“Leggere non sopporta l’imperativo”. Così pare. Risale al 1992 l’invito di Daniel Pennac contenuto in “Come un romanzo” a considerare la lettura un piacere da trasmettere ai ragazzi di ogni età semplicemente liberandoli dall’obbligo di aprire libro.
Oggi, a vent’anni di distanza, facciamo i conti con statistiche che ci dicono che il numero di lettori è in calo rispetto ai non lettori, sempre più vicini a rappresentare una maggioranza significativa se consideriamo le innumerevoli possibilità dei cittadini italiani di usufruire di biblioteche e librerie, nonché la riduzione al minimo del tasso di analfabetismo del Paese.
Le campagne pro-lettura che si sono avvicendate negli anni, evidentemente, nulla hanno potuto per cambiare la situazione. Se prendiamo in considerazione gli spot trasmessi sulle reti nazionali e i manifesti pubblicitari affissi nelle biblioteche e sui mezzi pubblici dagli anni ottanta ad oggi, sembra evidente il ricorso a slogan che associano la lettura a uno sviluppo delle doti morali e intellettive dell’individuo. Leggere sarebbe un cibo per la mente, un modo in cui le persone arricchiscono il proprio vocabolario e la loro capacità di informarsi e formarsi. A queste sollecitazioni, si aggiungono ripetuti riferimenti al piacere che deriva dalla lettura di un libro. Poco o nulla importano il destinatario del messaggio, insomma, e le motivazioni per cui non legge e andrebbe quindi convinto a provare.
In un momento in cui soprattutto la scuola si interroga sulle proprie responsabilità e sulle molteplici colpe a riguardo, il non lettore diventa invece centrale, il punto di partenza di una nuova riflessione su questa attività che appare così difficilmente trasmissibile.
Se ci soffermiamo davvero ad analizzare l’ostilità di una parte degli studenti alla pagina scritta potremmo forse arrivare a ipotizzare tre principali cause: in primo luogo la difficoltà insita nel testo (parole sconosciute, eccessivo uso dell’ipotassi, o, al contrario, una paratassi troppo ellittica nell’esposizione dei contenuti), poi la noia conseguente (stato d’animo che genera nell’adolescente medio un’insopportabile frustrazione).
Infine, e ben più grave, il senso di profonda insoddisfazione che coglie il non lettore a fine libro, quando tutta la fatica impiegata per arrivare in fondo alla storia non pare ben ripagata: il romanzo può essere apparso godibile, ma mai quanto un’altra attività di svago portata a termine senza le suddette controindicazioni.
Insomma, la sensazione che leggere non valga la pena è forte per chi non ama farlo. Sconfiggere questa sensazione è necessario se vogliamo condurre un non lettore al passo successivo: cercare una nuova lettura.
Tuttavia, prima di cominciare a chiederci in che modo questo sia possibile, forse sarebbe opportuno interrogarci sull’effettiva considerazione che la nostra società ha per i libri e per l’atto di leggere in generale.
Si potrebbe considerare l’attenzione riservata all’argomento dalle suddette pubblicità progresso e dalle iniziative scolastiche o promosse dall’editoria come segno di un alto interesse e di una volontà comune di aumentare il numero dei lettori. Se però immaginiamo realisticamente la vita quotidiana dell’adolescente non lettore ritratto dalle statistiche, ci ritroveremo ben presto a notare quanto siano assenti i libri dalla sua esperienza. Circondato da non lettori (genitori, insegnanti, amici), ignaro dell’esistenza di librerie e biblioteche, vive il blando tentativo di avvicinamento alla lettura che subisce a scuola come un compito qualunque. Dal momento che la richiesta principale dell’insegnante sembra essere una scheda facilmente reperibile su internet, il nostro adolescente sa che una volta scaricate le informazioni di cui ha bisogno, potrà saltare a piè pari la lettura, la parte difficile e noiosa dell’assegno. Del resto, a fronte di questo disinteresse per il romanzo assegnato, la scuola non fa che ribadire una necessità di leggere basata sulle stesse motivazioni delle suddette campagne pubblicitarie: leggere è bello, fa bene, è cibo per la mente e lo spirito. Sbandierando una finalità morale per le letture, pare dunque ovvio che le scelte degli insegnanti in fatto di libri da infilare tra le mani dei loro alunni ricadano spesso su romanzi didascalici, moralisti, o classici già assegnati a generazioni di studenti che li hanno ugualmente odiati. L’atteggiamento contrario, la resa nei confronti del titolo commerciale privo di qualunque spessore o qualità, non ha contribuito alla formazione del lettore: nel caso dell’adolescente appena citato (proprio come per l’adulto che l’ha comprato in libreria, attratto dalla pila davanti alla cassa) resterà probabilmente l’unico libro letto.
Non tutti gli adolescenti si iscriveranno all’università e interpreteranno le terzine dantesche. In compenso tutti gli adolescenti hanno il diritto di crescere lettori, di non sentirsi soli davanti a una pagina, incapaci di decifrarla o di concentrarsi sullo sviluppo di una storia.Dal momento che appare difficile agire in maniera efficace sulle dinamiche che negli ultimi trent’anni hanno contribuito a ridimensionare il ruolo della cultura e dell’istruzione nella società, si potrebbe provare a uscire da questa impasse partendo dalla scuola. Agli insegnanti spetterebbe innanzitutto il compito di sciogliere un’ambiguità semantica riguardante il termine “lettura”. Sarebbe utile, infatti, considerare la capacità di leggere e comprendere un testo come una competenza trasversale di cui non andrebbe messa in dubbio l’importanza. Non tutti gli adolescenti si iscriveranno all’università e interpreteranno le terzine dantesche. In compenso tutti gli adolescenti hanno il diritto di crescere lettori, di non sentirsi soli davanti a una pagina, incapaci di decifrarla o di concentrarsi sullo sviluppo di una storia. Hanno il diritto di non vedere nel libro, nell’articolo di giornale, nella pagina scritta un nemico ma una possibilità che non è loro preclusa.
A un livello successivo, la lettura come intrattenimento si fonda esclusivamente sul piacere che ne deriva. In questo senso è auspicabile che la scuola apra le porte a testi che suscitino l’interesse degli alunni. Questo non significa arrendersi al libro che si ritiene di basso livello (sebbene il metro di giudizio vari da insegnante a insegnante), ma consegnare ai propri alunni la grande varietà di testi pubblicati negli anni in modo da dare loro ampie possibilità di scelta. Per costruire la propria lista, il docente dovrà aggiornarsi continuamente e leggere le ultime uscite; confrontarsi con bibliotecari, librai, altri docenti. La rete di cui entrerà a far parte sarà un valido supporto a una didattica che necessita di modificarsi di anno in anno adattandosi alle caratteristiche della classe che gli è stata assegnata. Infine, condurre l’adolescente medio non lettore a seguire un percorso che lo conduca a delle letture in grado di arricchire il proprio immaginario sarà possibile solo affiancando ai libri che ha scelto quelli che la scuola ritiene importanti. Tuttavia, questa impostazione del lavoro dovrebbe tenere conto dell’esistenza di diversi generi letterari (alcuni ingiustamente esclusi dalla vita scolastica), compresa la graphic novel, che soprattutto negli ultimi anni ha regalato al pubblico di lettori delle gioie inaspettate.
La strada è lunga, il percorso è accidentato. In salita per giunta. Un adolescente poco allenato potrebbe non farcela. Di sicuro non si inerpicherà in cima alla montagna da solo e per sua volontà. È necessario un aiuto, una guida: qualcuno deve prendersi la responsabilità di accompagnarlo e di incitarlo a raccogliere la sfida.
Ogni mezzo è lecito, perfino sostenere che leggere, a volte, sopporta l’imperativo. Se un obbligo ci deve essere però che sia condiviso: l’insegnante si impegnerà a trovare le letture più interessanti, a leggere assieme agli alunni, a utilizzare la radio e i social network, a rinunciare una volta per tutte alla deleteria scheda di lettura.
In definitiva, se riuscirà a rendere la lettura qualcosa di vivo e necessario, qualcosa che ha senso, l’alunno non potrà sottrarsi. Se siamo fortunati, non vorrà sottrarsi perché troverà che leggere è meno difficile e meno noioso di quanto pensasse. Oppure lo troverà difficile e meno divertente di un videogame, ma penserà che ne vale la pena.
Forse non diventerà un lettore forte ma un lettore sì; non un alpinista, ma qualcuno abituato a camminare in montagna, capace di arrivare in cima, di non restare indietro.
Riferimenti bibliografici
Giusi Marchetta, Lettori si cresce, Einaudi 2015
Giovanni Solimine, L’Italia che legge, Laterza 2010
Roberto Denti, Lasciamoli leggere, Einaudi 1999
Franco Cambi, Itinerari nella società della fiaba, ETS 1999
Daniel Pennac, Come un romanzo, Feltrinelli 1992.
Sul sito di Le storie siamo noi il programma completo della due giorni: oggi c/o Auditorium dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, via Folco Portinari 5, domani c/o Auditorium della scuola Santa Maria a Coverciano, Via Salvi Cristiani 1/A