Cristina da Pizzano (1365-1430) – indicizzata con questo nome nel Dizionario biografico degli italiani –, divenuta celebre con il nome francesizzato di Christine de Pizan, nata a Venezia da una famiglia di origini bolognesi, ha trascorso quasi tutta la vita in Francia, dove è diventata la prima donna intellettuale di professione. Figlia di Tommaso di Benvenuto, astrologo alla corte del re di Francia Carlo V, durante la sua lunga carriera letteraria ha scritto decine di libri tra opere poetiche e trattati storici, politici e pedagogici, lavorando assiduamente per combattere i pregiudizi antifemminili e per sostenere l’istruzione delle donne.
La sua opera più nota, La Città delle Dame (in francese La Cité des Dames), racconta di una città fortificata e popolata solo da quelle donne che in ogni epoca hanno contribuito alla grandezza dell’umanità. In un contesto storico caratterizzato da grande instabilità sociale e politica, Christine de Pizan ha cercato inoltre di promuovere la pace, e di sostenere gli interessi della monarchia, in aperto contrasto con le autonomie feudali che contendevano il potere al re. Il suo ultimo libro, scritto dopo dieci anni di silenzio, è un poema dedicato alle straordinarie vicende di Giovanna d’Arco, incarnazione di quella forza e autorità delle donne che de Pizan aveva perseguito per tutta la vita.
Celebrata in Francia anche durante la cerimonia delle Olimpiadi, in Italia Christine de Pizan è conosciuta soprattutto da chi studia la cultura letteraria del Medioevo, ma è anche una figura ritenuta centrale da chi lavora all’ampliamento del canone letterario o, anche, al suo ribaltamento o superamento, andando consapevolmente a recuperare una presenza femminile che è stata rimossa e occultata soprattutto a partire dal XIX secolo (come ha ben evidenziato Federico Sanguineti nel suo Per una nuova storia letteraria (Argolibri 2022) come anche in un intervento uscito su un recente volume della collana «QDR/Didattica e letteratura», il #17: Le risorse della letteratura per la scuola democratica).
Tuttavia, anche in uno dei libri più coraggiosi e provocatori di questi anni, Controcanone di Johnny L. Bertolio (sottotitolo: La letteratura delle donne dalle origini a oggi, Loescher, 2022), a Cristina da Pizzano è dedicata solo una scheda, poiché trattandosi di una scrittrice di lingua francese non viene propriamente antologizzata e quindi inserita a pieno titolo in un rinnovato canone italiano.
Donna e francese – è giusto usare la versione francesizzata del suo nome –, Christine de Pizan può esser letta nelle traduzioni di Patrizia Caraffi (La Cité des Dames – La Città delle Dame, Carocci 2018) e di Anna Slerca (Cento ballate d’amante e di dama, Aracne 2007) e approfondita attraverso una monografia di Maria Giuseppina Muzzarelli, Un’italiana alla corte di Francia. Christine de Pizan intellettuale e donna (il Mulino 2007) o il recentissimo Christine e Thomas. Un amore italiano nella Parigi del Quattrocento di Marco Piccat (il Mulino 2024).
Per poter leggere un brano tradotto e commentato di una sua opera occorre rivolgersi a libri come Scrittrici del Medioevo di Elisabetta Bartoli, Donatella Manzoli e Natascia Tonelli (Carocci 2023), un’antologia che mette sotto gli occhi di chi legge un’impressionante mole di testi fino a ieri invisibili anche in ambito universitario, riservati esclusivamente allo sguardo e all’intelligenza di chi dedica la vita allo studio della cultura medievale, e superando le barriere linguistiche e culturali.
Per tornare dunque alla domanda iniziale: non sarebbe possibile allora inserire qualche brano dell’opera di Christine de Pizan in un’antologia per la scuola secondaria italiana? La questione è nell’aria da tempo, e la soluzione non sembra pacifica. Durante una discussione sulla “Lettura dei classici italiani nella scuola secondaria di secondo grado” che si è svolta all’Università di Pisa l’11 ottobre scorso, ho sentito per la prima volta dire apertamente che l’inserimento di Christine de Pizan nei manuali sarebbe un “falso storico”. Mi ha colpito che venisse portato come esempio di falsificazione della storia letteraria proprio il caso di questa intellettuale, ma non mi sorprende purtroppo la correlazione instaurata tra il criterio di scelta dei brani per i manuali scolastici e la storia letteraria, che evidentemente viene ritenuta il solo e unico setaccio al cui vaglio passare i monumenti da tramandare da una generazione all’altra.
Senza dover richiamare l’ultradecennale dibattito sul canone e sul suo superamento, in questa sede è tuttavia opportuno richiamare almeno la normativa sull’insegnamento di Lingua e letteratura italiana nell’ultimo segmento della secondaria di secondo grado, che nel caso dei licei, per esempio, ha il compito fondamentale di mettere ogni studente in grado di «Conoscere gli aspetti fondamentali della cultura e della tradizione letteraria, artistica, filosofica, religiosa italiana ed europea attraverso lo studio delle opere, degli autori e delle correnti di pensiero più significativi e acquisire gli strumenti necessari per confrontarli con altre tradizioni e culture». Si tratta di un compito prescrittivo, tratto dal Profilo culturale, educativo e professionale dei Licei del 2010 (GU Serie Generale n.291 del 14-12-2010 – Suppl. Ordinario n. 275), che purtroppo non è stato pienamente recepito dalla commissione incaricata di redigere le successive Indicazioni nazionali (non prescrittive ma, appunto, indicative), da cui scompare la dimensione europea dell’insegnamento letterario, a esclusivo vantaggio del «disegno storico della letteratura italiana», espresso sotto forma di un lungo elenco di autori (rigorosamente uomini, fatto salvo il caso di Elsa Morante).
L’insegnante e l’editore che vogliano rispettare la norma si trovano sicuramente in difficoltà, e ancor più dovrebbero essere messi in crisi dalla lettura dei profili e delle relative linee guida degli Istituti Professionali – che non contengono indicazioni né obblighi su alcun disegno storico, né tantomeno sulla nazionalità di eventuali autori e autrici da portare in classe – e degli Istituti Tecnici, per i quali si suggerisce di insegnare a «Riconoscere e identificare periodi e linee di sviluppo della cultura letteraria ed artistica italiana», ed anche a «Identificare gli autori e le opere fondamentali del patrimonio culturale italiano ed internazionale dal Medioevo all’Unità nazionale» e a «Riconoscere i tratti peculiari o comuni alle diverse culture dei popoli europei nella produzione letteraria, artistica, scientifica e tecnologica contemporanea». Siamo sicuri che si possano ottenere questi risultati attraverso l’esclusiva conoscenza del profilo storico della tradizione letteraria italiana, così come è stato codificato negli ultimi centocinquanta anni?
Premesso che, come ha scritto Simone Marsi nel suo recentissimo Il racconto del passato (QdR/Didattica e letteratura #18, 2024), dobbiamo costantemente interrogarci sul canone, su «chi lo abbia redatto», e su «come è stato trasmesso e come vogliamo sia trasmesso» – ed è quindi utile porsi il dubbio se inserire o meno una “nuova” autrice in un manuale scolastico –, in questo caso sarebbe sufficiente, senza scomodare una normativa che appare per certi versi più avanzata della prassi scolastica, allargare i confini del sapere letterario. Ovvero, anche mantenendo l’approccio storico, provare a moltiplicare le prospettive e a superare di un balzo quelle barriere culturali (nazionali) e di genere (maschili) che ci impediscono di andare a prendere, nel patrimonio letterario, quel che ci serve oggi per procedere, insegnanti e studenti, lungo un cammino di emancipazione ogni giorno più impervio e necessario. Leggere le parole di chi lo ha intrapreso qualche secolo prima di noi non può che essere di buon auspicio.
Si presenta di seguito, anche per uso didattico, un breve profilo del Libro della Città delle Dame (1404-1405), seguìto da un brano commentato.
Il Libro della Città delle Dame
Il titolo originale dell’opera è Le Libre de la Cité des Dames, Il libro della Città delle Dame, e tratta in effetti della costruzione di una nuova città, popolata da sole donne, che viene edificata dall’autrice grazie all’aiuto di tre figure allegoriche, Ragione, Rettitudine e Giustizia. Tutto il libro si basa su questa metafora edilizia e architettonica, per cui la stessa scrittura diventa uno strumento per edificare un luogo sicuro, fondato sulla reputazione e sulla grandezza di donne straordinarie, paragonate a «grandi e forti pietre», e protetto da mura di cinta che sono costituite da donne dotate di grande sapienza. Le “dame” a cui si fa riferimento nel titolo sono le donne nobili, la cui nobiltà è da intendersi come nobiltà d’animo piuttosto che di nascita. Nella Città delle Dame, «perfetta, fortificata e chiusa da solide porte», Christine e le altre donne a cui l’opera si rivolge possono trovare «un luogo in cui potersi rifugiare e difendere contro così tanti assalitori» e uno spazio privilegiato in cui affermare la propria dignità. La struttura narrativa L’opera è articolata in tre libri, ciascuno dei quali ha per protagonista una delle tre figure allegoriche della Ragione, della Rettitudine e della Giustizia, che appaiono a Christine in un momento di tristezza e di indignazione dovuto alla lettura di un libro misogino, le Lamentations di Mateolo, in cui le donne vengono definite «inclini a ogni tipo di vizio». Nel primo libro, Ragione accompagna Christine nel «Campo delle Lettere», dove comincia a scavare un fossato con «la zappa della ricerca» e rimuove un certo numero di false credenze sulle donne. Una volta preparato il terreno, erige le fondamenta sopra delle pietre grandi e forti, rappresentate dalle regine e dalle guerriere del passato, mentre le mura di cinta sono realizzate con donne sapienti. Nel secondo libro, Rettitudine collabora alla costruzione dei palazzi e delle torri mettendo a disposizione le sue «belle pietre rilucenti, più preziose di tutte le altre», rappresentate dalle storie di donne esemplari per la loro virtù. Giustizia interviene nel terzo libro per completare l’opera, conducendo in città la più nobile delle donne, la vergine Maria, definita Regina dei Cieli, accompagnata da Maria Maddalena e dalla schiera delle sante. Temi e personaggi La città è fondata sulla memoria e sull’esempio di decine e decine di donne del passato e del presente, realmente esistite o mitologiche, le cui storie vengono raccontate innanzitutto per dare visibilità alla storia delle donne e alla loro presenza nella società. All’interno dell’opera è possibile poi individuare alcuni dei temi prediletti da Christine de Pizan, che ricorrono anche in altri suoi libri: la critica alla misoginia, il sostegno all’educazione come fondamentale strumento di riscatto per le donne, la condanna della violenza sulle donne e dello stupro, il problema dell’esclusione delle donne dalla gestione degli affari e dalla sfera pubblica. La storia delle donne, inoltre, mostra la possibilità di una via alternativa alla gestione del potere, poiché «È assai provato che da loro (le donne) non provengono i grandi orrori e il male commessi nel mondo continuamente» (libro II, capitolo LIII). I riferimenti culturali Christine de Pizan in questo suo libro dialoga con molti autori della tradizione letteraria classica e cristiana, da Ovidio, criticato per aver contribuito a diffondere stereotipi misogini, a Sant’Agostino, autore della Città di Dio, cui si deve probabilmente l’idea della costruzione di una città perfetta. Uno dei punti di riferimento più importanti, tuttavia, è il De mulieribus claris (Le donne famose) di Boccaccio, un’opera pubblicata nel 1361 e tradotta in francese nel 1401, in cui viene presentata una galleria di donne celebri del passato riprese anche nella Città delle Dame. Ma mentre Giovanni Boccaccio dichiara di non voler parlare delle donne del suo tempo perché non sarebbero degne di attenzione, per Christine de Pizan è fondamentale creare un legame tra passato e presente, andando a ricostruire una genealogia delle donne di oggi, le quali sono legittimate da una lunghissima storia comune di esclusione e di subordinazione. A differenza di Boccaccio e degli altri autori medievali, inoltre, de Pizan rimuove i tratti misogini che sono presenti in molte descrizioni delle figure del passato. La prima pietra con cui è costruita la Città delle Dame è la regina di Babilonia Semiramide, rappresentata nella Commedia di Dante come lussuriosa e da Boccaccio crudele e libidinosa. Nel primo libro della Città delle Dame, Semiramide è rappresentata invece come una vedova eroica, capace di governare e di combattere con coraggio: «una donna di immenso valore e grande coraggio nelle imprese e nell’esercizio delle armi». Il significato dell’opera La città, si legge verso la fine del libro, «è stata fondata e costruita per tutte le dame onorate, quelle del passato, come del presente e del futuro». Si tratta di un progetto volto a dare uno spazio pubblico in cui le donne possano riconoscersi vicendevolmente e trovare le risorse necessarie ad affermarsi nella società. Christine de Pizan in quest’opera propone una nuova visione del mondo, che rende giustizia alle donne, fin qui emarginate ed escluse, garantendo loro un’inedita visibilità all’interno di un ambiente autonomo, libero e destinato alle generazioni che verranno. Un brano sull’intelligenza delle donne nella traduzione di Patrizia Caraffi Christine, grazie all’aiuto di Ragione, ha terminato di costruire le fondamenta della Città delle Dame, e adesso si appresta a innalzare le mura di cinta che dovranno proteggere le abitanti. Le due donne hanno appena finito di parlare del coraggio delle donne, quando Christine rivolge una domanda alla sua accompagnatrice, da cui vorrebbe sapere se le donne sono capaci di apprendere come gli uomini. XXVII. Cristina domanda a Ragione se Dio volle mai onorare l’intelletto femminile della capacità di apprendere le alte scienze. Risposta di Ragione. Dopo aver ascoltato le sue parole, domandai a Ragione: «Dama, certamente Dio ha compiuto meraviglie con la forza di quelle dame di cui raccontate. Ma spiegatemi ancora, vi prego, se Dio, che ha concesso loro tante qualità, ha mai voluto onorare il genere femminile concedendo ad alcune donne una grande intelligenza e un profondo sapere e se sono davvero capaci di apprendere. Desidero molto saperlo: gli uomini affermano che l’intelletto femminile non è adatto allo studio». Risposta: «Cara, per tutto quello che ti ho detto prima, puoi capire che non è vero, e per spiegartelo con maggiore chiarezza, ti darò qualche esempio come prova. Ti ripeto, e non avere dubbi, che se ci fosse l’usanza di mandare le bambine a scuola e di dar loro un’educazione come si fa con i bambini, imparerebbero altrettanto bene e capirebbero i segreti delle arti e le scienze, così come essi fanno. E ve ne sono tante: come ti ho appena spiegato, le donne hanno un corpo più delicato degli uomini, più debole e meno adatto a certi compiti, ma sono dotate di intelligenza più viva e brillante». Tratto da Scrittrici del Medioevo. Un’antologia, a cura di E. Bartoli, D. Manzoli, N. Tonelli, Roma, Carocci, 2023 |