Burocrazia pervasiva

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Le ore scorrono davvero lentissime. Molti dei commissari (inquietante funzione assunta per l’occasione dai professori, aggravata per alcuni dall’affiancarsi della dicitura “esterni”) scorrono le “tesine” (espressione con cui il gergo del didattichese designa l’approfondimento individuale con cui avrà inizio il colloquio orale) diligentemente consegnate dai “candidati” (angosciante identità assunta dagli studenti in occasione dell’esame di Stato, quello che tutti continuano romanticamente a chiamare maturità, quello che le giovani ministre oggi intervistate sui quotidiani ricordano di aver sostenuto al liceo, quello Classico, ça va sans dire).

È in corso la prima prova scritta, quella di italiano, quella identica per tutti gli indirizzi, quella che fa parti uguali tra disuguali. Quella il cui testo, criptato con “tecnologie militari” (come sottolineò orgogliosamente nell’estate del 2012 il ministro Profumo, il primo a farsi vanto con i media dell’avvento del plico telematico contenente le prove nazionali), è disponibile sul web poche decine di minuti dopo l’inizio del lavoro, a dire la verità con un ritardo nspiegabile rispetto agli anni precedenti. Quella la cui chiave pubblica di accesso è inviata alle scuole via mail, è riportata sul sito del MIUR e viene letta al TG1. Anche qui rileviamo una piccola differenza rispetto alle tornate passate, quando – a ridurre l’ansia che sempre genera l’utilizzo di procedure informatiche nella scuola reale – interveniva anche la provvida pubblicazione su Televideo, facilmente fruibile anche dai più renitenti tra di noi.

Noi professori ci siamo riuniti un bel po’ prima dell’inizio ufficiale del “tema”, come lo chiamano tutti, con buona pace di decenni di dibattito nel campo dell’educazione linguistica. E abbiamo constatato che l’applicazione realizzata dal superiore ministero per la gestione digitale delle procedure e della documentazione – Commissione Web – non ne voleva sapere di funzionare.
In questo caso – sempre a essere onesti fino in fondo – non vi è in realtà niente di nuovo rispetto al passato. È infatti evidente da anni che, quando tutti i potenziali utenti cercano di accedere più o meno contemporaneamente, la banda di trasmissione dei dati di cui la rete delle scuole e del MIUR è dotata si rivela insufficiente, ma nessuno ha fatto mai nulla per risolvere il problema.
Cessate le personali rimembranze, i nostrani intellettuali laureati – anche loro tassativamente diplomati al liceo, con buona pace di Montale – preferiranno discutere in questi giorni del valore culturale di Quasimodo, o del fascino della traccia sul dono o sui due volti del Novecento, violenza o non violenza, per non parlare della visione periferica politically correct di Renzo Piano, in linea con l’affabulazione politica del racconto-Italia.
Sarebbe troppo volgare denunciare all’opinione pubblica che l’inefficienza delle infrastrutture istituzionali rende impossibile accedere in tempo ai dati degli studenti, stamparne gli elenchi per attestare identità, presenza, ora di uscita, numero di fogli protocollo utilizzati – anche coloro che hanno frequentato le scuole e le classi 2.0 devono scrivere su carta il loro articolo, il loro saggio breve, la loro analisi del testo, il loro tema storico o il loro tema generale!

C’è stato chi ha risolto il problema più immediato, quello dell’elenco, scrivendolo ex-novo (eufemismo per “da capo”); mentre qualcun altro, che aveva previdentemente stampato la preziosa lista il giorno prima, ha dovuto correggerne la data con la penna – apponendo con cura la dovuta firma del presidente di commissione –, dal momento che l’applicativo ministeriale non è in grado di impostare in automatico quella prevista a livello nazionale, ma seleziona ciò che risulta all’orologio del computer su cui risiede.

L’inefficienza delle strumentazioni digitali messe a disposizione delle scuole è così usuale e ormai scontata, che tutti evitano di rilevare un’ulteriore contraddizione: una nota del Direttore Generale per gli Ordinamenti Scolastici e per l’Autonomia Scolastica del 6 maggio ricorda ai Direttori Generali degli Uffici Scolastici Regionali (nemmeno Lewis Carroll ha mai usato tante maiuscole in così poche righe) che: “in ognuno dei giorni impegnati dalle prove scritte sarà consentito, fino al completamento della stampa delle tracce relative, rispettivamente alla prima prova scritta, alla seconda prova scritta e, eventualmente, alla quarta prova scritta, esclusivamente il collegamento con la rete INTERNET [sic! N.d.A.] dei computer utilizzati: 1) dal dirigente scolastico o di [sic! N.d.A.] chi ne fa le veci; dal Direttore dei servizi generali e amministrativi, ove autorizzato dal Dirigente scolastico o da chi ne fa le veci; 3) dal referente o dai referenti di sede. Nel corso delle prove scritte sarà pertanto disattivato il collegamento alla rete Internet di tutti gli altri computer presenti all’interno delle sedi scolastiche interessate [sic! N.d.A.] dalle prove scritte”.
In soldoni: durante le prove scritte è vietato usare l’applicativo realizzato per la gestione del loro svolgimento, con buona pace, questa volta, della revisione di una spesa che – non farebbe male ricordarlo – coinvolge denaro pubblico.

Non è però possibile non notare quanto sia assurda, pretenziosa e ridicola la scelta di proporre agli studenti una traccia come quella prevista per la tipologia B (redazione di un “saggio breve” o di un “articolo di giornale”) per quanto concerne l’ambito tecnico-scientifico, ovvero “Tecnologia pervasiva”. I documenti proposti agli studenti testimoniano l’assenza di serie ricerche in merito: prevalgono infatti articoli che fanno ricorso alla retorica del sensazionalismo e della spettacolarizzazione delle idee, in una sorta di riedizione della contrapposizione tra rock e lento di matrice celentaniana: non dire nulla, ma bucando lo schermo. Si spazia dalla religione del “transumanismo” all’idea dei robot come “utili idioti”, passando per la discutibilissima prospettiva di Dianora Bardi, che sembra considerare i ragazzi “tecnologicamente avanzati” per definizione e attribuire loro fideisticamente “grandi speranze e aspettative” nella direzione dell’apprendimento e della ricerca, generalizzando aspirazioni operative e culturali che nella realtà dei fatti appartengono a ristrette élite, ben connotate sul piano socio-culturale.

A dire ancora una volta il vero, però, qualcosa di positivo nella traccia sulle tecnologie c’è. In un giorno come oggi, quando la dimensione digitale delle procedure amministrative (o – se preferite – la dimensione amministrativa delle procedure digitali) svela a chi la vuol vedere tutta la sua configurazione paradossale, riesce infatti a trovare particolare conferma perfino l’insipido titolo – che ci auguriamo redazionale – dell’articolo da cui è tratta la citazione di Bardi, in assoluto davvero scontato: la tecnologia da sola non fa scuola.
E pazienza, se noi professori dovremo pervicacemente rimandare quel congedo dagli dei che Galimberti ritiene sia conseguenza del primato della techné.

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Marco Guastavigna

Insegnante nella scuola secondaria di secondo grado e formatore. Tiene traccia della sua attività intellettuale in www.noiosito.it.

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