Come non insegnare l’Europa

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Da «La ricerca» #12, l’editoriale del Dossier dedicato alle incertezze e le incongruenze nel presentare l’Europa sui testi scolastici, e di come abbiano pesato, ad esempio, nel dibattito inglese sulla Brexit.
La piazza centrale al parco Mini Europe di Bruxelles.

Di solito in questi Dossier traduciamo riflessioni di autori stranieri, nell’idea che un punto di vista diverso possa contribuire a chiarire i problemi che troviamo a casa nostra. Se questo approccio a volte ha funzionato, in questa occasione, relativamente cioè al problema di se e come il processo di unificazione europeo vada spiegato nelle scuole, si rivela inadeguato. In nessun Paese esiste una pedagogia dell’Europa: non vi sono all’estero buone pratiche o soluzioni didattiche efficaci per risolvere un problema la cui complessità è testimoniata da questo numero della Ricerca.

La moltiplicazione dei punti di vista, anzi, diventa in questo caso una difficoltà ulteriore, quasi la sanzione definitiva dell’irresolubilità di certe questioni. Ad esempio quello di offrire agli studenti di tutto il continente un manuale scolastico di storia europea, capace cioè di andare oltre la dimensione nazionale, un’opportunità che se fosse stata messa in atto mezzo secolo fa, alla nascita dell’Unione, avrebbe probabilmente cambiato la storia del continente, come suggerisce Franco Cardini in questo numero della Ricerca. Perché questa meta rimanga ancora oggi irraggiungibile lo spiega l’articolo di Joke van der Leeuw Roord, segretaria di EUROCLIO, l’associazione europea degli insegnanti di storia creata nel 1992 dal Consiglio di Europa proprio per favorire la crescita della consapevolezza di una comune appartenenza a partire dalle scuole. Risulta che in realtà sono falliti persino tutti i tentativi di proporre una visione storica unificata a livello regionale, specialmente nelle aree problematiche dei Balcani e delle Repubbliche ex sovietiche.

Ancor meno confortante è il resoconto fornito da Arnaud Brennetot su come l’Europa è presentata nei testi di geografia politica di diversi Paesi, sia europei sia extraeuropei. Conta non tanto una comprensibile diversità degli approcci, quanto il fatto un po’ paradossale che da una parte l’Europa sia sempre presentata come un’evidente realtà geografica, dall’altra però non vi sia consenso su quali siano i suoi confini fisici. E ancor più incongruente, ma non per questo meno frequente, è presentarla al contempo sia come il risultato pressocché inevitabile di un’evoluzione storica sia come un progetto innovativo funzionale a una rottura con il passato.

L’utilità di questo Dossier è in realtà di tipo negativo: spiega come non si dovrebbe insegnare l’Europa, o comunque ciò che non va nel modo in cui oggi generalmente la si insegna. A partire dal non prendere in seria considerazione le argomentazioni contrarie.

Da questo punto di vista, infatti, la storia recente mette a disposizione un’esperienza preziosa, se pur negativa: un vero catalogo degli errori possibili. Mi riferisco al lungo dibattito che ha portato in Inghilterra alla scelta di uscire dall’Unione europea, dibattito durante il quale ampio spazio mediatico hanno avuto sia le prese di posizione di storici, accademici e insegnanti, sia argomentazioni attinenti a come l’Europa è spiegata nei testi scolastici, nell’assunto che tale presentazione sia in qualche modo decisiva per la narrazione che l’Unione fa di se stessa.

Non per caso le incongruenze segnalate da Brennetot sembrano imparentate alle argomentazioni di David Abulafia, lo storico ex accademico di Cambridge e strenuo sostenitore della Brexit, che abbiamo scelto per dare voce alle tendenze critiche. Una scelta causata dall’autorevolezza del personaggio, ben noto anche in Italia per i suoi studi sul Mediterraneo e sulla storia del nostro Mezzogiorno, per i quali nel 2003 ricevette dal presidente Ciampi l’onorificenza di Commendatore dell’Ordine della Stella della Solidarietà Italiana.

L’esimio professore ha le sue idee: l’Europa è un mito, anzi molti miti, e Carlo Magno fu uno sterminatore seriale. Si può non condividere. Di fatto, l’articolo che pubblichiamo è diventato il manifesto di Historians for Britain, un combattivo gruppo di accademici favorevoli alla Brexit che ha avuto ampio spazio mediatico nel recente dibattito.  Chi vuole approfondire le loro ragioni può farlo al sito  historiansforbritainineurope.org.

Naturalmente ci sono stati altri accademici inglesi – molti – che non hanno condiviso; alcuni si sono organizzati nel gruppo Fog in the Channel: Continent Cut Off (Nebbia sul canale: continente isolato). Fra tutte le argomentazioni da loro avanzate, spesso molto dettagliate nella ricostruzione storica, abbiamo scelto la breve riflessione, d’ordine più semiotico che storico, di un linguista, Adrian Armstrong. Nonostante questi sia un fervente europeista, è più critica che costruttiva, ma anche più realistica, alla luce del risultato referendario.

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Francesca Nicola

Dottoressa in Antropologia all’Università Bicocca di Milano.

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