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Autore

Gian Paolo Terravecchia

Cultore della materia in filosofia morale all’Università di Padova, si occupa principalmente di filosofia sociale, filosofia morale, teoria della normatività, fenomenologia e filosofia analitica. È coautore di manuali di filosofia per Loescher editore. Di recente ha pubblicato: “Tesine e percorsi. Metodi e scorciatoie per la scrittura saggistica”, scritto con Enrico Furlan.

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La richiesta ossessiva di trasparenza che si nota nella società occidentale, soprattutto in questi ultimi anni, nasce da un preconcetto di cui dovremmo disfarci. Sembra infatti che se si procede rendendo visibili gli atti compiuti, allora vi è onestà.
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Il bravo Esopo, nella sua favola sulla volpe e l’uva, l’ha rappresentato efficacemente: siamo capaci di ostentare disdegno per ciò che non riteniamo alla nostra portata. Capita così che nel mondo della scuola molti, lamentando una serie di problemi effettivamente reali e oggettivi legati al lavoro sulla tesina per l’esame di Stato, ne invochino l’abolizione.
La valorizzazione del lavoro e delle competenze andrebbe promossa nella scuola ove attualmente si lavora molto gratis, un po’ per passione, un po’ per “non perdere classi” e perciò posti di lavoro. Provo a formulare alcune proposte che mancheranno di un impianto complessivo, ma che di per sé potrebbero essere attuate utilmente.
Tesina o non tesina? Questo è il dilemma! Se siete tra coloro che hanno deciso per il sì, ecco alcuni consigli tecnici dell’ultima ora, perché non c’è più tempo per quelli di principio e di fondo (uno tra tutti, non ridursi a lavorare sulla tesina negli ultimi giorni).
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Immaginate di ordinare un caffè e che, al momento di pagare, vi dicano che non serve: il caffè vi è stato offerto da uno sconosciuto. Sembra trattarsi del dono perfetto, quello fatto “per nessun motivo”. Ma se è davvero “per nessun motivo”, perché lo si fa?
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Cos’è indispensabile, sul piano etico, per poter davvero imparare nell’ambito di una pratica di studio? Non vorrei suonare pretenzioso utilizzando un gergo heideggeriano, ma il mio intento è di raccogliere qui qualche appunto per un’analitica esistenziale dell’apprendere, ricercando i modi di essere fondamentali per la ricerca autentica.
A quanto pare, il sistema scolastico nazionale non è interessato a riconoscere l’abilitazione all’insegnamento universitario come titolo di merito. Andando a buon senso, invece, un docente che abbia superato un concorso nazionale dovrebbe essere valorizzato, specie se quel concorso riguarda discipline che egli insegna.
La tesina, peraltro non d’obbligo, è una splendida opportunità, per lo più mancata da docenti e studenti. Lo studente ha modo di “staccarsi dal manuale”, di svolgere primi passi di autonomia intellettuale, sostenuti e guidati, ma indipendenti nell’origine e nel fattivo sviluppo, a partire da scelte tematiche personali.
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Quand’è che convincere è manipolare? Di per sé – dicono alcuni – il semplice fatto di convincere gli altri non è manipolare, o almeno non è moralmente riprovevole: avviene continuamente e nessuno se ne scandalizza e anzi è facile mostrare che, a volte, riuscire a convincere qualcuno può persino salvare delle vite umane.
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Buddha ottiene il massimo risultato con il minimo sforzo: l’aikido verbale non è una disciplina di potenza, ma di grazia ed eleganza.

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