Alan Turing è considerato uno dei precursori dell’epoca moderna in quanto “padre” dell’informatica. Da studente a Cambridge si era appassionato alla ricerca dei fondamenti della matematica, alla nota teoria dell’incompletezza di Gödel e al problema della decisione di Hilbert, rimasto irrisolto anche a seguito delle scoperte di Gödel. Impegnato nella dimostrazione di un algoritmo che fornisse regole esplicite per arrivare, all’interno di un sistema formale, da un insieme di premesse ad una conclusione, Turing concluse che un algoritmo simile non potesse esistere, e per far questo progettò una geniale macchina teorica composta da un centro di controllo e da un nastro di memorizzazione input e output – sostanzialmente anticipando la nascita del computer digitale e contribuendo a quella dell’informatica.
Durante la seconda guerra mondiale Turing si occupò della progettazione e della costruzione di due serie di computer elettronici, che furono fondamentali per decrittare i codici dell’esercito nazista. Dopo la guerra iniziò a lavorare nella nascente industria informatica inglese e realizzò molte scoperte nei campi della biologia, gettando le basi della disciplina dell’intelligenza artificiale (ad esempio, mettendo a punto in questo campo un test, conosciuto appunto come “test di Turing”: un metodo in grado di determinare se una macchina sia o meno in grado di pensare).
Innumerevoli le imprese tecnologiche in cui si cimentò, tra cui il primo programma per giocare a scacchi.
Nel 1952, a quarant’anni, fu imprigionato con l’accusa di omosessualità, reato ancora perseguibile in Inghilterra, e accettò un trattamento alternativo alla detenzione a base di estrogeni – terapia che fu causa della grave depressione che lo portò a togliersi la vita nel 1954. I demoni della persecuzione omofobica arrivarono dunque fino al crimine gigantesco di sottoporre una delle menti più celebri del 1900, un uomo al quale ciascuno di noi deve moltissimo (si pensi ai due radicali contributi da lui forniti alla sconfitta del nazismo e alla nascita dell’informatica) a una sorta di castrazione chimica e portarlo al suicidio. Riteniamo che questa sia una delle testimonianze più forti, proprio perché non così lontane nel tempo, della barbarie che da sempre s’accompagna all’omofobia.
La composizione della parola omofobia è semplice: omofobia deriva dal suffisso “fobia” (greco phobos) che significa timore, paura, e dal prefisso “omo” che significa uguale, lo stesso. Il termine transfobia è invece successivo, ed è stato coniato, modellandolo sul termine precedente, per rappresentare il medesimo atteggiamento quando riferito alle persone transessuali. La persona omofoba di fronte a un omosessuale non manifesta la stessa reazione che mostrerebbe un aracnofobico di fronte a un ragno: i comportamenti dell’aracnofobico di fronte a un ragno sono caratterizzati da “evitamento-fuga”, mentre i soggetti omofobici o transfobici affrontano (purtroppo) direttamente le persone omosessuali o transessuali tramite la messa in atto di comportamenti ostili e/o violenti, e spesso esprimono emozioni negative alternative alla paura, come il disgusto (“mi fanno schifo, non li posso vedere”).
L’omofobia e la transfobia si manifestano dunque più attraverso avversione, pregiudizio, odio e discriminazione che attraverso la fobia (in senso clinico). Omofobia e transfobia possono manifestarsi in forme anche molto diverse tra di loro: a partire dal disagio generico o dall’imbarazzo sino a giungere ad atti di violenza episodica o sistematica (come nel caso del bullismo di matrice omofobica). Omofobia e transfobia sono molto presenti in Italia: numerosi, infatti, sono i casi di dileggio, avversione manifesta, aggressione verbale e fisica, violenza vera e propria sino ad arrivare all’omicidio o al portare la vittima al suicidio. Particolarmente preoccupante, per i risvolti sociali e di proiezione nel futuro che comporta, sono i casi di bullismo omofobico. Il bullismo si caratterizza come comportamento di prevaricazione reiterato da parte di qualcuno (singolo o gruppo) nei confronti di qualcun altro (singolo o gruppo), e generalmente avviene tra pari, in ambienti educativi. Alcuni elementi caratteristici del bullismo sono:
– la persistenza (settimane, mesi, persino anni);
– la reiterazione del comportamento (una singola aggressione, per quanto grave e riprovevole, non è catalogabile come bullismo);
– la progressione (le azioni di bullismo solitamente sono a gravità ascendente: il bullo – o i bulli – verifica sino a dove può spingersi, se incorre in qualche sanzione, cosa potrebbe succedergli, e una volta appurata la propria impunità e la possibilità di gestire le reazioni passa al livello successivo);
– l’intenzionalità (un comportamento da “bullo” è un’azione che punta in modo deliberato a fare del male o a danneggiare).
Alla base dei comportamenti di bullismo può esserci il desiderio di intimidire e/o dominare o, più semplicemente, un abuso di potere.
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