Una coincidenza singolare, vista la situazione eccezionale che stiamo vivendo; un’occasione preziosa per chi crede nel valore conoscitivo della letteratura e nella possibilità, attraverso l’educazione alla lettura, di rendere le nuove generazioni capaci di orientarsi nelle strade così intricate del mondo.
I libri sono Almarina di Valeria Parrella (Einaudi, Torino 2019), Tutto chiede salvezza di Daniele Mencarelli (Mondadori, Milano 2020) e L’apprendista di Gian Mario Villalta (SEM, Milano 2020).
Sulla lettura nella scuola a distanza
Per gli studenti della giuria dello Strega Giovani (oltre cinquecento, di undici regioni italiane) sono stati organizzati dal 3 aprile al 18 maggio, in collaborazione con l’Associazione Piccoli Maestri, appuntamenti sulla piattaforma Zoom con gli autori in lizza per l’assegnazione del Premio. Ma nelle scuole i libri in concorso sono sovente letti sia dai giurati con diritto di voto, sia dai loro compagni di classe o di istituto (qualche volta il passa-parola può avvicinare alla lettura anche i più scettici, soprattutto in tempi di cattività domestica…); pertanto agli incontri riservati ai membri della giuria e ai loro insegnanti si affiancano quelli domenicali offerti a un più vasto pubblico in diretta streaming (qui il calendario): così è accaduto il 26 aprile scorso, quando Valeria Parrella, Daniele Mencarelli e Gian Mario Villalta hanno presentato i loro libri al pubblico della rete (qui la registrazione).
In questi giorni, in cui stiamo imparando a fare un uso proficuo degli strumenti digitali per la didattica a distanza, è possibile dunque consigliare la lettura di un romanzo di qualità di recente pubblicazione e conoscerne l’autore non in presenza, nell’aula magna della scuola, ma in un’aula digitale. Lo si può fare, naturalmente, anche indipendentemente dalle proposte della Fondazione Bellonci: nel web non mancano risorse per realizzare esperienze di lettura “aumentata” con i nostri studenti.
Il carcere minorile di Nisida
Elisabetta Maiorano è l’io narrante protagonista del romanzo di Valeria Parrella Almarina: è un’insegnante cinquantenne di matematica che, dopo le vicissitudini del precariato, esercita la sua professione nella scuola dell’istituto penale minorile di Nisida. Elisabetta nello spazio chiuso del carcere si sente in fondo a proprio agio perché i contatti umani richiedono il suo massimo impegno e la distolgono dai suoi problemi quotidiani: è da poco rimasta vedova, è una madre mancata e Napoli è una città chiassosa e ridondante, opprimente. Nell’aula del carcere Elisabetta incontra Almarina, un’alunna rumena sedicenne, fuggita insieme al fratello bambino dalla violenza domestica e dalla sua terra, diffidente e guardinga. Per ragioni profonde quanto difficili da capire, Elisabetta vede proprio negli occhi di Almarina una possibilità per entrambe. Per questo accetta di portare a casa sua Almarina grazie a un permesso concesso dal direttore nei giorni di Natale: in un altro spazio chiuso, quello domestico del salotto, con gesti quotidiani e banali nascono affetto e intimità, si spezzano barriere, si intrecciano destini così apparentemente lontani. Alla fine di questa storia non è davvero più possibile capire chi salva chi, se la donna matura salva l’adolescente o viceversa: pare piuttosto evidente che da questa relazione trarranno forza entrambe per affrontare le loro vite.
L’ospedale psichiatrico
Il protagonista di Tutto chiede salvezza è Daniele, lo stesso autore, che ci consegna un frammento della sua vita, custodito a lungo e infine affiorato, rielaborato e condiviso con la scrittura in prima persona. A vent’anni, nell’estate del 1994, Daniele viene ricoverato per essere sottoposto a un TSO, un trattamento sanitario obbligatorio: un disagio più o meno latente, del quale è consapevole ma che nasconde agli amici, lo porta a una crisi violenta, nel corso della quale il padre ha un collasso. La famiglia, preoccupata per l’incolumità di Daniele e di chi gli sta vicino, chiede l’intervento dei sanitari; il giovane, di carattere mite, nonostante la difficoltà a controllare le sue angosce, accetta di buon grado di essere ospedalizzato, confidando nella possibilità di trovare un rimedio per il suo male oscuro. Ma la via della salvezza, sorprendente e tortuosa, non è quella delle cure dei sanitari e dei farmaci. L’umanità dolente con cui Daniele deve convivere a stretto contatto nello spazio opprimente di una stanza d’ospedale per sette giorni (i sette capitoli in cui è scandito il romanzo) lo sottopone a una prova durissima e nello stesso tempo getta il seme del cambiamento. Se oltre le finestre dell’ospedale, sullo sfondo, c’è una campagna romana che lo sviluppo economico e industriale sta sconvolgendo, dentro il nosocomio assistiamo allo spettacolo della natura umana, spaventosa e commovente insieme. Sulle prime il protagonista è terrorizzato, vede di fronte a sé il presagio di ciò che non vuole diventare e tiene le distanze da pericolosi estranei; poi abbassa le difese, si apre all’accoglienza degli altri e alla fine del libro li scoprirà dei fratelli nel dolore. I cinque “pazzi” sono Gianluca, un omosessuale bipolare assillato da una madre soffocante; Alessandro, un ragazzo catatonico che si è chiuso improvvisamente in un mutismo impenetrabile ed è assistito dal padre; Mario, un maestro colto, intelligente e naturalmente incline al dialogo, che ha tuttavia attentato alla vita dei suoi cari; Madonnina, alla ricerca della sua anima perduta per intercessione della Vergine che invoca ossessivamente; e infine Giorgio, un autolesionista rimasto bambino nonostante la mole imponente, prigioniero di un lutto troppo grande patito nell’infanzia.
La sacrestia di una chiesa
Davvero inconsueto il luogo in cui è ambientata la storia narrata da Gian Mario Villalta, ossia la sacrestia di una chiesa parrocchiale in un ricco paese del Nord-Est in cui la civiltà contadina è stata spazzata via per lasciare spazio a uno sviluppo industriale e agricolo votato al benessere e alla competizione. L’apprendista che dà il titolo al romanzo è Attilio, detto Tilio, che affianca il sacrestano Fredi: due uomini anziani, di 72 e 85 anni rispettivamente, che uniscono le loro solitudini e condividono le loro giornate. Uomini di poche parole, borbottano fra sé, si parlano con circospezione, comunicano con gesti misurati e sguardi eloquenti; prendono molto sul serio il loro incarico, svolgono il servizio in modo impeccabile e nel frattempo osservano l’umanità che sfila davanti a loro nei grandi appuntamenti della vita e cercano di comprendere come gira il mondo fuori. Non si lasciano scappare l’occasione di fare i conti con le loro vite, che affiorano gradualmente nelle pagine del romanzo: nei dialoghi fra Tilio e Fredi emerge la tensione fra il desiderio di capire e il mistero della vita e questo li porta a un’intimità che si volge in un’amicizia sincera e tenera.
Il sugo di queste storie
In questi giorni in cui le misure di distanziamento sociale ci hanno obbligato a stare rinchiusi, cosa ci dicono queste tre storie ambientate in luoghi costretti? Ben prima che dovessimo a fare i conti con la pandemia, questi tre romanzi hanno dimostrato che frequentare luoghi separati dal mondo, luoghi in cui difficilmente sceglieremmo di entrare o di stare – come un carcere, un ospedale psichiatrico, una sacrestia – ci obbliga a guardare la realtà da una diversa prospettiva, mette in discussione molte delle nostre certezze. Ma soprattutto ci costringe alla resa dei conti con noi stessi, e questo può avvenire solo nell’incontro con l’altro, coltivando la relazione con chi ci troviamo accanto in una contiguità imprevista. Quello che le più dure lezioni della vita ci obbligano a scoprire praticamente, con fatica e con dolore, è possibile sperimentarlo anche fra le pagine di qualche buon libro.