Edmond Dantès, c’est moi! #3

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Il conte di Montecristo per lettori suscettibili: come vestire i panni di Edmond Dantès e delle sue numerose incarnazioni e farla franca. Terza puntata: le capacità nascono dagli ostacoli
Abbe Faria (Spottiswoode Aitken) e Edmond Dantès (John Gilbert) nel film Monte Cristo, di Emmett J. Flynn (1922).

Il conte di Montecristo per lettori suscettibili: come vestire i panni di Edmond Dantès e delle sue numerose incarnazioni e farla franca. Dopo le istruzioni per l’uso, la prima e la seconda puntata, siamo alla terza: le capacità nascono dagli ostacoli.

Entrare nella cella dell’Abate Faria è come entrare in una grotta piena di tesori.
In una specie di cassaforte, Faria nasconde un suo libro cui ha lavorato per anni: quattro rotoli di stoffa avvolti come degli antichi papiri. Per scriverlo ha usato penne costruite con le sue stesse mani a partire dagli avanzi di cibo. L’inchiostro lo ha ottenuto dalla fuliggine mescolata con il vino. Ha un temperino tagliente come un rasoio, ricavato da un vecchio candeliere di ferro. Poi ci sono le candele, dal grasso della carne servita come pasto, e i fiammiferi, per i quali ha dovuto fingere una malattia della pelle che richiedesse applicazioni di zolfo. E, ancora, conserva nascosti un ago e una lunga corda, frutto delle cuciture delle lenzuola e delle camicie rubate nel corso degli anni.
Insomma, non ha bisogno di molto tempo, Edmond Dantès, per capire di trovarsi di fronte a un uomo dal talento straordinario. Egli rimane ammutolito e pensoso di fronte a Faria che, vedendolo assorto, gli domanda: «A cosa pensate?».
Edmond risponde:

«Penso alla quantità enorme di intelligenza che avete dovuto impiegare per fare tutto questo. Che cosa non avreste mai fatto se foste stato libero?».
«Forse nulla. L’eccezionalità delle mie capacità mentali si sarebbe volatilizzata in futilità. Ci vogliono le sventure per scavare certe miniere nascoste nell’intelligenza umana; ci vuole la pressione per far scoppiare le polveri. La prigionia concentrò in un solo punto tutte le mie capacità fluttuanti qua e là, che si sono urtate in uno spazio ristretto e, come sapete, dall’urto dei nembi nasce l’elettricità dell’aria, dall’elettricità nasce la folgore, dalla folgore la luce».

Non intende dire, Faria, che avrebbe preferito la prigionia alla libertà. Egli afferma semplicemente che non può sapere cosa avrebbe fatto da libero, ma sa che in questa situazione di emergenza, messo di fronte a ostacoli apparentemente insormontabili, egli ha saputo trovare soluzioni inattese, attingendo a risorse che non avrebbe neanche sospettato di possedere.

Ora, caro lettore, tocca a te riflettere e, se proprio lo desideri, scrivere. Ti consiglio di aiutarti con uno schema, un disegno. Immagina un muro. Un muro fatto di grosse pietre rettangolari. Immagina ora che ciascuna di quelle pietre sia un ostacolo che hai incontrato durante il tuo cammino. Di fronte a quelle pietre ti sei arrestato, cioè ti sei fermato, hai interrotto un percorso iniziato. Prova a dare un nome a quegli ostacoli. Scrivi sul tuo muro disegnato, se vuoi, oppure parla tra te e te. Che cosa ti ha fermato? Che cosa stavi cercando di ottenere?
Adesso, dopo aver visto gli ostacoli ben in vista davanti ai tuoi occhi, puoi procedere alla ricostruzione di quelle capacità che hai sviluppato nel tentativo di superare quelle difficoltà. Perché gli ostacoli esterni possono anche — lo sostiene l’abate Faria — dare un senso, una direzione a capacità che altrimenti rischiano di essere sprecate. La prigionia, dice l’abate, «concentrò in un solo punto tutte le mie capacità fluttuanti qua e là, che si sono urtate in uno spazio ristretto e, come sapete, dall’urto dei nembi nasce l’elettricità dell’aria, dall’elettricità nasce la folgore, dalla folgore la luce».
Immagina o disegna delle nuvole, dalle quali scaturiscono altrettante folgori: fulmini gialli luminosi. Prova a dare un nome alle capacità che hai sviluppato a seguito degli ostacoli incontrati. Ogni nuvola è una capacità, frutto delle energie impiegate nel superare gli ostacoli.

[Per approfondire, qui]

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Simone Giusti

ricercatore, insegna didattica della letteratura italiana all’Università di Siena, è autore di ricerche, studi e saggi sulla letteratura italiana, sulla traduzione, sulla lettura e sulla didattica della letteratura, tra cui Insegnare con la letteratura (Zanichelli, 2011), Per una didattica della letteratura (Pensa, 2014), Tradurre le opere, leggere le traduzioni (Loescher, 2018), Didattica della letteratura 2.0 (Carocci, 2015 e 2020), Didattica della letteratura italiana. La storia, la ricerca, le pratiche (Carocci, 2023). Ha fondato la rivista «Per leggere», semestrale di commenti, letture, edizioni e traduzioni. Con Federico Batini organizza il convegno biennale “Le storie siamo noi”, la prima iniziativa italiana dedicata all’orientamento narrativo. Insieme a Natascia Tonelli condirige la collana scientifica QdR / Didattica e letteratura e ha scritto Comunità di pratiche letterarie. Il valore d’uso della letteratura e il suo insegnamento (Loescher, 2021) e il manuale L’onesta brigata. Per una letteratura delle competenze, per il triennio delle secondarie di secondo grado.

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