E vatti a vedere una mostra

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Poco tempo fa circolava su Facebook un gioco che ha riempito centinaia di bacheche con immagini di opere d’arte, e non solo fra gli addetti ai lavori. È la classica catena di sant’Antonio, ma senza alcun messaggio intimidatorio, anzi.

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“Questo è un gioco per mantenere viva l’arte. Clicca ‘mi piace’ e io ti assegnerò un artista. Non importa se non conosci le sue opere, cerca su internet, scegli quella che più ti piace e pubblicala su Facebook”: il gioco funziona per passaparola, in un continuo scambio di ruoli fra chi assegna l’artista e chi cerca e pubblica le sue opere. Divertente, soprattutto se si fanno scoprire personaggi sconosciuti all’amico a cui li hai “prescritti”, e viceversa. Mi sono lasciata coinvolgere anch’io.

La doccia fredda sul proseguimento del gioco è arrivata ben presto sotto forma di vignetta: Robin, mentre inizia la tiritera “Questo è un gioco per mantenere viva l’arte…” si becca un sonoro ceffone da Batman che gli risponde “E vatti a vedere una mostra, allora!”.

Come dargli torto? E, aggiungerei, un museo. Sappiamo dai risultati di ricerche condotte dalla Fondazione Fitzcarraldo che per i giovani visitare una pinacoteca equivale al rischio di apparire “sfigati”. L’idea piace di più alle ragazze, ma non osano proporla agli amici. Sappiamo anche, però, che iniziative come Communicating Art della Sezione didattica del Polo Museale fiorentino (Ciceroni d’eccezione: Communicating Art), o altre, a Torino come a Napoli, in cui gli stessi giovani sono protagonisti dell’incontro con il patrimonio culturale funzionano, eccome.

Le esposizioni temporanee, generalmente, sono in grado di attirare molti più visitatori di quanto non riesca a fare un museo. Le prime mostre dedicate ai grandi artisti delle epoche precedenti furono organizzate a Roma nel Seicento, a dimostrazione della ricchezza e del prestigio del collezionista, in occasione della festa del santo patrono della comunità. Durante le feste religiose, o per celebrare avvenimenti importanti come l’ingresso in città di un sovrano, venivano esposti alle finestre arazzi, tappeti e coperte, come avviene ancora oggi durante le più importanti processioni religiose; allo stesso modo, nei chiostri delle chiese, si esponevano le opere d’arte prestate per l’occasione.

Da allora molto tempo è passato, le mostre si sono moltiplicate in modo vertiginoso, dando origine a quel fenomeno che è stato più volte denominato “mostrificio”. Non sempre, infatti, alla base di una mostra c’è, come ci si dovrebbe aspettare, un vero progetto. A fronte di mostre di grande richiamo, ben studiate in ogni fase ideativa, divulgative senza per questo perdere in serietà scientifica, ce ne sono molte altre che vengono allestite intorno a nomi di artisti di sicuro richiamo, di cui magari sono esposte poche opere e nemmeno accertate.

Dobbiamo anche considerare che non sempre, in un’esposizione, sono presenti tutte le opere che il curatore avrebbe voluto inserire. Una mostra comporta infatti dei rischi per un’opera d’arte, derivanti dal suo spostamento e dalle nuove condizioni ambientali della sala in cui verrà ospitata.

Che si vada a visitare una mostra o un museo, da soli, per rispettare i propri tempi, o in compagnia, per condividere l’esperienza, il coinvolgimento emotivo con le opere gioca sempre un ruolo di primo piano. Una visita è come un viaggio, nello spazio o nel tempo, che richiede la nostra disponibilità a farci sorprendere anche da oggetti meno noti e famosi, che ci incuriosiscono o ci emozionano. Senza fretta e senza l’obbligo di vedere tutto in poco tempo. Tutte le volte che è possibile, riprendiamoci i nostri ritmi. Se non dobbiamo rispettare una feroce tabella di marcia, la visita a una mostra o un museo – di arte, scienza, tecnologia… – diventa un’imperdibile occasione per ridare valore all’osservazione, alla riflessione e alla lentezza, nel suo senso più positivo.

Ma sì, spegniamo il pc e andiamoci a vedere una mostra.

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Elena Franchi

È storica dell’arte, giornalista e membro di commissioni dell’International Council of Museums (ICOM).
Candidata nel 2009 all’Emmy Award, sezione “Research”, per il documentario americano “The Rape of Europa” (2006), dal 2017 al 2019 ha partecipato al progetto europeo “Transfer of Cultural Objects in the Alpe Adria Region in the 20th Century”.
Fra le sue pubblicazioni: “I viaggi dell’Assunta. La protezione del patrimonio artistico veneziano durante i conflitti mondiali”, Pisa, 2010; “Arte in assetto di guerra. Protezione e distruzione del patrimonio artistico a Pisa durante la Seconda guerra mondiale”, Pisa, 2006; il manuale scolastico “Educazione civica per l’arte. Il patrimonio culturale come bene dell’umanità”, Loescher-D’Anna, Torino 2021.
Ambiti di ricerca principali: protezione del patrimonio culturale nei conflitti (dalle guerre mondiali alle aree di crisi contemporanee); tutela e educazione al patrimonio; storia della divulgazione e della didattica della storia dell’arte; musei della scuola.

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