«Milano [agli inizi degli anni Cinquanta] si vantava ancora di una laicità illuminista – eravamo la città di Verri e Beccaria – che si è affrettata a cancellare negli anni Novanta»: così leggiamo in La ragazza del secolo scorso, il memoir pubblicato da Rossana Rossanda ormai diciotto anni fa (Einaudi, 2005, poi 2007). Di quel patrimonio intellettuale, contraddistinto dall’impegno a maturare proposte etiche e civili svincolate da ogni preordinato principio e dogma, Rossanda è stata a tutti gli effetti erede e continuatrice: una delle grandi femmes d’esprit, a dirla col linguaggio prerivoluzionario, che hanno illuminato il Novecento italiano.
Nata a Pola nel 1924 – sul passaporto, rammentava, non sapevano se scrivere: Pola, Italia o Pola, Croazia – apolide e aconfessionale, Rossanda partecipa attivamente alla Resistenza, gioca un ruolo non secondario nelle vicende del Dopoguerra (prima come dirigente del PCI, poi come comunista senza partito e senza cariche), quindi anima di un pezzo importante della cultura italiana del secondo Novecento, conoscendo, negli anni Ottanta, il rovesciamento dell’asse mentale collettivo, o forse più esattamente il suo cedere di schianto alle pressioni normalizzanti del capitale. La fondatrice del «manifesto» affronta così quasi cento anni di storia (si è spenta nel 2020) vivendo sempre en femme libre et en philosophe, per parafrasare Voltaire, esaminando la realtà da una prospettiva critica libera e indipendente, per quanto di solida ispirazione marxista e femminista.
La figura privata e pubblica di Rossanda, capace di tenere insieme, nel confronto culturale, momento etico e momento politico, torna a parlarci oggi dalle pagine di Aperte lettere. Saggi critici e scritti giornalistici (Nottetempo, 2023), libro bipartito, con un primo capitolo di Saggi critici e introduzioni e un secondo che raccoglie Interventi e recensioni, a sua volta suddiviso in sei paragrafi cui l’attento e appassionato curatore del volume, Francesco De Cristofaro, ha conferito i suggestivi titoli di Guerriglia culturale; Coni d’ombra; Femminismo critico; Canone del Novecento; Una testimone in ascolto; Attraverso Fortini.
I distesi e corposi contributi iniziali sono consacrati a tre giganti della letteratura occidentale moderna, Fëdor Dostoevskij, Emily Dickinson, Thomas Mann, le cui opere vengono indagate a partire dalle evidenze del cronotopo biografico (un esercizio di contestualizzazione francamente rinfrancante), coinvolgendo poi in seconda battuta problemi di stile, questioni di genere, considerazioni sulla qualità dei risultati artistici, con una precisione argomentativa e una capacità di sintesi metodologica che denotano una non comune sottigliezza storico-critica.
Se il saggio sul romanziere russo ne affronta la natura problematica di soggetto antimoderno in cerca di assoluti psicologici e apocalissi spirituali (l’Idiota, 1869: la folgorante bontà cristica è stultitia per il mondo), è forse l’intervista sulla poetessa americana, personalità di indole metafisica ma in tutto figlia del proprio tempo, a risultare oggi più interessante, anche per una certa, in parte autobiografica, sottolineatura dell’indipendenza intellettuale dimostrata da Emily: «un fiero cervello», si legge in una delle risposte, «che dà al mondo un voto: insufficiente».
I dolori privati, le circostanze di vita avverse non determinano da sole le idee di un’autrice, ma questo non significa che il pensiero poetante sia un discettare astratto, avulso dai dati di realtà: è un atto umano che vive del rapporto con le condizioni storiche che lo hanno prodotto.I dolori privati, le circostanze di vita avverse non determinano da sole le idee di un’autrice, ma questo non significa che il pensiero poetante sia un discettare astratto, avulso dai dati di realtà: è un atto umano che vive del rapporto con le condizioni storiche (biografiche, ideali e materiali) che lo hanno prodotto.
Quanto al capitolo Interventi e recensioni, basta scorrere i titoli per farsi un’idea della vorace passione culturale di Rossanda, che spazia dai miti antichi ai più cogenti dibattiti del momento. Pagina dopo pagina l’autrice distingue, contesta, puntualizza, demistifica luoghi comuni, si accalora in battaglie di principio con tono pacato ma fermo. Non nutre troppe illusioni circa il potere della scrittura critica, e tuttavia crede nel valore e nella funzione civile del prodotto culturale. Sostiene un principio di etica pubblica che attribuisce una forte responsabilità alle agenzie culturali di Stato, troppo spesso impegnate, per un malinteso senso di pedagogia democratica, a sfornare prodotti mediocri, carenti sia di qualità artistiche sia di sincero afflato popolare (il cosiddetto mid-cult). Esemplare in tal senso la stroncatura della riduzione televisiva di Anna Karenina (1974), non per lesa maestà rispetto al testo di partenza (l’autrice ammette che nel venire trasposto dalla pagina al grande schermo un romanzo possa, appunto, “ridursi”), ma perché certe semplificazioni rendono un cattivo servizio tanto all’opera di partenza quanto all’audience che ne fruisce.
Anche per la letteratura per l’infanzia Rossanda non ha parole tenere: ritiene che in molti casi sia uno strumento atto a condizionare e persuadere più che a favorire fantasia, creatività, libero sviluppo intellettuale dei bambini. È una posizione di ammonimento, la sua, che certo si colora di riflessi morali: attenzione, la macchina statuale tende a indottrinare, non a formare coscienze critiche. Meglio che ragazze e ragazzi incontrino i classici, anche in tenera età, piuttosto che opere scritte per chiudere i loro orizzonti entro limiti prestabiliti, direzionarne programmaticamente le idee.
Interessanti, e sagaci, sono le riflessioni dedicate a una serie di “donne contro”, per così dire, figure in rivolta rispetto alle imposizioni e ai diktat del loro tempo: dall’Eloisa medievale alla Maša di Tolstoj, passando per la Gertrude secentesca (personaggio storico e letterario). Le vite di queste signore, reali o di carta che siano, la toccano da vicino, la riguardano; i loro problemi e condizionamenti interrogano il suo vissuto di donna che ha occupato posizioni dirigenziali nell’Italia contemporanea. In particolare, la scrittrice riflette sull’eredità di una condizione subìta, sulle conseguenze dell’esser state per secoli fuori della storia, senza tuttavia farne una bandiera e tantomeno sentirsi martire.
Se i talenti letterari di Achmatova e Cvetaeva le paiono degni di un’ammirazione abbastanza indiscutibile, più problematico è il rapporto con Virginia Woolf: Rossanda trova grande l’autrice di To the Lighthouse (1927), ma ha molte perplessità sul celebrato Three Guineas (1938), libro più ambiguo (anche sul piano dello specifico letterario) di quanto comunemente si pensi.
Parimenti, nella polemica seguita alla pubblicazione della Storia di Elsa Morante (1974), si schiera più dalla parte degli scettici e dei detrattori che da quella degli entusiasti incensatori. Dedica pagine di sentito elogio all’allora giovane saggista Nadia Fusini, e in particolare ai suoi contributi su Kafka (Due, 1988) e Fedra (La luminosa, 1990), mentre problematiche e a loro modo intime sono le pagine scritte, tra stralci di memoria personale e considerazioni epocali, su Simone de Beauvoir e Sartre.
Chiude il volume un notevole mannello di testi dedicati a Franco Fortini, il “nemico” politico con cui, scrive Rossanda, «per quasi trent’anni ci eravamo ringhiosamente voluti bene». Due aspetti emergono, in questa sezione, con limpida evidenza: l’ammirazione intellettuale che l’autrice nutre nei confronti delle categorie interpretative elaborate dall’autore di Dieci inverni (1957), sempre pronto ad assumere posizioni dure, impopolari, persino scabrose – straordinario il passaggio sulla disamina fortiniana della parabola brigatista, vera tragedia della stupidità – e la fascinazione per quello che con Luca Lenzini (via Edward Said) potremmo chiamare lo “stile tardo” dell’amico, implicante una tensione irrisolta con i temi dell’invecchiamento e della decadenza fisica, incompatibili con l’imperativo capitalistico alla produttività (cui si reagisce lavorando fino all’ultimo per demistificarla: come farà poi lei stessa nei primi due decenni del Duemila).
Aperte lettere è un libro che ha il fascino di una «scrittura rattenuta, esatta, teorematica: quasi a doppiare l’oggetto di analisi», nota De Cristofaro nel saggio di accompagnamento Leggere fuori tempo, titolo che gioca su un doppio senso rivelatore: leggere testi inattuali, sottraendosi all’ansia di intercettare le ultime novità librarie, ma anche andare controtempo rispetto agli idola del momento. D’altro canto le pagine qui raccolte invitano a non astrarsi dal cerchio dei giorni che ci è stato dato di vivere, dal perimetro concreto della società in cui agiamo.
Nella battaglia per le idee, Rossanda si è guardata dal prendere la parola du fond de sa retraite, sempre si è mossa su un terreno saldamente comunitario, assumendo per sé un attivo ruolo maieutico.
Nella battaglia per le idee, Rossanda si è guardata dal prendere la parola du fond de sa retraite, sempre si è mossa su un terreno saldamente comunitario, assumendo per sé un attivo ruolo maieutico, condensato con perentoria chiarezza in un passo del citato La ragazza del secolo scorso: «mai ci si realizza come assieme agli altri, cui con naturalezza si spiega come fare». Occorre accettare che sono i salti di generazione a fare epoca, portandosi via, oltre a un pezzo di vita, e di storia del mondo, un carico di generose illusioni, promesse mancate, ambiguità, false prospettive. Opporsi a questa dura lex storica è inutile, sovente disastroso. Chi davvero “volta pagina” non è colei, colui che si fa sedurre dalle promesse del foglio bianco, del palinsesto immacolato, bensì la donna, l’uomo di spirito che nell’aiutare il nuovo a nascere salvaguarda quanto del passato non fu errore o travisamento, ma meditata e sagace lettura del reale.