockiano, prima di essere pugnalata. Non fu così, invece, per una ragazzina americana, la quale, dopo avere visto Psycho al cinema, non voleva più lavarsi per la paura; si racconta che il padre lo scrisse al regista, il quale rispose con un lapidario «la mandi al lavasecco».
Sì, perché tra tanto horror, il Nostro era anche dotato di uno spiccato senso dell’umorismo. Lo stesso sense of humour che ispirò un’altra sua frase immortale «la durata di un fil dovrebbe essere commisurata alla capacità di resistenza della vescica umana»: quante volte lo abbiamo pensato, un po’ tutti, davanti a film inutilmente lunghi e noiosi?

Mauro Reali


Fotografia e cinema: questione di fotogrammi

Una mostra fotografica sul cinema mette in relazione due forme d’arte strettamente correlate. Due espressioni della modernità, apparentemente vicine, ma in realtà indipendenti. Se la fotografia ferma l’attimo, il cinema genera flussi. Ma di cosa è fatto questo flusso? Nient’altro che da 24 fotogrammi. Da ventiquattro fotografie viste in un secondo, che trasformano le immagini fisse in un movimento apparente o in un «falso movimento», come avrebbe detto Wim Wenders. È dunque il tempo, alleato all’imperfezione della nostra retina, che trasforma 24 fotografie proiettate in successione nell’illusione del movimento. Come diceva Jean-Luc Godard il cinema non è altro che «la verità 24 volte al secondo».
Ci sarebbe molto da dire anche sulla presunta verità della fotografia, anch’essa manipolabile e sempre generata da un punto di vista, da bordi che includono ed escludono, che ritagliano un frammento di realtà, scelto e selezionato da uno sguardo.
Che senso ha una mostra fotografica sul cinema? La fotografia ha la possibilità di mostrarci anche il “fuori campo”, il backstage, quegli attimi e frammenti della vita sul set che non sono entrati a far parte della pellicola. Immagini isolate dal contesto, a volte congruenti, a volte dissonanti, comunque illuminanti e capaci di svelare uno sguardo inedito e un racconto altro rispetto alla narrazione.

Alfred Hitchcock, Uccelli, 1963 © Universal Pictures

Hitchcock è stato uno tra i registi che meglio ha usato il cinema per una riflessione teorica sullo sguardo, sul punto di vista dentro la narrazione, sul ruolo scopico della macchina da presa, dello spettatore e sulla cangiante relazione tra i due.
Le 70 fotografie ora in mostra a Monza scattate sul set e nel backstage dei film più celebri da La finestra sul cortile a Gli uccelli, da La donna che visse due volte a Psycho, passando per I Sabotatori, L’ombra del dubbio, Nodo alla gola, La congiura degli innocenti, L’uomo che sapeva troppo, Marnie, Il sipario strappato, Topaz, Frenzy e Complotto di famiglia, giusto per restare in tema, aprono nuove “finestre” sul cinema di Hitchcock.

Alfred Hitchcock, L’uomo che sapeva troppo, 1956 © Universal Pictures

Ci svelano particolari inediti, retroscena insospettabili, piccoli trucchi, effetti speciali, attimi sospesi tra un ciak e l’altro. Ci fanno rivivere le atmosfere del set e fanno venire voglia di rivedere i film, alla luce di quanto abbiamo scoperto guardando le fotografie e seguendo gli interessanti – e mai pedanti – approfondimenti video di Gianni Canova.

Tutte le scuse sono buone per rivedere un film di Hitchcock.

Alessio Turazza

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Alessio Turazza

Consulente nel settore cinema e home entertainment, collabora con diverse aziende del settore. Ha lavorato come marketing manager editoriale per Arnoldo Mondadori Editore, Medusa Film e Warner Bros.

Mauro Reali

Docente di Liceo, Dottore di Ricerca in Storia Antica, è autore di testi Loescher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e Direttore responsabile de «La ricerca».

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