Adesso che si avvicina l’esame (sulle modalità del quale non sto a dilungarmi) in classe quinta abbiamo iniziato quella “roba” che una volta chiamavamo ripasso (all’epoca della mia maturità, ricordo ore e ore di studio “matto e disperatissimo” non so dire se utili o meno).
Oggi penso ai miei studenti e cerco di immaginare cosa posso fare per aiutarli nella conclusione di questo percorso. Li ho con me da cinque anni. Li sento tutti i giorni. Vorrei davvero che chiudessero il percorso onorevolmente, avendo ognuno il suo – cioè uscendo soddisfatti (se possibile) e avendo il giusto riconoscimento riguardo la loro crescita umana e professionale, diversa per ciascuno come deve essere e come le Linee guida specificano a più riprese.
Conosco ormai bene uno strumento potente di lavoro: la metacognizione, che nella pratica del WRW (che io applico da anni) assume spesso un posto centrale. Lo studente impara dal riflettere sulla sua esperienza, non solo dall’esperienza stessa. Quindi, fidandomi di questo strumento – ripeto, potente –, ho immaginato il nostro “ripasso”.
Come primo punto, ho già da tempo fornito loro l’elenco dei brani e dei testi letti. Lo devono tenere sottomano sempre. Da qualche parte bisogna pur partire, e presumere che si ricordino tutto a prescindere, soprattutto nelle circostanze odierne, non credo sia possibile.
Ho elaborato una check-list personale che ognuno deve usare per un primo passaggio di metacognizione.
Sembra una bambinata, ma per i miei studenti del professionale non lo è affatto. Molti in questo periodo lavorano, ben più di otto ore al giorno. Hanno perso pezzi, perso lezioni. Anche prima, nella cura del materiale e nell’organizzazione (che nello studio è tutto) difettavano. Nella mia aula scolastica raramente ho avuto tutti presenti, anche prima che iniziasse la DAD. Chi insegna in un istituto professionale sa che questo è un tasto dolente, e anche da un certo punto di vista quello più sfidante.
La check-list ha da una parte l’elenco dei testi, dall’altra due semplici colonne: ce l’ho, lo so.
Partiamo dalla base e dal loro linguaggio. Devono rendersi conto di un lavoro fatto e del materiale da possedere. Dico “ce l’ho” perchè non adottando libri di testo da anni, ognuno deve reperire i miei materiali. Già questo è un bel passo.
È anche un bel passo farsi domande: sulla lista leggo (mettiamo) “manifesto del futurismo”. Mi chiedo: so cosa è? Almeno una idea vaga? Se sì, metto il flag, se no annoto che non mi ricordo. E comincio a correre ai ripari.
Secondo punto: visto che dovranno affrontare, come dice la recente ordinanza, una «discussione» su un testo letterario, devo fornire loro strumenti perché questo possa avvenire. Io non insegno letteratura. Cerco di insegnare a usare la letteratura per avere (cito Giusi Marchetta) uno sguardo sul mondo. Allora come posso fare?
Ho approntato una presentazione che si intitola “Come discutere su un testo”.
La presentazione è molto breve, e offre due percorsi, entrambi di metacognizione. Il primo con gli occhi del lettore, il secondo con gli occhi dello scrittore: l’alunno lettore che sta davanti a un testo, e l’alunno con occhiali più potenti, che mettono a nudo i trucchi dello scrittore.
L’abbiamo guardata insieme, e ci siamo accorti che, ovviamente, una e l’altra sconfinano e si congiungono in una meravigliosa quanto fertile terra di mezzo.
Una volta preparati questi strumenti, questi occhiali da indossare (cosa che abbiamo fatto per 5 anni), li applichiamo ai brani in scaletta. Io lo faccio per prima, facendo modeling. Cioè facendo notare loro come farei io, se fossi nella loro situazione.
Ad esempio: da dove comincio? I miei studenti sanno bene che io ho vietato loro di iniziare dalle notizie biografiche dell’autore. Non ci provano nemmeno.
Ho ipotizzato varie strade: dal personaggio protagonista, dal conflitto (che è in tutti i testi), dal tema, che sanno bene non essere l’argomento del testo. Da lì, con occhiali da lettore, potranno eseguire connessioni con i loro saperi anche interdisciplinari fino ad arrivare al contesto storico, se vorranno, agganciandosi a elementi biografici dello scrittore, che io spesso metto al centro delle mie mini lezioni, ma solo se mi servono per entrare più profondamente nella comprensione e nell’analisi.
Oppure indosseranno prima gli occhiali da scrittore, e sveleranno i trucchi del testo, cioè quegli strumenti letterari che li hanno colpiti. Li chiamiamo “gancio o amo”. Cioè: perché questo testo lo ricordo? Cosa mi ha fatto risuonare qualcosa nel cuore o in testa? Dove sta la bravura dell’autore? C’è un verso che mi è caro? C’è un’espressione a cui ho collegato un episodio della mia vita?
Nel corso dell’anno abbiamo spesso usato frasi dei testi per scrivere dei QuickWrite, cioé brevi scritti personali partendo da espressioni dell’autore. Abbiamo sempre collegato italiano e storia come se camminassimo su un sentiero che si muove nel mezzo, gettando sguardi di qua e di là. Abbiamo anche cercato di stare attaccati tenacemente al presente. E questo ritorna con un processo metacognitivo. In scaletta c’è un bellissimo racconto di Nadia Terranova. Devono chiedersi: perché l’abbiamo letto? Spero si sovverranno del sentiero, appunto, che a ritroso conduce ad una delle poesie di Pascoli che ho fatto loro leggere, La tovaglia, dai Canti di Castelvecchio. Se sapranno anche solo esplicitare i due temi dei due testi in oggetto e cosa li lega credo che il loro incontro con i testi sarà stato fruttuoso.
Terzo punto.
Registro degli audio e glieli invio sul gruppo di classe. Sulla piattaforma Teams ho fatto dei gruppi di lavoro di cinque alunni per volta: lavorare tutti insieme in 25 non è fattibile, perchè non riesco a sentire tutti. Nei gruppi di lavoro non possiamo affrontare tutto e non voglio tenerli occupati per più di 45 minuti. Quindi mando degli audio modeling su cui lavorare per produrre il loro audio in risposta. Indico sostanzialmente dei percorsi possibili che loro stessi poi dovranno personalizzare su un testo a loro scelta. Certo, non sarà magari quello che si troveranno davanti all’esame. Lo scopo però è quello, appunto, di dare a tutti la possibilità di parlare, e non perchè ripetono un contenuto più o meno digerito a memoria, ma perchè hanno nella loro cassetta degli attrezzi degli strumenti su cui hanno lavorato e riflettuto. Anche in classe lavoravamo così, con degli speech di cinque minuti preparati partendo da un elemento iniziale a scelta.
Abbiamo fatto lo stesso in storia. Mi ricordo bene che affrontando la prima guerra mondiale qualcuno era partito dalla definizione di “secolo breve” ad esempio, qualcuno dal discorso a Quarto dei Mille, qualcuno dalla foto dell’arresto di Gavrilo Princip. Quindi, adesso, è ora che recuperino il lavoro fatto. Devo essere tuttavia io che li guido in questo recupero. Molti di loro hanno avuto tanti arresti nel loro percorso da quando è iniziata la pandemia, per i motivi più svariati che tutti conosciamo. Hanno avuto blackout e interruzioni magari di settimane. Quindi è mio compito aiutarli a rimettersi in carreggiata.
So che i ragazzi percepiscono l’importanza di questo esame. Non perché sia un rito, come qualcuno dice, o il vero primo esame (per molti forse anche l’unico) della loro vita. I miei studenti percepiscono l’importanza dell’esame perchè lo affrontano come un trampolino di lancio: sanno che stanno per fare un grande salto, e che dopo sarà solo affar loro. La rete della scuola che li ha portati fino alla scaletta del trampolino non ci sarà più.
Vogliono saltare e lo vogliono fare nel miglior modo possibile, volteggiando senza cadere malamente, perchè devono anche dimostrare qualcosa a loro stessi. Hanno in questo una serietà impressionante. Quindi sta a me, a noi compiere ancora questo ultimo sforzo insieme a loro.