La socializzazione politica giovanile

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Capire come nell’infanzia e nella adolescenza si formano le idee politiche è di grande utilità per un’educazione alla cittadinanza.

 

Nella storia europea, osservava il filosofo tedesco Jürgen Habermas, lo Stato-nazione ha forgiato l’omogeneità etnica e culturale che ha garantito il fondamento necessario alle istituzioni liberali e democratiche. In Germania, tuttavia, il nazionalismo si è affermato contro lo spirito repubblicano ed è degenerato nelle aberrazioni razziste che hanno condotto all’olocausto. Dal 1871 al 1945 in Germania la parola patria ha significato una purificazione da perseguire per mezzo dell’espulsione o dell’emarginazione di tutti i supposti nemici della comunità nazionale.
Per questo, secondo Habermas, a questa forma di patriottismo nazionalistico, ne andrebbe contrapposta un’altra, fondata sulla lealtà ai principi politici universalistici di libertà e democrazia incorporati nella legge fondamentale della Repubblica Federale Tedesca. Diversamente dalla variante nazionalistica, questo patriottismo costituzionale separa l’ideale politico della nazione di cittadini dalla concezione del popolo inteso come un’unità prepolitica di linguaggio e di cultura, riconoscendo quindi la legittimità e la dignità morale di culture e stili di vita differenti all’interno della repubblica.
Come si vede, all’origine del concetto, nella seconda metà del secolo scorso, stavano considerazioni fortemente legate alla storia tedesca, in particolare l’impresentabilità di quel complesso di liturgie, riti e simboli carichi di affettività irrazionalistica, con cui la parola patria era stata connotata durante la dittatura nazista. Successivamente però altre motivazioni si sono aggiunte, dato che un approccio costituzionale alla formazione di un senso comunitario sembra a molti analisti l’unica via sia per lo sviluppo di una patria europea sia per la gestione di società sempre più multietniche.
Un patriottismo costituzionale ed europeo, ha scritto Barbara Spinelli, dovrebbe consistere in «un sentimento di lealtà e di attaccamento nei confronti di una Costituzione Europea fondata su principi di libertà e di eguaglianza». Dovrebbe essere «un patriottismo differente da quello tradizionale: più freddo, meno determinato da legami di sangue, più universalista, basato sul rispetto delle leggi, sulla cultura del contratto, della parola data, dei doveri e diritti dell’individuo-cittadino». Non più quindi le passioni cieche e brutali dell’attaccamento alla terra, agli antenati, all’etnia o alla religione nazionale, ma l’amore della libertà comune, la lealtà nei confronti della Costituzione e la speranza in un futuro da costruire insieme. Oggi il patriottismo costituzionale sarebbe l’unico antidoto capace di contrastare il regionalismo xenofobo che sta intaccato parti significative della mentalità europea.

Il patriottismo civile

Oltre che solidi, questi argomenti in favore di un rinnovamento nel modo di concepire l’identità nazionale appaiono ben calzanti anche per l’Italia. Lascio quindi il compito di introdurre una loro critica a una fonte autorevole, il filosofo della politica Maurizio Viroli, non solo storico eminente della nozione di patria, presso l’Università di Princeton, ma anche impegnato ai massimi livelli istituzionali in molto iniziative tese a rinvigorire il senso civico degli italiani. È stato coordinatore del Comitato Nazionale per la Valorizzazione della Cultura della Repubblica presso il Ministero dell’Interno, consulente del Presidente Ciampi e della Camera dei Deputati durante la presidenza Violante, ricevendo nel 2001, per queste sue attività, l’Ordine al merito della Repubblica italiana.
«A mio giudizio», afferma questo nostro civil servant, «il patriottismo costituzionale non è efficace all’interno dei diversi contesti nazionali e non potrà esserlo, a maggior ragione, nel contesto di un futuro Stato federale europeo. Questa considerazione non deve tuttavia affliggere chi, come chi scrive, auspica sinceramente la nascita degli Stati Uniti d’Europa. Esiste infatti, per fortuna, un’alternativa: il vecchio patriottismo repubblicano o civile, che può aiutare l’Europa molto meglio del patriottismo costituzionale.
Nonostante i suoi evidenti pregi, ritengo che il patriottismo costituzionale non sia efficace nello svolgere i compiti che il patriottismo deve svolgere, per la semplice ragione che esige che i cittadini degli stati nazionali sentano lealtà e attaccamento per i principi della democrazia e della giustizia sociale intesi quali principi universalistici.
Ma nella vita reale gli uomini e le donne provano lealtà e attaccamento seri (quando li provano) per un particolare popolo, per la libertà di quel particolare popolo, per particolari parole pronunciate in momenti particolari della vita, per questa o quella persona, questo o quel luogo, questa o quella narrazione, questo o quell’eroe, questo o quel martire, questo o quel simbolo, questa o quella cultura, non per princìpi o concetti, o entità universali o astratte.
Lealtà e attaccamento sono sentimenti non modi della ragione, anche se la ragione svolge un ufficio importante nella loro nascita e nella loro vita. Come tali hanno bisogno di immagini, di colori, di sapori, di musiche. Hanno insomma bisogno, per nascere, rimanere vivi e rinascere, di elementi che principi universali non hanno e non possono avere.
Affermare che i cittadini europei dovrebbero sentire lealtà e attaccamento per i principi universali della libertà, della giustizia sociale è come dire che sarebbe bene provare lealtà e affetto, o amare “la donna” o “l’uomo”. Non si ama “la donna” o “l’uomo”, ma questa o quella donna, questo o quell’uomo. Magari oggi quella donna e fra qualche anno un’altra donna, o questa e quella donna nel medesimo tempo, cadendo in tal guisa, in grave contrasto e acerbi conflitti interiori, ma mai “la donna”».

 

Diffidare dei simboli?

L’ammonimento di Viroli può essere recepito, perlomeno, nel senso della necessità di un equilibrio. L’apprezzamento razionale della Carta costituzionale implica una valorizzazione non mitologica dei suoi principi fondamentali assieme a un riconoscimento dell’inattualità di altre sue parti, a partire dal bicameralismo perfetto, che seguendo Benigni, potremmo definire «l’istituzione più brutta e inefficiente del mondo».
Soprattutto necessita d’essere accompagnato da un apparto simbolico capace di dare concretezza visibile alla passione civica, di una ritualità collettiva che ne testimoni la condivisione, di immagini che ne veicolino i significati profondi.
Sono aspetti “caldi” e affettivi che non implicano di per sé alcuna adesione a forme di aggressività nazionalistica, come testimonia la loro pratica diffusa in Paesi di tradizione democratica ben più salda della nostra, Inghilterra, Francia e Stati Uniti in primo luogo, ma verso i quali l’attuale mentalità politica italiana si mostra particolarmente diffidente. Volendo disegnare l’idea del Paese cui appartiene, un bambino francese potrà usare l’immagine della Marianne, un inglese la Britannia, un americano lo zio Sam, ma un bambino italiano non ha a disposizione alcuna personificazione della sua identità nazionale.
Non pratichiamo neppure alcuna ritualità patriottica veramente condivisa, perché tali non sono mai diventate né le celebrazioni del 25 aprile né le commemorazioni delle stragi e dei lutti nazionali. Persino l’uso dell’inno nazionale è rigorosamente riservato alle pratiche agonistiche, istituzionali o militari. Caso unico al mondo, non abbiamo alcun simbolo femminile che, attraverso l’allusione implicita alla continuità generazionale, raffiguri la comunità nella sua continuità storica, nelle sue radici secolari.
È su questo sfondo che la scuola dovrebbe svolgere la sua opera educativa, ma è ben noto come l’innesto di una cultura propriamente “civica” in quella più generale umanistica o scientifica non sia affatto facile sul piano didattico, come dimostrano i ricorrenti tentativi di reintrodurre corsi specifici di educazione civica.
Come contributo alla discussione, ci sembra utile citare a questo proposito i risultati cui è giunta una branca della sociologia purtroppo non molto praticata in Italia, che pone come specifico oggetto di studio i processi dell’apprendimento politico, ovvero, dal Dizionario di politica di Norberto Bobbio, «quell’insieme di esperienze che nel corso del processo di formazione dell’identità sociale dell’individuo contribuiscono a plasmare l’immagine che egli ha di se stesso nei confronti del sistema politico e nel definire il rapporto che instaura con le istituzioni».

Le competenze politiche a scuola

Il primo dato su cui convergono gli studiosi è la precocità di tale apprendimento politico. È infatti nell’infanzia, nel periodo che va dai cinque-sei sino agli undici-dodici anni, che si forma l’«orientamento verso la comunità», un termine tecnico che, con le parole della sociologa dell’Università di Cagliari Anna Oppo «comprende quel complesso di nozioni e valori che permettono di distinguere il proprio gruppo dagli altri, di identificarsi con i suoi simboli più visivi, di sviluppare un senso di appartenenza e di lealtà verso di esso, di solidarietà nei confronti degli altri membri».
Le ricerche sulla socializzazione politica, a partire dagli articoli ormai storici in questo campo che pubblichiamo nelle pagine seguenti, hanno mostrato come in questa fase i bambini si identifichino nel proprio Paese, sviluppino forti sentimenti di attaccammento per i suoi simboli sociali e politici più elementari e visibili.
Proprio perché si tratta di un apprendimento infantile, nota Anna Oppo, «esso si caratterizza per la presenza di forti valenze emotive e di intense identificazioni affettive che fanno sì che gli scarsi elementi conoscitivi, di natura pre politica, abbiano la possibilità di radicarsi e di costituire, perciò, una solida cornice entro cui situare le successive informazioni».
Il secondo livello, chiamato dai sociologi «orientamento verso il regime», si sviluppa negli anni delle medie superiori, dalla fine dell’infanzia all’adolescenza e riguarda «lo sviluppo di atteggiamenti specifici nei confronti dell’assetto politico della comunità, l’accettazione o il rifiuto delle concezioni ideologiche che lo giustificano, dei suoi meccanismi istituzionali, dei codici di comportamento prescritti, oltre che l’acquisizione delle capacità di agire politicamente utilizzando tali codici».
È questo il periodo decisivo in cui si delineano gli attributi fondamentali della personalità politica adulta. Non è ancora la capacità di operare consapevoli scelte di voto, ossia di giudicare il comportamento specifico degli attori politici, una competenza definita dai sociologi di terzo livello che matura solo alla fine dell’età scolare. Ma è nell’adolescenza che si forma, sempre secondo Anna Oppo, «il complesso di sentimenti in base ai quali si arriverà ad accettare o a rifiutare le regole del sistema politico, in cui si instaurano dimensioni psicologiche importanti come il cinismo o la fiducia politica». Sono gli anni dell’adolescenza «a stabilire se la politica sarà o meno un elemento centrale della vita adulta, se l’atteggiamento di fondo delle persone sarà di partecipazione, rinuncia o rifiuto della dimensione politica dell’esistenza».
Dovremmo quindi chiederci, a questo punto, se la programmazione scolastica italiana aderisca a queste fasi di sviluppo che tipicizzano l’apprendimento politico, fornendo di volta in volta gli adeguati stimoli critici.
Perché da questi studi, solo parzialmente esemplificati dagli articoli che abbiamo selezionato, appaiono alcune evidenze. La prima suggerisce l’inefficacia di qualsivoglia approccio alla “educazione civica” in età liceale quando la precedente fase di sviluppo politico del bambino, connessa al primordiale senso di identità collettiva, non sia stata ben articolata. Al ragazzo che già ha sviluppato una pre-comprensione in senso cinico del mondo politico, di scarso giovamento (anche se non inutile) sarà poi lo studio critico dei principi costituzionali.
La seconda riguarda l’ineludibile esistenza nel processo complessivo di formazione politica degli studenti di fattori affettivi la cui natura simbolica e prerazionale, prestandosi anche a fini manipolatori, pone delicati problemi di gestione didattica.

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Ubaldo Nicola

Direttore del cartaceo de La ricerca e coautore dei manuali Loescher Filosofia: “Dialogo e cittadinanza”, “Il nuovo pensiero plurale”, “Passeggiate filosofiche”, “Pensare la Costituzione”.

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