Dentro la scatola nera #4. La valutazione come strumento di cittadinanza

Tempo di lettura stimato: 18 minuti
Quarto articolo della rubrica, a cura di Sonia Bacchi, sui “racconti di scuola senza voto”. Partire dalla valutazione per trasformare la scuola: un’esperienza alla scuola secondaria di primo grado.

 A quattordici, a sedici anni, sono ancora sottoposti al trattamento meschino dei brutti voti con i quali i professori giudicano il loro lavoro: è un metodo analogo a quello con cui si pensano gli oggetti inanimati con l’aiuto meccanico della bilancia. Il lavoro è misurato come una materia inanimata, e non giudicato come un prodotto della vita. Ed è da questi voti che dipende l’avventura dello studente. In queste condizioni, gli studi costituiscono un fardello opprimente che pesa sulla gioventù, mentre dovrebbero rappresentare un privilegio: l’iniziazione alla scienza, orgoglio della nostra civiltà. I giovani, cioè gli uomini del futuro, vengono modellati in uno stampo ristretto e artificiale. Che vita miserabile gli viene offerta, che castigo senza fine, quale stupida rinuncia alle loro più care aspirazioni.

Maria Montessori[1]

 

Principi di scuola, democrazia e costituzione

La scuola italiana del primo ciclo è guidata nei suoi principi e nelle sue scelte operative da un documento visionario: le Indicazioni Nazionali per il curricolo. Il documento risale al 2012[2] ed è stato integrato nel 2018[3]. Al suo interno vi è tutto ciò che serve al singolo docente, ai consigli di classe e ai collegi dei docenti per pensare, progettare e realizzare una scuola capace di rispondere alle esigenze del mondo contemporaneo, offrendo a studenti e studentesse gli strumenti culturali e personali per “imparare a stare al mondo”.

È proprio nella prima pagina delle Indicazioni che compare l’espressione “saper stare al mondo”, che diventa una sorta di manifesto del compito che oggi, in un contesto educativo e sociale sempre più complesso e diversificato, la scuola deve avere il coraggio di assumersi: quello di accompagnare bambine e bambini, ragazze e ragazzi a prendere consapevolezza di sé come individui e come parte di una società, nella quale il loro intervento è e sarà determinante per il bene comune.

La scuola delle Indicazioni è la scuola della Costituzione, che riconosce e garantisce libertà e uguaglianza, nel rispetto delle differenze di tutti e dell’identità di ciascuno, affinché ognuno possa «svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società»[4].

La scuola deve dunque essere prima di tutto uno spazio democratico, capace di formare persone che sappiano lavorare insieme per costruire il bene comune, collaborando e trovando compromessi, nel futuro così come nel tempo che stanno vivendo nel presente. Se la sua più evidente finalità è essere spazio di apprendimento, oggi più che mai deve diventare anche centro di produzione sociale e culturale, capace di incarnare e vivere i valori della Costituzione e di irradiarli al di fuori dell’edificio.

Il pedagogista francese Philippe Meirieu vede in questa prospettiva una grande possibilità, quella di «sostituire i principi impliciti di funzionamento, imposti dalla pressione sociale, […] con principi di funzionamento espliciti, offerti all’intelligenza di tutti e che costituiscano, nello stesso tempo, punti di riferimento per gli insegnanti, gli allievi e l’intero corpo sociale»[5].

Questa esigenza diventa ancora più impellente se ci si ferma a riflettere su quanto sia imprevedibile il futuro che attende le nuove generazioni. Benché questa prospettiva non sia nuova, già ne parlava Maria Montessori negli anni Trenta del Novecento[6], oggi più che mai le agenzie educative sono poste di fronte al problema di ciò che è necessario insegnare affinché domani cittadini adulti siano consapevoli dell’importanza del loro contributo e dei compiti che dovranno assumersi per realizzare pienamente la propria vita e quella della società in cui vivranno.

«Bisognerebbe insegnare dei principi di strategia che permettano di affrontare l’alea, l’inatteso e l’incerto e di modificare il loro sviluppo grazie a informazioni acquisite strada facendo», afferma il filosofo Edgar Morin[7]. Gli fa eco con parole simili Yuval Noah Harari «Dunque, che cosa dovremmo insegnare? Molti esperti di pedagogia ritengono che le scuole dovrebbero impostare la didattica sulle “quattro C”: critica, comunicazione, collaborazione e creatività. Più in generale le scuole dovrebbero ridurre le conoscenze tecniche specifiche e sviluppare le abilità utili alla vita in generale. La più importante delle quali sarà la capacità di gestire il cambiamento, di imparare nuove cose e di mantenere il controllo in situazioni di emergenza»[8].

La scuola dunque è uno spazio politico, che deve porsi come obiettivo prioritario far crescere e sviluppare la democrazia, permettendo a ciascuno e a ciascuna di prendere parte alla vita democratica[9]. Deve essere anche spazio comune, costruito in collaborazione da tutti gli attori in gioco – ragazzi e ragazze, docenti, famiglie, territorio – in cui il paradigma democratico non è solo veicolato dai contenuti, ma è in primo luogo vissuto, esperito, assorbito grazie alla messa in atto di pratiche concrete di condivisione, collaborazione, cocostruzione. È uno spazio in cui tutte le differenze possono esprimersi, in cui nello stesso tempo tutti partecipano a un’avventura comune alla scoperta di ciò che unisce[10].

La scuola democratica nella pratica: partire dalla valutazione

Sul piano didattico e pedagogico, queste scelte di principio devono realizzarsi nella pratica e nelle strategie quotidiane, che devono consentire ai ragazzi e alle ragazze di partecipare attivamente alla costruzione del proprio futuro, di comprendere il mondo in modo approfondito e consapevole, di possedere i saperi fondamentali. Il fine ultimo è quello di raggiungere l’emancipazione, «condizione di esercizio della democrazia»[11], senza la quale non è possibile la libertà.

Alla luce di queste considerazioni, ci si chiede dunque come sia possibile tradurre nella pratica i principi di democrazia espressi nelle Indicazioni nazionali. L’operazione non è semplice né scontata, perché deve essere messa in atto in un tessuto scolastico ancora legato a tradizioni, modi di fare e di essere, che sembra impossibile scardinare.

Per farlo, una strada possibile è quella di intervenire in modo radicale sull’elemento portante della scuola stessa, su ciò che determina la sua identità: la valutazione.

La valutazione è un processo complesso e delicato: contribuisce all’immagine che l’individuo sta formando di sé, offrendogli strumenti di lettura e analisi, e determina la riflessione costante sulle strategie didattiche. È qualcosa di vivo, in evoluzione, e prende forma con l’esperienza, il tempo e la pratica. Le sue tre azioni fondamentali sono quelle di misurare, dare valore e interpretare. Il primo compito è quello di rilevare gli apprendimenti attraverso strumenti il più possibile rigorosi (griglie di osservazione, rubriche di valutazione, diari di bordo, ecc.); il secondo è dare valore al percorso e ai risultati, rispettando le specificità di ciascuno; il terzo è di saper leggere e comprendere in modo profondo l’oggetto, trasformando la valutazione in un paradigma di comprensione della realtà[12].
La valutazione degli apprendimenti nella scuola è, però, ancora fondata quasi esclusivamente sulla misurazione. I docenti troppo spesso si limitano ad assegnare un voto numerico[13], con il quale «pesano l’oggetto»[14], misurano la prestazione, collocano il soggetto in una classifica. Il rischio di comunicare quest’unico aspetto porta alla comparazione in base ai livelli di performance, dannosa sia sul piano dell’apprendimento autentico, sia su quello del messaggio educativo. Si tratta perlopiù di valutare la conoscenza dei contenuti, anziché rispondere alle necessità formative più autentiche e profonde degli studenti e delle studentesse[15], ritenute indispensabili dalle stesse Indicazioni nazionali, e costruire insieme a loro strumenti di lettura e interpretazione di sé stessi e della realtà, così come paradigmi di vita comune.

Ripensare, dunque, la valutazione in termini formativi e formatori[16] può essere il primo passo per avviare la scuola verso una trasformazione democratica. La valutazione, infatti, è forse lo strumento più politico all’interno nello spazio politico della scuola, dove il voto numerico[17] continua a essere strumento privilegiato per agire controllo e potere arbitrario, è usato come minaccia, contribuisce a sviluppare una forma malata di competitività tra soggetti in crescita, favorendo l’individualismo e attribuendo valore solo al risultato, a scapito del valore del percorso e delle fatiche individuali, restituisce una realtà dicotomica tra buono e cattivo, tra giusto e sbagliato, mostrando tutta la sua incapacità di leggere la complessità del reale e dei processi di apprendimento[18].

Eliminare, o ridurre al minimo indispensabile, il voto numerico nel processo di insegnamento-apprendimento, sostituendolo con strumenti dialogici, narrativi e descrittivi[19], è quindi il punto di partenza per rivoluzionare non solo la valutazione in sé, ma l’intero impianto della scuola, dal momento che la valutazione, per sua natura, è fusa con la pratica didattica quotidiana, la precede, la accompagna e la segue. Trasformare la valutazione con una tensione democratica, quindi, significa trasformare a cascata la didattica e, in ultima istanza, trasformare il modo stesso di stare in classe. E il modo in cui si vive la classe come comunità diventa paradigma di come si può vivere nel mondo da cittadini che conoscono il valore della democrazia.

Valutare con la parola: la valutazione dialogica, un’esperienza pratica

Ma che cosa utilizzare per provare a fare questo “salto democratico”? La risposta ci viene da Charles Hadji. Egli afferma che valutare vuol dire parlare[20], quindi valutare è un atto di comunicazione con utilità pedagogica in cui la parola è al centro: non una parola che giudica, ma una parola inserita in un dialogo, in uno scambio continuo tra il docente e l’allievo, tra il docente e la classe, tra gli allievi stessi. Il valutatore che usa la parola deve avere bene in mente a chi si sta rivolgendo, che cosa gli vuole comunicare, perché sta valutando.

Lo strumento che nel 2014 ho introdotto alla scuola secondaria di primo grado “Sandro Pertini” di Vercelli è la valutazione dialogica[21]. Gli apprendimenti di studenti e studentesse sono valutati tramite la parola dialogata, sia in itinere sia al termine dei quadrimestri.
La valutazione dialogica:

  • è narrativa, perché racconta il percorso di apprendimento, creando uno spazio dedicato, in cui l’alunno non è un numero, ma un individuo con specifiche caratteristiche, diverse da quelle di tutti gli altri e che, proprio per questo, merita parole specifiche;
  • è descrittiva, perché fotografa senza giudizio morale il punto di partenza e il punto di arrivo di ciascun alunno, a partire dalla sua esperienza soggettiva;
  • è qualitativa, perché fa emergere il soggetto, mette in risalto il processo, valorizzando gli aspetti positivi e mettendo in luce le criticità;
  • è comunicativa, perché si mette al servizio della formazione, si rivolge all’alunno, precisando quali cambiamenti si vogliono far produrre, comunica le strategie che devono essere messe in atto, uscendo dalla logica del mero controllo e permettendo all’alunno di trovare, con l’aiuto del docente, la propria strada;
  • è coinvolgente, perché crea un’alleanza autentica tra tutti gli attori in gioco: alunni, genitori e insegnanti;
  • è interpretativa, perché come modello fa sì che gli alunni imparino dapprima a leggere, analizzare e strutturare il loro apprendimento e in seguito a fare lo stesso con la realtà;
  • è al servizio dell’azione, perché consente di riflettere sull’efficacia dell’insegnamento e di agire in modo più mirato;
  • è connessa al percorso di apprendimento, con il quale condivide criteri, obiettivi, fasi di lavoro, strumenti. Strutturare i percorsi di apprendimento in collaborazione con alunni e alunne significa permettere loro di imparare a strutturare il pensiero, per affrontare in modo razionale le questioni che si porranno nella vita individuale e collettiva;
  • è consapevolizzante, perché prevede, attraverso attività di autovalutazione individuale e collettiva, la partecipazione e la presa di coscienza delle proprie potenzialità e dei propri limiti;
  • è nello stesso tempo sfidante e inclusiva, perché stimola al superamento dei propri limiti, valorizzando le risorse di ognuno;
  • è in linea con le Indicazioni nazionali per il curricolo, perché entra nello specifico delle competenze;
  • è democratica, perché ragazzi e ragazze concorrono alla progettazione, hanno la libertà di contribuire attivamente alle scelte relative alla valutazione dei loro apprendimenti[22] e perché i genitori sono attivamente coinvolti a livello educativo e partecipano in modo più consapevole al percorso di apprendimento dei loro figli.

In questa prospettiva valutare dialogicamente significa che la valutazione diventa essa stessa strumento di apprendimento.

L’ambiente che scaturisce da questo contesto è centrato sulla discussione, la comunicazione, il lavoro cooperativo, la negoziazione di scelte, valori e significati. Affinché l’esperienza di apprendimento sia autentica e profonda, inoltre, i saperi sono contestualizzati nella realtà, al fine di migliorarla[23], mentre responsabilità, coinvolgimento, condivisione di situazioni positive e critiche offrono modelli virtuosi di convivenza e di esercizio della prosocialità.

Il compito dell’insegnante non è più dunque solo quello di trasferire in modo neutro un sapere, ma quello di costruire un’azione educativa e di organizzazione della classe di cui egli stesso è l’esempio coerente rispetto all’esercizio della cittadinanza[24].

Due modelli di valutazione, due modelli di scuola, due modelli di società

In sintesi, se il voto numerico, continuo e pervasivo[25], appiattisce l’apprendimento riducendolo ai singoli momenti di misurazione, la valutazione dialogica accompagna il processo costante di imparare a imparare. Se il voto numerico è strumento di controllo e potere, che lascia nelle sole mani del docente il destino dello studente, la valutazione dialogica è strumento di responsabilità e di organizzazione della libertà dell’individuo e del gruppo. Se il voto numerico crea competizione e individualismo, la valutazione dialogica apre lo spazio al riconoscimento delle capacità di ciascuno, alla collaborazione, alla condivisione e alla cooperazione, che si realizzano tramite il compromesso e la risoluzione pacifica dei conflitti. Se il voto numerico semplifica e restringe il campo a una prospettiva binaria, la valutazione dialogica allarga l’orizzonte e permette la lettura profonda e critica di sé stessi e della realtà. Se il voto numerico valuta l’addestramento, finalizzato al semplice superamento delle prove, la valutazione dialogica legge, interpreta e restituisce tutti i passaggi del processo di apprendimento, che è continuo e graduale[26]. Se il voto numerico è inserito in un contesto di scambio ed è esso stesso motivazione estrinseca (studio per ottenere un voto che mi identifica, mi colloca in una classifica e mi fa raggiungere un premio), la valutazione dialogica stimola la motivazione intrinseca, l’interesse, il desiderio di apprendere e il senso del dovere (studio perché è il mio dovere di giovane cittadino, perché è importante per la mia vita, perché mi piace apprendere e condividere quanto ho appreso).

I due modelli di valutazione sono lo specchio di due idee opposte di scuola che, a loro volta, veicolano due idee opposte di società. Sta ai docenti, alle famiglie, agli studenti decidere quale scuola vogliono oggi e, di conseguenza, in quale società vorranno vivere domani.


Note

[1] Maria Montessori, Dall’infanzia all’adolescenza, Franco Angeli, Milano 2009, p. 92.

[2] Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, Annali della Pubblica Istruzione, Numero speciale 2012

[3] Indicazioni nazionali e nuovi scenari, Documento a cura del Comitato Scientifico Nazionale per le Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, 2018

[4] Costituzione della Repubblica italiana, Art. 4.

[5] Philippe Meirieu, Fare la Scuola, fare scuola. Democrazia e pedagogia, Franco Angeli, Milano 2015, p. 46.

[6] «Precisiamo che la caratteristica sociale della nostra epoca destinata a suscitare le ripercussioni più forti è, nello specifico, l’incertezza del futuro. Il mondo materiale, in totale evoluzione, presenta la precarietà e i pericoli dovuti a un assestamento nuovo. […] Bisogna ora affrontare nuove difficoltà che l’insicurezza delle condizioni moderne ha fatto nascere. […] In queste condizioni sociali, dobbiamo ricordare che l’unica guida sicura per l’educazione è la personalità stessa dei bambini da educare. È necessario, perciò, preparare la personalità umana alle eventualità impreviste, e non più soltanto considerando le condizioni che la sola logica prevedeva. È necessario sviluppare in essa, evitando ogni rigida specializzazione, una capacità di adattamento flessibile e pronta. […] La capacità di adattamento è essenziale al giorno d’oggi; poiché se il progresso apre continuamente nuove carriere, continuamente pure sopprime o rivoluziona le attività lavorative tradizionali. […] L’educazione deve essere ampia e completa», in Montessori, Dall’infanzia all’adolescenza. Nuova edizione a cura di Clara Tornar, cit., pp. 89-90. È

[7] Edgar Morin, Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’educazione, Raffaello Cortina Editore, Milano 2015, p. 35.

[8] Noah Yuval Harari, 21 lezioni per il XXI secolo, Bompiani, Milano 2018, p. 343.

[9] Philippe Meirieu, Fare la Scuola, fare scuola. Democrazia e pedagogia, trad.it. di Enrico Bottero, Franco Angeli, Milano 2015, p. 41.

[10] Meirieu, Fare la Scuola, fare scuola. Democrazia e pedagogia, cit., p. 42.

[11] Meirieu, Fare la Scuola, fare scuola. Democrazia e pedagogia, cit., p. 43.

[12] “Si valuta allora per interpretare, cioè rendere la realtà intelligibile, enuclearne il significato≫ in Charles Hadji, La valutazione delle azioni educative, ELS La scuola, Brescia 2017, p. 21.

[13] «… si può vedere nella scuola una società che riunisce allievi, i loro genitori e gli insegnanti attraverso la circolazione di voti. Tale è, dal punto di vista della valutazione, il primo fatto importante. Che cosa si fa nel campo scolastico? Si producono, si negoziano, si discutono, si fanno circolare dei voti», in Hadji, La valutazione delle azioni educative, cit., p. 15.

[14] Hadji, La valutazione delle azioni educative, cit., p. 20.

[15] Antonio Calvani propone una tassonomia ridotta a tre tipologie di obiettivi cognitivi: conoscenza di superficie (termini/concetti/procedure), conoscenza approfondita (relazioni/interpretazioni/estrapolazioni), conoscenza generativa (schemi e modelli concettuali trasferibili) in Antonio Calvani, Come fare una lezione efficace, Carocci Faber, 2014, Roma, p. 69.

[16] «La valutazione formatrice è il risultato di una ricerca condotta dal 1974 al 1977 presso il Lycée de Marseilleveyre, a Marsiglia. L’obiettivo era quello di studiare gli effetti del comportamento del valutatore sul rendimento degli alunni in difficoltà. Georgette Nunziati e Jean-Jacques Bonniol, ricercatori dell’Università della Provenza, conducono questa ricerca insieme ai docenti delle classi 2AB e 1G dell’istituto di Marsiglia. Obiettivi prioritari ed essenziali della valutazione formatrice sono:

  • l’appropriazione da parte degli alunni dei criteri degli insegnanti;
  • l’autogestione degli errori dello studente;
  • la padronanza degli strumenti per anticipare e pianificare l’azione valutativa».

Testo tradotto da
https://www.barbeypedagogie.fr/4-didactique-1/georgette-nunziati-l-évaluation-formatrice/. Per ulteriori informazioni sulla valutazione formatrice si veda anche Charles Hadji, cit., p. 106 e sgg.

[17] «[…] la valutazione è ridotta all’impiego intensivo della misura e alla produzione di indicatori quantitativi. La valutazione è allora vista come minaccia (Butera, Buchs, Darnon, 2011), comparata a una tirannia (Del Rey, 2013), generatrice di paure (Hadji, 2012); appare come strumento al servizio del controllo, dell’accountability e della sanzione» in Renata Viganò, La valutazione come esercizio di cittadinanza responsabile. Snodi e prospettive nei sistemi educativi e formativi, Giornale italiano della ricerca educativa, anno X, numero 19, Dicembre 2017, p. 76.

[18] «[…] mentre il controllo normalizza (in funzione di una verità prestabilita), gerarchizza (le componenti della realtà), spossessa (i controllati), sanziona e conserva (l’istituito), la valutazione interroga, chiarifica (il che produce una comprensione e un cambiamento), facilita l’espressione democratica, dinamicizza l’azione e si iscrive in una corrente “istituente”», in Hadji, La valutazione delle azioni educative, cit., p. 32.

[19] In La valutazione delle azioni educative, cit., p. 31, Charles Hadji cita gli studi di Jean Cardinet, che si è interrogato sulla possibilità di “valutare senza giudicare” e che è giunto alla conclusione che una valutazione descrittiva è la sola che sia compatibile con una relazione d’aiuto: «La valutazione formativa desiderabile è un’informazione di ritorno multidirezionale, che si rivolge all’alunno, invece di vertere sull’alunno».

[20] Hadji, La valutazione delle azioni educative, cit., p. 35.

[21] L’espressione “valutazione dialogica” è stata coniata dal professor Ferdinando Ciani e dal gruppo dei docenti della Scuola del gratuito, a cui l’esperienza di valutazione senza voto numerico di cui si sta trattando deve la sua esistenza. Per avere maggiori informazioni  sull’esperienza Cristiana Cau, Patrizia Pomati, Carolina Vergerio, Crescere ed educare nella complessità, in Pedagogia dell’emancipazione e valutazione. Dare valore all’apprendimento: idee e pratiche, a cura del Gruppo Valutazione MCE, 2020. È stato possibile ideare, progettare e vivere questa esperienza grazie a una forte coesione e collaborazione da parte dei consigli di classe coinvolti, ma soprattutto grazie allo spazio di fiducia, libertà e sperimentazione che la dirigente Ferdinanda Chiarello è riuscita a costruire negli anni con la sua competenza didattica e pedagogica e la sua umanità.

[22] «I dirigenti scolastici e i docenti, con le modalità previste dal regolamento di istituto, attivano con gli studenti un dialogo costruttivo sulle scelte di loro competenza in tema di programmazione e definizione degli obiettivi didattici, di organizzazione della scuola, di criteri di valutazione, di scelta dei libri e del materiale didattico. Lo studente ha inoltre diritto a una valutazione trasparente e tempestiva, volta ad attivare un processo di autovalutazione che lo conduca a individuare i propri punti di forza e di debolezza e a migliorare il proprio rendimento»m dallo Statuto delle studentesse e degli studenti, DPR 24 giugno 1998, n. 249, reperibile all’indirizzo
https://www.miur.gov.it/documents/20182/49997/Statuto+delle+studentesse+e+degli+studenti.pdf/53c11c3e-97d9-428a-94fc-911b45e32269?version=1.0&t=1476271671086

[23] «Dopo i dodici anni dobbiamo sviluppare in lui (nel ragazzo ndr) la sensibilità verso la società, la quale deve contribuire a portare più comprensione verso gli uomini, e di conseguenza, più amore. Sviluppiamo a questo scopo l’ammirazione e la comprensione del lavoro e della vita dell’uomo. Insistiamo sulle esercitazioni pratiche. Facciamo partecipare il ragazzo a qualche lavoro sociale», in Maria Montessori, Dall’infanzia all’adolescenza. Nuova edizione a cura di Clara Tornar, Franco Angeli, Milano 2009 p. 89 e ancora «La coscienza della propria utilità, la consapevolezza che si può aiutare l’umanità con molti mezzi riempiono il cuore di una nobile fiducia, di una dignità quasi religiosa», ibidem, p. 95.

[24] Indicazioni nazionali e nuovi scenari, Documento a cura del Comitato Scientifico Nazionale per le Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, 2018, pp. 15-16.

[25] «L’eccesso di valutazione genera diffidenza, perdita di fiducia in sé e nell’altro; per dirla con Birman (2010), si provoca “una riduzione del pensiero”. Quando la valutazione non rispetta la singolarità e i tempi di chi apprende diventa rapidamente controproducente: non è più avvaloramento ma deprezzamento, non favorisce l’apprendimento ma lo rallenta e lo inibisce. Le troppo frequenti richieste di dar conto a ciò che si è appreso mentre ancora non lo si è acquisito, costruito, compreso, indeboliscono il soggetto che non trova modo e tempo per dare ragione, prima di tutto a sé stesso, di ciò che sta imparando», in Viganò, cit. p. 73.

[26] Per Charles Hadji la funzione dell’insegnante non è quella di esaminare, ma quella di facilitare l’apprendimento, in Hadji, La valutazione delle azioni educative, cit., p. 69.

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Carolina Vergerio

Dopo la laurea in Lettere ha conseguito un dottorato di ricerca in Scienze e Progetto della Comunicazione presso l’Università degli studi di Torino. Ha lavorato per RaiSat al programma Mosaico, dedicato alla scuola. In seguito ha lavorato al Museo del Cinema di Torino, presso l’Ufficio Manifestazioni esterne.
Dal 2005 è docente di Lettere nella scuola secondaria di primo grado, dedicando particolare attenzione alle attività di contrasto alla dispersione scolastica. Dal 2016 al 2020 ha coordinato le attività di Cittadinanza e Costituzione presso la scuola secondaria di primo grado “Sandro Pertini” di Vercelli, collaborando attivamente con Gariwo e realizzando nella scuola il primo Giardino dei Giusti del capoluogo piemontese.
Nel 2014 ha ideato e coordinato nell’istituto il progetto di valutazione dialogica, giunto oggi al suo terzo ciclo. Su questo tema partecipa a conferenze e organizza corsi di aggiornamento e formazione.

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