Dentro la scatola nera #9. Valutazione e università: la voce delle e degli studenti

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Il nono articolo della rassegna estende la riflessione sulla valutazione con voto numerico all’ambito universitario, di cui indaga le modalità di valutazione degli esami di profitto e gli esiti del processo valutativo nell’opinione degli studenti. Al momento, non siamo al corrente di esperienze di valutazione alternativa al voto all’interno del contesto accademico italiano. 

 

Una delle tematiche cardine costantemente presente in contesto universitario è quella della valutazione. La valutazione è un aspetto fondamentale dell’insegnamento e dell’apprendimento, e costituisce un tema ricorrente e problematico in contesti universitari, sia per i e le docenti, soprattutto quando si parla di strumenti di valutazione, sia per le e gli studenti, che, come rilevano diversi studi internazionali, parrebbero avere un rapporto negativo con essa, a causa della difficoltà di ottenere riscontri utili sulle loro reali capacità ed effettivo rendimento.

In questo articolo affronteremo la valutazione universitaria partendo dall’ascolto e dall’analisi delle opinioni degli studenti, e riportando i risultati di uno studio svolto presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.

Innanzitutto, la letteratura sulla valutazione degli apprendimenti in contesto universitario a livello internazionale è vasta e il dibattito vivace, basti pensare alla rivista «Assessment and Evalutation in Higher Education»; in Italia, però, le ricerche che vertono su tale argomento sono poche[1].

Al fine di comprendere al meglio la tematica che stiamo affrontando, occorre partire da un’analisi del contesto a cui ci stiamo riferendo. La legge 240/2010 definisce le università

[…] sede primaria di libera ricerca e di libera formazione nell’ambito dei rispettivi ordinamenti, luogo di apprendimento ed elaborazione critica delle conoscenze; operano, combinando in modo organico ricerca e didattica, per il progresso culturale, civile ed economico della Repubblica.

L’istruzione superiore non comprende solamente il sistema universitario (università e istituti equivalenti) ma anche il sistema Afam (Alta formazione artistica e musicale) e il sistema terziario di istruzione tecnologica superiore[2].

Qui ci riferiremo solo al sistema universitario. L’istruzione superiore universitaria è proposta da 97 istituti di cui 67 università statali, 19 università non statali riconosciute e 11 università telematiche non statali riconosciute. I regolamenti delle università vengono approvati dal Ministero (Miur) e le e i docenti sono liberi di scegliere i metodi didattici che vogliono adottare.

L’autonomia degli atenei per ciò che riguarda la didattica e gli esami di profitto viene sancita con il decreto ministeriale 3 novembre 1999, n. 509 (Regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei) art. 11:

7. I regolamenti didattici di ateneo, nel rispetto degli statuti, disciplinano altresì gli aspetti di organizzazione dell’attività didattica comuni ai corsi di studio, con particolare riferimento:
[…]

c) alle procedure per lo svolgimento degli esami e delle altre verifiche di profitto, nonché della prova finale per il conseguimento del titolo di studio;

d) alle modalità con cui si perviene alla valutazione del profitto individuale dello studente, che deve comunque essere espressa mediante una votazione in trentesimi per gli esami e in centodecimi per la prova finale, con eventuale lode.

Al punto c si parla di esami, verifiche e prove finali, ovvero, in senso stretto, di valutazione. Possiamo intendere la valutazione come

l’atto (e al tempo stesso la conseguenza) dell’attribuzione di valore a qualcosa o qualcuno, a un fatto come a un evento o ad una o più numerose loro qualità. Per far diventare tuttavia punto di riferimento comune, intersoggettivo, il valore attribuibile o attribuito a qualcosa – non importa, per ora, se in modo più o meno empirico, più o meno arbitrario – occorre che le modalità e lo strumento di “misura” impiegati, cioè le operazioni compiute e il metro di paragone usato per attribuire quel dato valore a quel preciso evento, siano resi espliciti.[3]

Riferendoci al nostro contesto, ovvero l’università, è opportuno parlare di valutazione nelle Università. All’interno dei regolamenti didattici di ateneo troviamo le procedure e le modalità di valutazione ma, a livello nazionale, viene stabilito che la votazione per ogni esame debba essere in trentesimi (18 rappresenta la sufficienza) e in centodecimi per la prova finale (66 è il voto minimo); si può aggiungere la lode al valore massimo per entrambe le scale nel caso di particolare “merito”. Il carico di lavoro degli studenti viene riconosciuto tramite un sistema di crediti universitari (CFU).

La valutazione degli esami di profitto nell’università italiana è tuttora in gran parte normata dalle disposizioni in materia di attività per lo svolgimento degli “esami di profitto, di laurea e di diploma”, di cui all’art.87 del Regolamento Generale Universitario, che recepisce il R.D. 6 aprile 1924 n.674 e il successivo R.D. 4 giugno 1938 n.1269. Questa normativa stabilisce delle modalità generiche di accertamento del profitto, ovvero prova orale, scritta oppure scritta e orale. Vengono inoltre anche citate le prove pratiche, i colloqui e le prove di profitto svolte in itinere durante il corso.

Quando si parla di valutazione nelle università bisogna tenere in considerazione diversi fattori, tra cui la o il docente, la sua scelta delle prove di profitto e lo studente o la studentessa.

Per poter valutare bisogna esser messi in condizione di sperimentare e di incrociare più punti di vista, ridando corpo all’interdipendenza e alla collegialità all’interno della comunità educante.[4]

La valutazione operata dal docente universitario deve essere equa e trasparente, in linea con gli obiettivi di apprendimento. In Italia, ad oggi, non è ancora diffusa una cultura della valutazione, sia per la mancanza di riferimenti nazionali, sia per la mancanza di supporti per i docenti. Già negli anni Ottanta si parlava di queste mancanze. Sarebbe perciò necessario che tutti i docenti frequentassero un corso di docimologia, la scienza della valutazione. L’ANVUR ha permesso di avviare in Italia dei programmi di Faculty Development in vari atenei i quali, a volte, hanno anche incluso la formazione dei docenti universitari alla valutazione.

In secondo luogo occorre anche educare gli studenti. È importante che essi percepiscano la valutazione non come una sentenza, ma come una risorsa: si tratta di un feedback del lavoro svolto, di un punto di partenza per migliorarsi sempre. È bene che l’insegnante spieghi la sua valutazione e accompagni anche processo di autovalutazione, per far sì che la o lo studente lavori al meglio sui suoi punti di debolezza.

Il problema fondamentale nella visione dominante della valutazione è che si concepiscono gli studenti come soggetti passivi. Si presume, cioè, che gli studenti non abbiano altro ruolo se non quello di sottoporsi ad atti valutativi condotti da altri, per misurare e classificare. Essi si devono conformare alle regole e alle procedure decise da altri per soddisfare le esigenze della burocrazia della valutazione: si presentano a orari prestabiliti per gli esami, sui quali hanno poca o nessuna influenza, e completano compiti che sono, in linea di massima, determinati con poca o nessuna attenzione per coloro che vengono valutati.[5]

Ancora oggi la o lo studente nel processo valutativo è un oggetto di atti valutativi compiuti da altri. Le e gli studenti si devono uniformare a regole e procedure stabilite da altre persone e si devono presentare nei tempi prestabiliti per esami sui quali hanno scarsa, o nessuna, influenza.[6]

Se si vuole, però, parlare della relazione tra studenti e valutazione è fondamentale partire ascoltando e cercando di comprendere il loro punto vista. A tal fine, partiamo dai rilievi raccolti a livello nazionale e internazionale per poi esporre i dati che abbiamo raccolto all’interno dell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo.

Nonostante diverse ricerche internazionali abbiano dimostrato che se le o gli studenti vengono ascoltati sono in grado di fornire indicazioni per migliorare l’offerta formativa, ancora oggi il loro punto di vista non viene valorizzato nella valutazione dei processi didattici universitari.[7] Nel contesto accademico italiano, la valutazione degli apprendimenti è legata ad un approccio “tradizionale”, per cui essa si riduce «a una mera attività di controllo e di confronto tra obiettivi e risultati»[8], rimanendo «in generale, una pratica legata unicamente all’esame di fine corso, totalmente gestita dal docente […] con caratteristiche che si rifanno ad una funzione prevalentemente o esclusivamente certificatoria e selettiva»[9]. Bourke e MacDonald (2018), infatti, affermano che un approccio valutativo dove le o gli studenti analizzano e problematizzano le loro esperienze di apprendimento offre un contributo fondamentale nella valutazione dei processi didattici per prevenire la dispersione e l’abbandono.

I docenti devono far in modo che gli studenti diventino capaci di valutare le proprie prestazioni ma, a loro volta, gli studenti

non saranno in grado di farlo se gli approcci di valutazione e il feedback forniti dagli insegnanti terziari non sono costruiti per fornire informazioni per migliorare l’apprendimento, non forniti in modo tempestivo, non chiariscono gli standard di prestazione attesi, e sono considerati parte integrante del processo decisionale considerato ingiusto e incoerente.[10]

Spesso le e gli studenti non vengono informati sulle aspettative dei docenti e non è chiaro per loro ciò che viene richiesto, come si nota nella ricerca Students’ View on Assessment di Fiona McSweeney. Le percezioni che gli studenti hanno sulla valutazione influenzano il loro apprendimento e il loro rendimento[11]. Per cercare di comprendere meglio le percezioni delle e degli studenti universitari in merito alla valutazione osserviamo la ricerca di Giuseppe Filippo Dettori[12], che ha intervistato un numero ridotto di studenti (24) dell’ateneo di Sassari proprio in merito alla valutazione accademica. Quasi tutte e tutti gli studenti interpellati hanno ritenuto la valutazione dei loro docenti giusta, mentre 6 su 24, soprattutto nei corsi di laurea più numerosi, hanno ritenuto che alcuni esami fossero inadeguati, soprattutto gli esami orali estesi per diversi giorni. Da questa ricerca è anche emerso che si dà poco spazio ai processi di autovalutazione delle e degli studenti, che hanno inoltre fornito suggerimenti di pratiche di miglioramento: più appelli, più prove scritte, co-costruzione e condivisione delle prove, ascoltare maggiormente gli studenti. Occorre insistere su questo punto: le e gli studenti chiedono di valorizzare il loro punto di vista, cosa che invece viene a mancare in molti atenei.

Ora osserviamo ciò che è emerso dall’Università di Urbino.

Per prima cosa abbiamo predisposto un questionario per indagare la percezione e la visione delle e degli studenti in merito alla valutazione su Google moduli e lo abbiamo inviato agli studenti e alle studentesse (escluse le matricole) dei Corsi di Laurea in Scienze della Formazione Primaria, Scienze dell’Educazione e Pedagogia dell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo. Il questionario è stato inviato a 2243 studenti/studentesse e ha ricevuto 216 risposte (campione casuale) che esamineremo di seguito.

  1. Qual è il tuo rapporto con la valutazione? (216 risposte)
Fig. 1.

Dalla prima domanda emerge, nella maggior parte delle e degli studenti (60,6% – 131), un rapporto positivo nei confronti della valutazione, in riferimento sia al percorso scolastico che hanno affrontato prima di entrare all’Università, sia alla valutazione ricevuta durante la loro carriera universitaria. Abbiamo escluso le matricole proprio perché, nella maggior parte dei casi, non hanno ancora affrontato la valutazione universitaria e dunque non avrebbero avuto dati alla mano per poter esprimere il loro parere in merito. Ricordiamo che alcuni delle e degli studenti oggetto del questionario hanno affrontato la tematica della valutazione nel loro corso di studi, e dunque possono avere uno sguardo più chiaro e formato a riguardo. Una minima parte (12,5% – 27) afferma di avere un rapporto negativo con la valutazione e un’altra parte (26,9% – 58) afferma di non saper definire il proprio rapporto con la valutazione.

  1. C’è qualche aneddoto specifico – sulla valutazione – che ti ha segnato nel corso della tua carriera scolastica? (216 risposte)

Nella maggior parte dei casi non sono emersi particolari aneddoti. Ne riportiamo in seguito alcuni significativi:

“Come studentessa, la valutazione supportata da criteri e parametri logico/funzionali di docenti ha motivato lo studio e l’interesse alla materia”

“Prima media. Verifica di matematica. 2,8 in geometria. Seppur insufficiente, essendo stato calcolato in maniera più che rigorosa tramite percentuali, quel voto mi ha fatto capire meglio in cosa sbagliassi e quanto gravi fossero quegli errori per la docente. Mi ha segnato in positivo. Da quel 2,8 sono poi effettivamente migliorata.”

“Spesso ho percepito la sensazione che il voto fosse più legato alla persona quanto alla prova svolta.”

“Quando ricevevo delle motivazioni delle votazioni, anche se erano voti bassi, ero incitato a migliorare.”

In generale vengono riportati più aneddoti negativi che positivi. Forse questo è dovuto principalmente dal fatto che la prima cosa che viene in mente quando si parla di valutazione, pur non avendo un rapporto negativo con la stessa, sia un qualche evento negativo collegato ad essa o una qualche ingiustizia che, chi più chi meno, tutti abbiamo almeno una volta nella vita “vissuto”. Quello che si evince, fin da questa domanda, è la necessità di una valutazione che sia la più “oggettiva” possibile, ovvero riferita a parametri condivisi in partenza, e di avere docenti che stimolino l’apprendimento delle e dei loro studenti. Le principali ingiustizie vissute si legano al fatto che, durante il loro percorso scolastico, gli studenti e le studentesse si sono sentiti valutati non per ciò che avevano fatto e/o appreso, ma per il loro carattere, il loro aspetto, il loro modo di fare o per il loro intero percorso. C’è anche chi afferma di aver mantenuto, in alcune discipline, lo stesso voto numerico per tutto il percorso scolastico, pur avendo oggettivamente sostenuto prove con rendimento migliore o peggiore. Il problema principale rilevato è quindi quello di entrare in contatto con una valutazione poco “oggettiva” e molto “soggettiva”, ovvero arbitraria e insondabile, durante la propria carriera scolastica, e di non aver quasi mai ricevuto delle motivazioni in merito alle valutazioni date dai docenti.

  1. C’è qualche aneddoto specifico – sulla valutazione – che ti ha segnato nel corso della tua carriera universitaria, sino a questo momento? (216 risposte)

Nella maggior parte dei casi non sono emersi particolari aneddoti. Ne riportiamo in seguito alcuni significativi:

“In contesto universitario mi è capitato di assistere a favoritismi nei confronti degli studenti frequentanti piuttosto che dei non frequentanti sia rispetto alla mole di studio sia al momento della valutazione.”

“Dopo la pubblicazione della valutazione di un esame, dopo aver chiesto dove avessi sbagliato, non ho potuto vedere il compito e non ho mai compreso che tipo di errori avessi fatto.”

“Nell’arco della mia carriera universitaria (considerando anche la precedente laurea magistrale) ci sono stati almeno un paio di Prof./.sse che hanno somministrato prove d’esame o fatto colloqui orali con modalità molto più difficili e poco pertinenti rispetto al loro insegnamento, con il fine di mettere bassi voti o bocciare.”

“Mi ha segnato in positivo ho notato l’assegnazione dei voti per meritocrazia e fondati.”

“Il capire meglio cosa portare all’esame può sicuramente agevolare la riuscita dello stesso.”

Anche in questo caso vengono riportati più aneddoti negativi che positivi, e probabilmente la motivazione è la stessa riportata nella domanda precedente. Uno dei problemi maggiormente ricorrenti è la netta distinzione operata dai docenti tra studenti frequentanti e studenti non frequentanti, ci aspettavamo che ciò venisse espresso in quanto sentiamo spesso “aleggiare” questa problematica tra le aule universitarie. Si rileva dunque la necessità di una valutazione che sia chiara, in cui non subentrino favoritismi, che sia motivata da criteri dati in partenza. Le e gli studenti necessitano di avere chiaro il piano di studi, di comprendere come saranno valutati e su cosa saranno valutati, al fine di programmare uno studio adeguato. Anche la scelta della stessa tipologia di prova dovrebbe essere motivata dalla o dal docente. È importante, come già ripetuto, che il docente abbia chiaro ciò che sta valutando e che lo comunichi alle e agli studenti, frequentanti o meno, ed è allo stesso modo fondamentale che la o il docente, in seguito allo svolgimento di una prova scritta, consenta alla o allo studente di avere un colloquio affinché comprenda cosa non ha funzionato, al fine di attivare una riflessione finalizzata al miglioramento.

  1. Noti qualche miglioramento o peggioramento nel passaggio dalla valutazione scolastica alla valutazione universitaria? (216 risposte)
Fig. 2.

In questo caso la maggior parte delle e degli studenti non rileva cambiamenti nel passaggio dalla valutazione scolastica alla valutazione universitaria (43,1% – 93), oppure rileva un miglioramento (46,8% – 101). Un numero molto ridotto (10,2% – 22) rileva invece un peggioramento. Il non rilevare cambiamenti può essere letto sia in veste positiva che negativa, ovvero chi ha affermato di essere sempre stato valutato “ingiustamente” continua ad affermare di esserlo anche in ambito universitario, mentre chi ha affermato di essere sempre stato valutato in maniera “giusta” afferma di esserlo anche in ambito universitario. Il miglioramento rilevato può essere invece dovuto al fatto che, come abbiamo detto, alcune e alcuni studenti sono stati formati sulla valutazione e quindi hanno modificato il loro sguardo relativamente ad essa, o dal non aver rilevato le ingiustizie esposte nella seconda domanda in ambito universitario, ma lo analizzeremo meglio nella domanda seguente.

  1. In che senso? (216 risposte)

Riportiamo alcune delle risposte più significative:

“È più meritocratico.”

“I parametri sono sempre gli stessi a mio parere.”

“I docenti spiegano quali sono i criteri di valutazione.”

“I docenti sono più responsabili nell’assegnare la valutazione e se richiesto un colloquio esplicativo indicano punti di forza e debolezza della prestazione.”

Si rileva la necessità di una valutazione “meritocratica”, non influenzata da simpatie o stati d’animo della o del docente. Alcune e alcuni studenti affermano di preferire gli esami universitari perché la o il docente non è influenzato dall’intera carriera dello studente, cosa che invece può capitare in ambito scolastico. Sembrerebbe inoltre che si riconosca una maggiore formazione dei docenti universitari sulla valutazione rispetto ai docenti scolastici – pur essendoci, come sappiamo, ancora tanto lavoro da fare.

 

  1. Ti riconosci nei processi di valutazione ai quali sei “sottoposto/a? (216 risposte)
Fig. 3.

La maggior parte delle e degli studenti (75% – 162) si riconosce nei processi di valutazione universitari e dunque ritiene la valutazione ricevuta fino a questo momento “corretta”. Ciò significa che le e gli studenti reputano l’operato delle e dei docenti universitari soddisfacenti, lo ritengono “giusto” e ritengono le prove scelte adatte e adeguate a valutare la loro preparazione. Questa risposta è in linea con quanto emerso nel corso della prima domanda, ovvero la rilevazione di un rapporto positivo con la valutazione. Anche questa risposta potrebbe essere influenzata da una formazione delle e degli studenti in merito al tema in esame. Solo un quarto degli studenti  (25% – 54) non si riconosce nei processi di valutazione universitari.

  1. Perché? (216 risposte)

Riportiamo alcune delle risposte più significative:

“Rispecchiano l’impegno che impiego nello studio.”

“Perché i professori ti valutano per quello che realmente fai e non sulla base di convinzioni personali.”

“Perché prima di sostenere un esame il più delle volte so già il criterio valutativo adottato dal docente.”

“Ritengo che le prove di valutazione sottoposte all’università siano adeguate fino ad ora alla tipologia di insegnamento e alle conoscenze richieste.”

Chi ha risposto di riconoscersi nei processi di valutazione ai quali è sottoposto afferma di essere entrato a conoscenza della modalità di esame e dei criteri valutativi utilizzati dalla o dal docente prima della prova. Anche in questo caso viene riconosciuta una maggiore oggettività delle e dei docenti universitari rispetto ai gradi inferiori. Chi invece non si riconosce nella valutazione ricevuta afferma di aver subito ingiustizie o di non aver avuto la possibilità di confrontarsi con la o il docente dopo la prova.

  1. Le prove di verifica che ti sono state somministrate fino ad ora nel tuo percorso universitario le trovi congruenti al tipo di insegnamento che ti viene proposto/ al tipo di apprendimento che ti viene richiesto? (216 risposte)
Fig. 4.

In linea con la domanda precedente, la maggior parte delle o degli studenti (72,7% – 157) rileva che le prove utilizzate dalle e dai docenti sono adeguate all’insegnamento e quindi che c’è una scelta corretta e ragionata della prova da utilizzare. Chi invece ha risposto di no (27,3% – 59), afferma di essere sottoposto a prove non adeguate all’insegnamento proposto. Anche questa risposta risulta comunque in linea con le altre: un buon rapporto con la valutazione deriva anche dalla convinzione di essere valutati in modo corretto e che le prove scelte siano a loro volta adeguate.

  1. Trovi delle “differenze” tra la valutazione mediante prove scritte e la valutazione mediante prove orali? (216 risposte)
Fig. 5.

La maggior parte delle e degli studenti (63,9% – 138) afferma di trovare delle differenze tra la valutazione mediante prove scritte e la valutazione mediante prove orali. Sottolineiamo che, per quanto riguarda scienze della formazione primaria e scienze dell’educazione, ci stiamo riferendo a corsi di laurea molto numerosi ove la maggior parte degli esami prevede prove scritte piuttosto che orali, dunque la risposta potrebbe essere influenzata anche da ciò. Una parte più ridotta (36,1% – 78) afferma invece di non rilevare differenze tra la valutazione mediante prove scritte o orali. Potrebbe accadere che alcune e alcuni studenti considerino alcune prove più oggettive rispetto ad altre, oppure che semplicemente la loro preferenza di una tipologia di prova rispetto a un’altra influenzi anche il modo di vedere la valutazione della stessa. Nella domanda seguente entreremo nello specifico.

  1. Se sì, perché? (129 risposte)

Osserviamo alcune delle principali risposte:

“Perché le prove orali sono più condizionate da fattori emotivi.”

“Perché lo scritto e l’orale sono due modalità diverse di esprimersi, per quanto mi riguarda ho ottenuto alcune valutazioni sia allo scritto che all’orale ma noto differenze per il mio stato emotivo.”

“Negli scritti la valutazione è netta, sulla base di quello che c’è scritto; all’esame orale è invece meno netta la valutazione, puoi fare un collegamento extra che magari nell’esame scritto non ci sarebbe la possibilità di inserire.”

“Negli esami orali lo studente ha la possibilità di esprimersi e creare collegamenti dell’argomento, nelle prove scritte (sia per il tempo sia per non essere dispersivi), a parer mio, viene a mancare la possibilità di esprimersi al meglio.”

“Nelle prove orali la valutazione tiene conto di fattori molteplici rispetto al solo contenuto trasmesso, nelle prove scritte tutta la dimensione contestuale, la capacità di rielaborazione e spesso il poco tempo a disposizione comportano conseguenze più negative nella valutazione.”

Vi è chi preferisce le prove orali perché sente di potersi esprimere meglio e chi preferisce le prove scritte perché ha più tempo di pensare e pensa di ricevere una valutazione più oggettiva rispetto all’orale. Ricordiamo che la maggior parte delle e degli studenti a cui è stato sottoposto il questionario sono soliti essere esaminati tramite prove scritte anziché orali, perciò in molti hanno sottolineato la necessità, soprattutto per alcune tipologie di esami, di sostenere prove orali. Ovviamente, la scelta tra prove scritte e orali è dovuta anche a una preferenza relativa alla prova in cui una persona pensa di “riuscire meglio”.

  1. I docenti vi hanno reso partecipi della scelta della tipologia di prova di verifica? (216 risposte)
Fig. 6.

La maggior parte delle e degli studenti (61,6% – 133) afferma di non aver mai preso parte alla scelta della tipologia di prova di verifica, dunque di avere un ruolo passivo nella valutazione. Purtroppo ancora oggi il ruolo della e dello studente, a partire dalla scelta della prova di verifica fino ad arrivare alla valutazione della stessa, risulta essere passivo. Vi è comunque una minoranza (38,4% – 83) che afferma di essere stata partecipe della scelta della tipologia di verifica e questo, probabilmente, può essere dovuto al fatto che ci rivolgiamo a corsi di laurea umanistici dove i docenti sono maggiormente “attenti” e formati sulla valutazione.

  1. Vorresti esserlo? (216 risposte)
Fig. 7.

Quasi tutte e tutti gli studenti (88% – 190) vorrebbero essere coinvolti nella scelta delle prove di verifica. Si evince dunque la necessità di divenire soggetti maggiormente attivi nel processo di valutazione. Probabilmente, se fossero inclusi e incluse maggiormente nei processi di valutazione, molti problemi si risolverebbero. Le e gli studenti hanno bisogno di capire il perché di una scelta piuttosto che un’altra, hanno bisogno di confrontarsi con la o il docente, di comprendere i propri errori e di diventare anche più consapevoli dei loro apprendimenti.

  1. Vi sono momenti, in generale, dedicati a forme di autovalutazione? (216 risposte)
Fig. 8.

In questo caso troviamo, più o meno, un 50/50. Ciò significa che in alcuni casi (52,8% – 114), e in alcuni corsi di laurea, si prevedono forme di autovalutazione, mentre in altri no (47,2% – 102). Le forme di autovalutazione sono molto utili e formative al fine di divenire più consapevoli dei propri apprendimenti e di valutare le proprie conoscenze e competenze. Come abbiamo già visto, sono tanti gli studi che sottolineano l’utilità dell’autovalutazione ma, purtroppo, ancora oggi, non è una pratica molto diffusa. In questo caso troviamo però una buona metà di studenti che afferma di essere sottoposti a prove di autovalutazione e penso che ciò sia legato alle tipologie di corsi di laurea ai quali ci siamo rivolti, come affermato in precedenza.

  1. Hai dei “consigli” per migliorare la valutazione universitaria? (126 risposte)

Riportiamo alcune delle risposte più significative:

“L’autovalutazione può essere molto utile per capire il livello di preparazione e quali sono gli obiettivi dello studio.”

“Mi piacerebbe vedere le prove scritte per capirne gli errori e cosa avrei potuto fare meglio.”

“Seguire criteri oggettivi e promuovere modalità di valutazione alternative per far emergere a pieno le conoscenze e le potenzialità degli universitari.”

“Spiegare agli studenti finalità e metodi della valutazione per permettere di viverla con più serenità e abbassare i livelli di ansia e stress.”

“Credo sia fondamentale rendere in generale gli studenti più partecipi motivando il perché di una scelta in base alla valutazione così che anche gli studenti possano avere chiaro la motivazione di quella determinata scelta.”

In generale le e gli studenti appaiono soddisfatti della valutazione ricevuta fino a ora, ma suggeriscono comunque alcune azioni per migliorare tale processo.

In conclusione, possiamo affermare che le e i docenti in primis devono essere formati sul processo di valutazione e, in seguito, devono informare le e gli studenti, rendendoli partecipi del perché hanno scelto un particolare tipo di prova anziché un’altra e di ciò che andranno a valutare tramite tale prova. Le e gli studenti hanno bisogno di sentirsi valutati nel modo più oggettivo possibile, hanno bisogno di comunicazione con i docenti, hanno bisogno di imparare ad autovalutarsi e di essere ascoltati. Procedendo in tal modo e attuando tali pratiche possiamo migliorare la relazione alunno/a-valutazione al fine di migliorare anche la qualità dell’università.


Note

[1] S. Pastore, Valutare (per migliorare) la qualità didattica del sistema universitario italiano: il progetto IDEA, «MeTis», dicembre 2015

[2] Istituzioni universitarie accreditate – Miur

[3] G. Domenici, Manuale della valutazione scolastica, Laterza, Roma-Bari, 2007

[4] Movimento di Cooperazione Educativa, Dossier-La valutazione, maggio 2014

[5] D. Boud, N. Falchikov (a cura di), Rethinking Assessment for Higher Education: Learning for the Longer Term, Routledge, Londra, 2007

[6] Boud, Falchikov (a cura di.), Rethinking assessment in higher education: Learning for the longer term, cit.

[7] G.F. Dettoria, Students’ view about university assessment Il punto di vista degli studenti sulla valutazione universitaria, « Form@re», settembre 2020

[8] D. Lipari, Progettazione e valutazione nei processi formativi, “Percorsi”, n. 27, Edizioni Lavoro, Roma, 1995

[9] M. Fedeli, V. Grion, D. Frison, Coinvolgere per apprendere. Metodi e tecniche partecipative per la formazione, Pensa MultiMedia, Lecce-Brescia, 2016

[10] R.B. Fletcher et al , Faculty and Students Conceptions of Assessment in Higher Education, «Higher Education», luglio 2012

[11] K. Struyven, F. Dochy, S. Janssens, “Students’ Perceptions about Evaluation and Assessment in Higher Education: A Review”, «Assessment & Evaluation in Higher Education», settembre 2005

[12] Dettoria, Students’ view about university assessment Il punto di vista degli studenti sulla valutazione universitaria, cit.

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Marta Salvucci

Marta Salvucci (1996) si è laureata nel 2020 in Scienze della formazione primaria presso l’Università di Urbino con una tesi intitolata: “Il PraDISP: Prassi Didattiche dell’Insegnante di Scuola Primaria”. Dopo la laurea è stata nominata cultrice della materia in docimologia, pedagogia sperimentale e didattica generale presso la medesima università, dove svolge attualmente un dottorato di ricerca sul tema “L’educazione alla sostenibilità ambientale. La costruzione di un habitus green in ambito scolastico”.

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