Avrebbe dovuto essere un libro di 300 pagine, scrive Pellini nella sua postilla, e invece abbiamo tra le mani quasi 500 pagine di scrittura saggistica e quasi 300 di bibliografia: un’opera che si direbbe monumentale, se la parola non fosse così distante dallo spirito dei suoi autori e, soprattutto, dalla natura del suo oggetto di studio – l’intellettuale, lo studioso e il docente Remo Ceserani –, così distante da ogni volontà gerarchizzante.
E però Ceserani, nonostante il suo understatement, nonostante il suo eclettismo (che, associato allo spirito enciclopedico, all’inesauribile curiosità e a un laicissimo ottimismo, gli è costato tante critiche da parte di tanti intellettuali italiani), è stato davvero un protagonista intellettuale del suo tempo, capace di muoversi da un continente all’altro a cavallo di una molteplicità di lingue, avvalendosi del supporto degli strumenti e metodi interpretativi più vari, e sempre pronto a impararne di nuovi, non per il vezzo di apparire aggiornato ma per curiosità – lo abbiamo già detto – e anche per il grande senso di responsabilità con cui svolgeva il suo ruolo di docente-condiscente che, come evidenziato da Matteo Colombi e Irene Fantappiè, «non ha un’idea verticale dell’insegnamento, per la quale l’insegnante è chiamato a trasmettere una verità», e preferisce rimanere per sempre un discente che si mette a fianco di altri discenti – spesso più giovani – per continuare a imparare insieme a loro.
Difficile, se non impossibile, rendere conto di tutti i saggi nel breve spazio di una recensione. Preferisco evidenziare alcune linee interpretative che attraversano il libro, che rimane un’opera di storia della critica e di teoria letteraria da rileggere e consultare nei tempi a venire.
Eclettismo, prospettivismo, relativismo
Indicato fin dall’inizio della sua carriera come un critico e uno studioso “eclettico”, Ceserani ha saputo fare dell’eclettismo il vessillo sotto al quale compiere le proprie scorribande attraverso i territori della letteratura e degli studi letterari, percorsi in lungo e in largo senza mai smettere di desiderare che il confine si spostasse sempre un po’ più avanti, senza mai cedere alla tentazione di individuare una meta da raggiungere o di tornare nostalgicamente sui propri passi.
«Per occuparsi di letteratura – scrive Massimo Fusillo commentando simpateticamente Ceserani – è meglio non appartenere a un’unica scuola critica, è meglio non essere maestri che fondano movimenti e chiedono fedeltà ai loro allievi, è meglio non avere una filosofia totalizzante del mondo».
D’altronde, come spiega lo stesso Ceserani nella sua Guida allo studio della letteratura (1999),
Una buona educazione letteraria serve a muoversi con la mente sveglia e flessibile, i sensi affinati, le facoltà di interpretazione e confronto dialogico allenate, e anche la strumentazione più adatta, in quel grande “gioco dell’orientamento” che è la vita nelle nostre società postmoderne.
È la letteratura – intesa come «fenomeno multiforme» e profondamente correlato alla vita umana in ogni sua manifestazione – a richiedere un atteggiamento eclettico, poiché la lettura e l’interpretazione dei testi richiedono un’apertura al testo, una disponibilità all’ascolto – e, anche, un’implicita accettazione del pericolo che il confronto con il testo inevitabilmente comporta – che non sono compatibili con dogmatismi e teleologismi di sorta.
L’interpretazione dei testi richiede, semmai, un approccio relativista e multiprospettico, capace di ricorrere a metodi diversi e alle interpretazioni già formulate, in un circolo virtuoso per cui dall’interpretazione si dovrebbe non tanto acquisire una verità quanto, semmai, sviluppare una motivazione a cercare ancora, un’attitudine alla curiosità inesauribile, e un altro metodo da aggiungere a quelli noti, che forse verrà utile per un’altra interpretazione.
In questo senso, c’è un collegamento tra l’eclettismo come atteggiamento critico e la «densità semantica», una caratteristica delle opere letterarie che, come evidenzia Edoardo Camassa nel suo saggio, diventa per Ceserani un vero e proprio criterio o principio estetico. Le opere dotate di maggiore densità semantica, infatti, sarebbero in grado, più di altre, «di incidere in maniera profonda e duratura sull’immaginario collettivo». La densità, la concentrazione e la ricchezza dei significati, dunque, come principio fondatore dell’eclettismo, e l’eclettismo come atteggiamento necessario di fronte alla densità semantica.
A questo proposito sarebbe interessante mettere a confronto alcune idee di Ceserani con quelle espresse da Richard Rorty, secondo il quale le opere della letteratura, a differenza delle opere filosofiche, non promettono una «verità redentrice», ma, al contrario consentono ai lettori essere «trasportati in un posto da cui è possibile osservare da una nuova prospettiva» (R. Rorty, Redemption from Egotism. James and Proust as spiritual exercises (2001) in The Rorty Reader, ed. by Christopher J. Voparil and Richard J. Bernstein, Chichester, Wiley-Blackwell, 2010, pp. 389-406, a p. 391, la traduzione è di chi scrive).
Le opere di finzione, in particolare, suggeriscono un’idea di conoscenza fondata sul cambiamento continuo e sulla costante revisione delle idee ricevute, purché, dice Rorty, tu rimanga «aperto alla possibilità che il prossimo libro che leggi, o la prossima persona che incontri, possano cambiare la tua vita».
Un’idea che il filosofo americano formula in maniera compiuta nel 2001, quando Ceserani ha già – in modo asistematico e perfettamente coerente con il suo relativismo pluriprospettico – portato a termine gran parte del suo lavoro sul valore conoscitivo e educativo della letteratura come forma dell’immaginario.
Convergenze e prospettive
Convergenze è il titolo di un libro del 2010 e, poi, di una rubrica che Ceserani ha tenuto su questa rivista dal 2013 al 2015: 16 articoli dedicati al rapporto tra studi letterari e altri campi del sapere, dalla matematica all’economia, dalla psicologia alle neuroscienze, dalla medicina alla biologia.
L’apertura alle altre discipline, resa necessaria se non altro dall’approccio tematico inaugurato con le ricerche sull’immaginario ferroviario prima, e poi sulla fotografia (a cui sono dedicati, rispettivamente, gli studi di Romano Vecchiet e e di Attilio Scuderi), ma anche dal decennale lavoro su Il materiale e l’immaginario – Laboratorio di analisi dei testi e di lavoro critico intrapreso con Lidia De Federicis per Loescher editore, non è sufficiente a spiegare l’attenzione riservata da Ceserani al dialogo interdisciplinare.
In Convergenze e negli articoli che lo hanno seguito, infatti, Ceserani mostra non solo una disponibilità all’apertura, ma anche un impegno costante e prolungato sui testi di volta in volta oggetto di discussione (quasi sempre in lingua inglese) che analizza e commenta puntualmente nel tentativo di allargare l’armamentario critico e teorico degli studiosi di lingua e cultura italiana, mettendo loro a disposizione più di un motivo per guardare alle altre discipline – e all’interesse che le altre discipline hanno per la letteratura – senza pregiudizi etnocentrici e, soprattutto, senza cadere in una concezione utilitarista del sapere.
Per Ceserani le convergenze – come scrive Simona Micali – hanno a che fare con la dimensione etica del lavoro critico, il quale, dopo la crisi della teoria e della critica che è esplosa tra gli anni Ottanta e i Novanta, deve ritrovare in sé la propria giustificazione:
relativizzare la letteratura, collocarla nel circuito delle altre forme di simbolizzazione e comunicazione umane, porla in rapporto di dialogo e scambio con esse è anche una strategia per rilanciare la sua rilevanza in un momento di crescente marginalizzazione nel sistema dei saperi (Micali, p. 286).
Responsabilità, impegno, lungimiranza
Rilanciare il lavoro critico e il ruolo del critico è una questione di responsabilità. È una parola – responsabilità – che ricorre in questi saggi e alla quale ho sempre associato uno dei miei passi preferiti di Ceserani. Il quale legge i lavori del grande psicologo americano Jerome Bruner – uno dei protagonisti del cognitivismo e poi degli studi sulla psicologia culturale e sul pensiero narrativo – cui attribuisce il rafforzamento il «ruolo fondamentale, formativo e conoscitivo, e di forte coinvolgimento etico ed estetico, svolto dal racconto e dalla rappresentazione immaginaria nelle società umane» (Guida allo studio della letteratura, 1999, p. 392), e poi afferma con decisione che la scoperta del valore cognitivo della narrazione da parte di psicologi e antropologi
dà d’improvviso alla letteratura, che del raccontar storie si nutre, uno spazio di straordinaria importanza nella nostra vita mentale, e anche sociale e culturale (che forse noi studiosi di letteratura non ci saremmo aspettati), ma anche una notevole responsabilità (ivi, p. 202).
L’impegno di Ceserani – «la serietà, anche esistenziale, di un impegno, culturale e politico, fedele a un’idea illuminista di critica» (Pellini, Postilla, p. 529) – nasce anche da qui, da questo senso di responsabilità che è precedente alla scoperta del valore cognitivo della narrazione e che nasce con quella particolare forma di vita in comune che è alle origini della società moderna e postmoderna: la scuola. È nella scuola, infatti, che noi studiosi di letteratura portiamo – esponendo gli studenti a chissà quali rischi – o non portiamo – deprivandoli di chissà quali opportunità – le opere della letteratura, costringendoli a fare delle esperienze letterarie di cui dobbiamo essere responsabili.
E chissà che non tragga origine proprio da questa passione per la scuola, e dall’impegno educativo e divulgativo che si è protratto per tutta l’esistenza, la particolare «lungimiranza» che Pierluigi Pellini attribuisce a Ceserani, il quale «è stato capace di capire la cultura degli anni che gli sono toccati in sorte» (p. 528). Ha capito molto, ha guardato e ha visto lontano, anche perché ha dovuto capire, prima che per sé, per gli altri: per i lettori di Il materiale e l’immaginario, per i docenti che avrebbero dovuto usarlo in classe, per gli studenti di almeno un paio di generazioni, e poi per i suoi allievi, per i suoi tanti interlocutori.
La didattica della letteratura
Se si rifiuta la consuetudine, che vede i testi letterari praticati quasi soltanto come documento e testimonianza del contesto storico, e si scarta l’ipotesi che il loro uso debba servire soprattutto a insegnare la lingua o a raffinare e differenziare le competenze linguistiche, bisogna però saper individuare, con maggiore precisione di quanto finora sia stato fatto, quali tipi di informazione i testi letterari possano (meglio di altri testi) trasmettere; quali abilità (di lettura, comprensione, e anche di lavoro in proprio) concorrano a sviluppare; se, e in quale misura, rispondano a bisogni psichici profondi dell’adolescente e alla formazione complessiva di base. (R. Ceserani, Come insegnare letteratura, in Fare storia della letteratura, a cura di Ottavio Cecchi e Enrico Ghidetti, Roma, Editori Riuniti, 1986, pp. 153-171, p. 164).
Questa riflessione mostra uno studioso e un docente universitario di letteratura consapevole del ruolo della didattica, dell’importanza dei metodi – che sono storicamente situati e che portano con sé una visione della letteratura e del suo ruolo sociale – e del valore dell’indagine teorica e della ricerca interdisciplinare, che devono contribuire a capire quale può essere l’impatto della fruizione delle opere letterarie sui discenti (in questo caso della fascia d’età adolescenziale).
In tanti, in questo volume, parlano del lavoro decisivo di Remo Ceserani su Il materiale e l’immaginario – progetto ancora così importante e vivo da essere ripreso proprio negli ultimi anni, dedicati alla realizzazione di una nuova versione multimediale dell’opera per lo stesso editore Loescher – e molti sono i saggi espressamente dedicati alla didattica della letteratura secondo Ceserani: Il laboratorio del Materiale e l’immaginario: Ceserani in «Belfagor» (1965-2012) di Sotera Fornaro, L’utopia concreta del Materiale e l’immaginario di Emanuele Zinato, L’educazione letteraria. Sulla Guida allo studio della letteratura di Federico Bertoni e, soprattutto, Eclettismo e didattica della letteratura di Matteo Colombi e Irene Fantappiè.
Proprio in quest’ultimo studio emerge chiaramente il ruolo fondamentale che, al di là delle teorie e dei metodi, giocano nella visione della didattica di Ceserani le persone in carne e ossa, i docenti e i discenti, i quali, alla fine dei conti, sono quelli che devono passare il loro tempo e spendere le loro energie a leggere e a interpretare le opere letterarie, nel tentativo di capire meglio il testo e, anche, sé stessi e il mondo.
Pur senza aver intrapreso specifici studi pedagogici e psicologici, Ceserani ha un atteggiamento rispettoso e corretto nei confronti della didattica, consapevole delle responsabilità – ancora questa serissima parola – che ci si assumono nel momento in cui si progetta o realizza un percorso educativo di qualsiasi tipo. Il docente e gli allievi – come egli ha appreso anche dall’amata antropologia culturale di Geertz – sono portatori di culture diverse, che entrano in contatto e si confrontano. Compito del docente è farle incontrare e, anche, fornire ai suoi discenti quella capacità critica o di discernimento che consenta di passare al setaccio le diverse visioni del mondo per poi farsene una tutta da sé «a uso esclusivamente privato e domestico».
È ancora la figura dell’eclettico che torna nella sintesi mirabile di Marina Polacco, che nel suo saggio su Il fantastico, le lacerazione della modernità e l’ambiguo potere della letteratura riporta un passo di Ceserani tratto da La letteratura nell’età globale (2012), con cui vale la pena chiudere questa rassegna:
La verità è che la letteratura ha sicuramente potenzialità educative, soprattutto perché può accrescere il nostro senso critico, affinare i nostri strumenti conoscitivi, la ricerca di verità e significati nella nostra vita, anche in quella collettiva e di partecipazione alla costruzione delle istituzioni civili e democratiche in cui ci troviamo a vivere.
* Secondo Daniele Giglioli, autore di uno dei saggi del volume, l’allegria è una delle componenti fondamentali della personalità e dell’attitudine critica di Ceserani: «Un’allegria di cui è spia nei testi scritti il più ricorrente e caratteristico dei giunti sintattici di Ceserani: “E però…”. Dove la congiunzione avversativa è temperata dalla congiunzione copulativa, e dove perfino la cadenza ossitona sembra dar voce a un rincaro di attenzione, a una nuova piega del possibile, all’ingresso di un nuovo ospite, potenzialmente interessante e simpatico».