Non essere gay oggi

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Adesso dell’attentatore sappiamo tutto: chi era, da dove veniva, in che stato ha lasciato casa sua prima di mettersi in macchina per andare a sparare. Conosciamo la sua faccia. I suoi selfie allo specchio si confondono con quelli dei ragazzi morti che circolano in rete.
Non ho avuto tempo di allarmarmi quando ho sentito la notizia: qualcuno su tumblr l’ha annunciata e i morti erano già cinquanta. Si fa presto, immagino, quando si ha a disposizione un’arma che spara a raffica.
Cinquanta ragazzi morti in un locale e la trafila è la stessa per tutti, credo: incredulità, orrore, dispiacere. Insomma, quel dolore che ci è dato un po’ dall’empatia e un po’ dall’egoismo (“Piangiamo sempre per noi stessi”, scrive Davide Reviati nel suo ultimo meraviglioso lavoro), l’istinto a sentirci parte della stessa umanità, o almeno dello stesso occidente. Siamo stati Charlie e Parigi, saremo sempre americani l’undici settembre. Ogni volta che ce ne accorgeremo saremo perfino addolorati per i migranti che annegano nel Mediterraneo. Piangiamo sempre per noi stessi, scrive Davide Reviati.Resteremo umani, diremo così.
Mi è sembrato molto brutto, quindi, leggere in rete e vedere in alcuni programmi televisivi statunitensi delle prese di posizione molto dure di omosessuali che parlavano per sé e a nome di associazioni legate al movimento LGBT e che ribadivano che la strage era loro, che il lutto non era concesso a un mondo etero che costantemente li emargina e poi li piange quando gli sparano addosso.

Non tutti gli eterosessuali sono omofobi. Non tutti vogliono escludere, marginalizzare, discriminare gli omosessuali. La lotta al sessismo include la battaglia per l’uguaglianza dei diritti di tutti, a prescindere dall’orientamento sessuale e dal genere e in ogni caso io non riesco a immaginare una società a compartimenti stagni, col divieto di abbracciare una causa che non ci riguardi immediatamente.
Quando ho letto il tweet di Taormina che ha dichiarato che se i ragazzi non fossero stati omosessuali non sarebbe successo nulla, la rabbia che ho provato è stata soverchiante, sincera e, mi è parso, non legata alla mia sessualità e per niente dissimile da qualunque altro essere umano del pianeta. E, infatti, sui social molti amici hanno mostrato la stessa rabbia dichiarandosi omosessuali, pronti a subire l’occhiataccia sprezzante o la pallottola di chi passa. Sono stati sinceri, umani. Solo che non basta.

Un uomo è entrato in un locale gay e ha cominciato a sparare: è nato e cresciuto e si è armato in America. Si dice che l’omofobia fosse radicata in famiglia, dovuta alle origini afghane, alla repressione personale e a una vaga esaltazione per l’IS. Ma se fosse una questione culturale e se il male si nascondesse in un Islam radicale e repressivo da dove spunterebbe il tweet di Taormina? Non parlo dell’omofobia quasi istintiva di molti italiani, per cui “frocio” è il peggior insulto, quello che imparano a temere fin dalla culla. Parlo della facilità con cui Se fosse una questione culturale e se il male si nascondesse in un Islam radicale e repressivo, da dove spunterebbe il tweet di Taormina?questa omofobia si esterna pensando, anzi, sapendo che di sicuro ci sarà qualcuno che la condivide e l’apprezza. Insomma, forse l’NRA ha armato l’assassino, la famiglia lo ha cresciuto nell’odio dell’altro (e di se stesso), l’IS gli ha dato un pretesto per compiere la strage, ma cosa ha fatto il mondo etero che lo ha circondato per ventinove anni per evitare che trasformasse un pregiudizio in un massacro? Niente. Anzi, magari ci ha scambiato qualche battuta ogni tanto, tanto i gay sono divertenti e stanno allo scherzo.

Non tutti gli uomini sono maschilisti e anzi, molti sono sinceramente femministi. Però questo non significa che non vivano in un contesto che favorisce il maschio bianco etero di classe media, come ha scritto molto bene Teju Cole l’estate scorsa. Non tutti gli uomini sono violentatori, ma l’argomento “non tutti lo sono” non basta a non renderli complici in un sistema avvelenato da una pervasiva rape culture. Per non esserlo più devono darsi da fare: abbracciare la causa delle donne, lottare per cambiare le cose per loro e per se stessi.
Cosa fa questa società che piange per i diritti di omosessuali, bisessuali, trans e di chiunque sia costretto a etichettarsi perché non viene considerato normale? Chi non è nella stessa condizione sa cosa significa sentirsi disprezzato senza rimedio? Sa cosa si prova a sentirsi fissati mentre si bacia qualcuno per strada, non un giorno solo per protesta ma per tutta la vita perché è quello che desideri?
Cosa fa questa società che piange per i diritti di omosessuali, bisessuali, trans e di chiunque sia costretto a etichettarsi perché non viene considerato normale?Persone empatiche, meravigliose, umane, hanno dichiarato il loro malessere per la strage, ma sono eterosessuali e quindi non basta e da molti questa solidarietà non viene accettata. Può sembrare limitante, quasi ingiusto, però non lo è: ha ragione chi si arrabbia e non chiede di essere consolato ma che essere gay non sia più una lotta quotidiana e un atto di coraggio.

Una via di mezzo c’è, forse, se vogliamo che tutti condividano davvero questo lutto umano e terribile. Darsi da fare: votare persone che trasformino delle istanze in leggi uguali per tutti e non trattare la questione come una cosa secondaria rispetto alle urgenze dell’economia o della realpolitik; smettere di avallare il sessismo strisciante o esplicito del linguaggio anche quando ci fa ridere; diffondere l’idea che non esistono normali e diversi da includere o tollerare. Scrivere libri, film, programmi televisivi che arricchiscano la nostra idea di Una via di mezzo c’è, forse, se vogliamo che tutti condividano davvero questo lutto umano e terribile. Darsi da fare.identità sessuale, smettendo di cavalcare i soliti stereotipi. Riconoscere il sessismo anche quando è disarmato e twitta; farlo apparire per quello che è: ridicolo, obsoleto, odioso. Ma soprattutto pretendiamo che la scuola educhi al diritto di essere se stessi senza paura; per ora, infatti, lo facciamo poco o per niente e non è colpa dell’Isis ma di una resistenza tutta nostra, italica, formalmente cattolica e bigotta.
È la stessa cultura che in Italia ha impedito che Orlando fosse la nuova Parigi e che ci costringe a constatare con amarezza quanto sia difficile nel nostro Paese anche solo andare al di là di una passeggera indignazione.

La verità è che una risposta più adeguata a questa strage orribile sarebbe stato il silenzio da parte di chi è abituato a seminare odio e una bandiera arcobaleno affissa in ogni scuola.

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Giusi Marchetta

vive a Torino, dove insegna. Ha pubblicato la raccolta di racconti Dai un bacio a chi vuoi tu (Terre di mezzo, 2008), vincitore del Premio Calvino, e i romanzi L’iguana non vuole (Rizzoli, 2011) e Dove sei stata (Rizzoli, 2018). Ha fondato e coordina il podcast del Tavolo delle ragazze (nato da Tutte le ragazze avanti!, Add editore). Per Einaudi ha pubblicato Lettori si cresce (2015) e ancora per Add il saggio Principesse, (eroine del passato, femministe di oggi) sugli stereotipi di genere nella cultura di massa

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