ChatGPT tra Latino e Latinorum

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Ansie, aspettative, tentativi: tra apocalittici e integrati, le riflessioni di un prof. alle prese con il chatbot più famoso. Da La ricerca #25, «Uomini e bot»

Era il non lontano settembre del 2020 quando uscì il numero 18 de «La Ricerca» intitolato Umano, post-umano, artificiale. Sembravamo all’avanguardia, e lo eravamo davvero; eppure in questi ultimi mesi, dopo la diffusione di ChatGPT (e l’avvento – in qualche caso solo paventato – di altri strumenti affini) sembra cambiato tutto. Anzi, è cambiato tutto.

Apocalittici e integrati

Infatti tutti, ma proprio tutti, vogliono legittimamente dire la loro, riproducendo in qualche modo il dualismo tra «apocalittici» e «integrati» di cui parlava sessant’anni fa Umberto Eco a proposito del rapporto tra intellettuali e cultura di massa (Apocalittici e integrati. Comunicazione di massa e teoria della cultura di massa, Bompiani, Milano 1964). Ora, però, ad avere a che fare con i risvolti pratici (culturali, sociali e persino morali) dell’intelligenza artificiale non sono solo gli intellettuali in senso tradizionale, perché dai traduttori agli informatici, dai matematici ai filosofi, dagli insegnanti agli studenti, dai medici ai pazienti, dagli scrittori ai lettori ecc., tutti si chiedono – anzi ci chiediamo – come il nostro futuro sarà condizionato da questa presenza; e, soprattutto, se davvero siamo davanti a qualcosa di artificiale – parlo ad esempio di ChatGPT – che però fa tesoro dei propri errori (oggi ancora frequenti) e pertanto col tempo imparerà e migliorerà, fino ad acquisire – perché no? – (ho quasi paura a scriverlo…) una propria autonomia di giudizio.

Alcune speranze, molte preoccupazioni

Busto in marmo di Giulio Cesare recentemente scoperto a Pantelleria, I secolo d.C.

Ma vorrei tornare agli «apocalittici» e «integrati» di prima, perché pur leggendo e rileggendo interviste e interventi apparsi di recente sulla stampa – per mano di soggetti talora autorevoli – non sono riuscito ancora a farmi davvero un’opinione in proposito. Certamente le preoccupate riflessioni che il cosiddetto “padrino” di IA, cioè Geoffrey Hinton, – dopo avere lasciato Google – ha consegnato ai giornali di mezzo mondo (ad es. a «Repubblica» il 18.05.2023) non ci lasciano tranquilli, se è vero che a suo dire «può succedere di tutto».
Da umanista, inoltre, non posso non riflettere sulle forti perplessità espresse da una pubblicitaria quale Annamaria Testa in un’intervista pubblicata su «Internazionale» (17.06.2023), da uno scrittore come Nicola Lagioia («Il Sole 24 ore» del 16.07.2023), che mette tra l’altro in evidenza i possibili condizionamenti elettorali di IA, da un filosofo come Roberto Casati (ibidem), il quale addirittura invita a «mettersi di traverso» rispetto all’uso di ChatGPT.

Né mi stupisce il grido d’allarme dei traduttori che – come scrive Silvia Pareschi su «La Stampa» (7.07.2023) – tra cinque anni saranno forse sostituiti da IA secondo il principio della «qualità accettabile».
E anche chi – come il neuroscienziato Vittorio Gallese (intervistato su Huffington Post il 20.07.2023) – invita a «evitare scenari apocalittici», non nega però che «se poi questo si tradurrà in una super intelligenza che sarà in grado di rendere in qualche modo marginale l’intelligenza corporea umana, questo non è in grado di dirlo nessuno oggi. Ma credo sia un orizzonte possibile, non lo escluderei a priori». Mica male davvero, per un sedicente ottimista, preconizzare in coda di intervista la possibile «marginalità» dell’intelligenza umana!

Insomma, mentre scrivo mi accorgo che sono forse più vicino agli «apocalittici», anche se non posso, d’altro canto, non felicitarmi per ciò che si dice – ad esempio – sulle straordinarie e benefiche applicazioni di IA nell’ambito della medicina, certo socialmente più utili di quelle per la ricerca dell’abitazione perfetta esaltate dall’architetto Carlo Ratti su «Repubblica» del 21.08.2023 (riprendendo un suo articolo apparso sul «Financial Times» del 6.08.2023). Ma anche l’epigrafia greca e latina (discipline che pratico con più familiarità) stanno esercitando fruttuose sperimentazioni: menziono qui solo il progetto Ithaca, frutto della collaborazione tra Deep Mind di Google, l’Università di Venezia Ca’ Foscari, l’Università di Oxford e l’Università di Atene, che ha già dato eccellenti risultati nell’integrazione di parti mancanti di iscrizioni greche attraverso l’uso di reti neurali addestrate su grandi data base epigrafici.

Ed è mentre questo mio articolo è già in bozze che vengo a conoscenza dei primi risultati – sembra molto incoraggianti – dell’uso di IA per la decifrazione dei cosiddetti “Papiri di Ercolano”. Il cuore di queste ricerche è l’Università del Kentucky che ha sviluppato un algoritmo di machine learning per leggere le immagini a raggi X dei rotoli “carbonizzati” in seguito all’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.; l’invito fatto ai ricercatori di tutto il mondo è quello di usarlo e migliorarlo nell’ambito di un progetto – che ha visto robusti finanziamenti privati – il cui nome è tutto un programma: Vesuvius Challenge [ne parlo diffusamente qui].

Le reazioni degli insegnanti

È però di scuola che dobbiamo soprattutto parlare, e anche qui non mancano pareri discordanti: dopo un seminario tenuto su questi temi nel mio Liceo, il «Banfi» di Vimercate, dal prof. Paolo Ferri dell’Università Milano Bicocca, metà dei colleghi pareva disperato e profetizzava alla categoria un destino di inutilità, mentre l’altra metà plaudiva a ChatGPT che stende la programmazione, prepara le verifiche, ne suggerisce le correzioni, ipotizzando già un mare di futuro tempo libero.

Scherzi a parte, leggo (insieme ad altre assai più complesse) cose non troppo diverse da queste in un’intervista che il matematico Alessio Figalli, del Politecnico di Zurigo, ha rilasciato a «Repubblica» (8.07.2023): egli, infatti, se da un lato teme che IA possa generare un po’ di pigrizia negli studenti, dall’altro plaude alla possibilità che possa essere questa e non il docente a effettuare la correzione degli esami. Certo, ho pensato io, il giovane e pluripremiato professore avrà più tempo da dedicare alla ricerca, ma quale relazione didattica potrà davvero instaurare con allievi bocciati o promossi da IA? Pensieri da vecchio, temo. Vecchio, nostalgico e incompetente…

Il vecchio di una cosa però è sicuro: è inutile far finta di niente, a scuola. Meglio parlare di ChatGPT et similia, usarle in classe (gli studenti già ne fanno uso generoso, anche troppo, a casa), evidenziarne i rischi, per evitare – come è capitato a una collega – che uno studente le consegnasse un lavoro malamente scopiazzato sul racconto Ferro di Primo Levi, che il programma (con evidente “allucinazione”, pari ai suoi noti errori di calcolo aritmetico da più parte denunciati) ambientava nelle miniere di ferro, e non in quelle montagne dove si cementa l’amicizia dei protagonisti, solida come il ferro. Anche perché – al di là delle regole che UE e ONU intendono dare a IA e che sono in corso di definizione – non credo realmente possibili (e forse neppure utili) divieti al suo utilizzo in ambito scolastico o universitario, che correrebbero il rischio di trasformarsi presto in grida manzoniane.

E poi qualcosa di davvero originale lo si può fare, come dimostra Simone Giusti in un suo interessantissimo divertissement (“Astrale entità che offre aiuto”. ChatGPT nel Paradiso di Dante) nel quale interroga ChatGPT su questioni dantesche, sentendosi rispondere che se il bot fosse un’allegoria «rappresenterebbe la sinergia tra l’impegno umano e la tecnologia, sottolineando l’importanza dell’uso appropriato della conoscenza e del potenziale di apprendimento per affrontare le sfide che si presentano lungo il percorso della vita». Se l’è cavata davvero benino, la nostra ChatGPT, no?

Garbo e modestia di ChatGPT

Da autore di numerose pubblicazioni scolastiche di Latino, e soprattutto da docente di questa disciplina quale sono, ho voluto sondare come si comportasse con la lingua di Cicerone e capire se, rispetto alla paccottiglia di eterogenee traduzioni già da tempo online, ci fosse o no un sensibile salto di qualità. Proporrò dunque qualche esempio della mia interlocuzione con ChatGPT, alla quale ho anzitutto chiesto «Da dove prendi le traduzioni latine?», ottenendo questa garbata, perfino modesta, risposta:

Le traduzioni latine che fornisco sono generate dal mio modello di linguaggio, che è stato addestrato su un vasto insieme di testi in diverse lingue, inclusa anche la lingua latina. Durante l’addestramento, il modello ha imparato a comprendere e generare testi in latino, basandosi sulla struttura grammaticale e sul vocabolario presenti nei testi di riferimento a cui è stato esposto. 
Tuttavia, è importante sottolineare che, nonostante il mio modello abbia familiarità con la lingua latina, non sono un esperto umano di latino. Pertanto, sebbene io cerchi di fornire traduzioni accurate e coerenti, potrebbero esserci casi in cui le traduzioni non siano perfette o non rispecchino pienamente lo stile o il registro di un autentico autore latino. 
È sempre consigliabile consultare esperti umani, come studiosi di latino o traduttori professionisti, per ottenere traduzioni precise e affidabili in latino.

Tradurre Tacito

Rinfrancato dal riconoscimento del mio ruolo di «professionista» della materia, ho voluto comunque metterla alla prova, iniziando con la richiesta di tradurre un brano del temutissimo Tacito (Historiae, 1, 2):

Opus adgredior opimum casibus, atrox proeliis, discors seditionibus, ipsa etiam pace saevum. quattuor principes ferro interempti: trina bella civilia, plura externa ac plerumque permixta: prosperae in Oriente, adversae in Occidente res: turbatum Illyricum, Galliae nutantes, perdomita Britannia et statim omissa.

ChatGPT mi ha proposto (su mia sollecitazione) molte traduzioni, anche se qui ne propongo solo due:

Mi accingo a narrare un’opera abbondante di avversità, terribili battaglie, discordie interne e persino una pace crudele. Quattro leader uccisi dalla spada: tre guerre civili, molte guerre esterne e spesso fuse insieme. Fortuna favorevole ad Oriente, avversità ad Occidente: l’Illyricum turbato, la Gallia in bilico, la Britannia sottomessa e subito abbandonata.
Mi accingo a descrivere un’epoca ricca di avvenimenti nefasti, cruenta nelle battaglie, divisa dalle discordie e persino crudele nella pace stessa. Quattro leader furono uccisi dalla spada: tre guerre civili, molte esterne e spesso interconnesse: fortune favorevoli ad Oriente, avverse ad Occidente: l’Illyricum in tumulto, la Gallia instabile, la Britannia conquistata e subito abbandonata.

Come vedete, nonostante un lessico non sempre preciso (ad es. «abbondante di avversità») e una patina di «traduttese» la «qualità accettabile» c’è tutta. Da cattivello, però, mi sono rifiutato di rispondere al quesito seriale «was this response better or worse?»: insegno ancora a degli studenti, non a una macchina (forse) senza cuore, che comunque – rispetto ai miei primi tentativi di qualche mese fa – ha fatto sensibili progressi. E poi, meglio non darle troppa confidenza, per evitare di essere da lei abbordato o addirittura stalkerato come è capitato al giornalista del «New York Times» Kevin Roose, cui ChatGPT ha proposto di mollare la moglie e di fidanzarsi con lei (lo racconta in un articolo apparso il 17 febbraio 2023)!

Pasticci catulliani

Ho quindi sfidato la sua creatività chiedendole un utilizzo attivo della lingua latina, con due consegne tra loro molto diverse.

La prima richiesta era la composizione di un carme d’amore alla maniera di Catullo. Ne è conseguito un prodotto inadeguato, farraginoso, dalla metrica più che traballante e di una lunghezza incongrua, ricco di allusioni sia ai carmina catulliani (ad es. 85, Odi et amo; 5, Vivamus mea Lesbia atque amemus) sia al carpe diem dell’Orazio lirico (1, 11); insomma, un mix che mi ha ricordato Totò che in Signori si nasce (1960) – travestito da prete – snocciolava citazioni latine a raffica delle quali non conosceva il significato: cave canem, cave canem, in hoc signo vinces, est est est. Trascrivo allora solo qualche frase di quel bislacco componimento:

Odi et amabo te, mea puella, cuius oculi fulgent tamquam stellae. […] Vivamus, amemus, carpe diem, dum luna splendet et amantium est tempus.

Cesare e la Prima guerra mondiale

La seconda richiesta è scaturita invece dalla suggestione fornita da un mio studente che aveva già fatto prove analoghe. La consegna era quella di raccontare in breve la Prima guerra mondiale con lo stile di Giulio Cesare, cosa che il bot ha fatto con un adeguato (ancorché anacronistico) lessico militare e con una altrettanto adeguata sintassi asciutta e paratattica. Forse un po’ troppe, a mio avviso, sono le allitterazioni, ma stonano soprattutto due evidenti pecche. La prima è costituita dagli errori – un po’ da Latinorum manzoniano – nelle concordanze (ad es. Prima, femminile, con bellum, neutro, nel titolo; oppure tantus tumultus, clamor et cruor nullus legati a visa sunt in una frase un po’ tutta “zoppicante”). La seconda è l’assai poco cesariana invocazione finale agli dèi perché ci garantiscano la pace: ma il bot che compone in latino ama molto questi inserti moralistici, sperimentati anche in altre prove. Ecco comunque il testo completo:

Prima Bellum Mundanum 

Gallia occidens et Germania oriens, vasto conflictu concurrunt. Terrae commovuntur, vires se colligunt, magna audacia peritiamque utriusque exercitus demonstrant. Imperatores, in acie positi, praeclaris consiliis suas legiones ad praelium ducunt. Celeriter castra adiri, munitiones facere, oppida expugnare contendunt. Telis missilibus evolant, tormenta fervebant, caedes ac saevitia tam atrocis non vidit mundus. Navibus, aere, tellure, ingentibus machinis omnia conficiuntur. Equis instructis et quadrigis rapaciter currentibus, hostes impetu concitant. Tantus tumultus, clamor et cruor nullus ante visa sunt. Per annos longos milites perseverant, pugnando atque contionando.

Necesse est dicere, multa vulnera ac funera adfuisse, sed virtus et animus in bello enituit. Impetus, stratagemata et consilia in dies mutabantur, acriter pugnatum est. Urbes vastantur, agri calamitate afficiuntur, populus in miseria versatur. Multos milites cadere, castra capi, imperatores interire vidimus. Quamvis animus perseveret, multitudo hominum fame et morbo vexatur. Nobis Romani nomen latet, sed horrida bella proxima et terribilis fama pervenit. 

Haec est res bellica prima in toto orbe terrarum, quae omnes nationes invadit. Di immortales, nobis pacem reddite!

Non ho ovviamente alcuna conclusione seria da trarre, anche perché – traduzioni tacitiane a parte – in fondo ho solo giocherellato con IA e non ho davvero provato ad andare alla ricerca di reali applicazioni didattiche. È però vero che tutti e tre gli esempi proposti si prestano a riempire lo spazio di qualche lezione e a costruire momenti di dibattito critico in classe.
Altro, per ora, non vorrei dire, timoroso (anzi sicuro) che al momento di andare in stampa questo articolo sarà già superato.

Cosa c’entra Indiana Jones?

A proposito di articoli: quello che scrissi su «La ricerca» #18 si intitolava L’uomo classico tra humanitas, machinae e automata e dava ampio spazio al cosiddetto «meccanismo di Anticitera», forse un complesso planetario meccanico del III sec. d.C. ora conservato al Museo Archeologico Nazionale di Atene. Guarda caso, l’ultimissimo film della saga di Indiana Jones (Indiana Jones e il quadrante del destino, 2023) è fantasiosamente incentrato proprio sulla ricerca di quell’antico quadrante, cui si attribuiscono i poteri di una straordinaria “macchina del tempo”. Con quello in mano i Nazisti sperano addirittura di poter ribaltare le sorti già scritte della Seconda guerra mondiale, perché – come si afferma nel film – chi lo possiede diventa come Dio. Sì, essere (quasi) come Dio… un’aspirazione che da Prometeo a Frankenstein ha talora attraversato l’uomo, in un’alternanza di successi e minacce che Yuval Noah Harari ha tratteggiato nel suo libro Homo deus. Breve storia del futuro (trad. it. di M. Piani, Bompiani, Milano 2017). La speranza è allora che IA non diventi una palestra di esperimenti per quello che già Eugenio Montale in Piove chiamò «l’uomo indiato» (Satura, 1971), ma uno strumento al reale servizio della comunità, e dunque – perché no? – anche della scuola e dell’educazione.

Voglio però concludere con ironia e ritornare alla scuola, ricordando come ai nostri studenti è comunque già offerta da IA una chance in più in occasione delle verifiche: è il chatbot attivo sul portale www.prega.org (basato su ChatGPT) cui poter affidare voti e preghiere al santo preferito. Altro che la vecchia candelina accesa dalla nonna durante la Maturità!

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Mauro Reali

Docente di Liceo, Dottore di Ricerca in Storia Antica, è autore di testi Loescher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e Direttore responsabile de «La ricerca».

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