Valutare e promuovere 
“ben-essere” nella scuola
 cross-COVID

Tempo di lettura stimato: 22 minuti
In un sistema scolastico già da tempo “sorvegliato speciale”, la pandemia, con le sue conseguenze, è stata un terremoto che ha influito sullo stato di salute anche mentale delle persone che lo frequentano, soprattutto nelle tre dimensioni del sentirsi competenti, sentirsi autonomi e stare in relazione. Come ricostruire contesti in grado di promuovere benessere? Dal numero 23 de La ricerca, “Mal di scuola”

Potremmo dire che il 2020 è stato per noi tutti un nuovo anno 0: la realtà, bella o brutta che ci paresse, quella realtà cui eravamo abituati, a cui tutto sommato alcuni erano affezionati, è cambiata. Tutto è accaduto rapidamente, senza preavviso, senza ragione comprensibile, senza possibilità di controllo, nella più totale impreparazione delle persone e dei sistemi sociali.

Un virus, una sfera del diametro medio di circa 0,1 micron (500 volte più piccolo del diametro di un capello!), ha contagiato quasi 600 milioni di persone, provocando la morte di oltre 6 milioni di queste1.

Facendo un passo indietro e guardando in prospettiva quanto è successo e sta ancora accadendo, non ritengo ci si possa stupire troppo: la storia racconta che non è la prima volta e non sarà questa certamente l’ultima che un evento imprevedibile e di portata globale ci costringe a mettere in discussione i nostri progetti e le nostre certezze, il nostro rapporto con gli spazi pubblici e privati, con i corpi nostri e altrui.

Nonostante tutto, lo schiaffo della realtà sembra comunque averci colpito alla sprovvista: forse ci eravamo illusi, grazie alle tecnologie avanzate che possediamo e che continuiamo a potenziare, di avere conquistato una capacità di previsione e di controllo assoluti. La realtà è che queste si sono rivelate solo parzialmente efficaci.

Come risvegliati di soprassalto dal torpore a cui l’illusione di potere illimitato sulla realtà ci aveva indotto, ci siamo ritrovati costretti a fare i conti con le nostre fragilità e con il nostro limite, a una nuova consapevolezza dei punti deboli dei nostri corpi umani e sociali. Certo, questa esperienza non è piacevole, perché significa soprattutto mettere in discussione le nostre certezze, le nostre strategie, le nostre conquiste. Spesso quello che abbiamo sempre dato per scontato o che sentivamo di avere raggiunto.

Di fronte al cambiamento, a questo cambiamento in particolare, possiamo assumere tre posture. La prima è impegnarci nel cercare di far tornare tutto come era prima; la seconda, restare seduti, immobili, sulle macerie di ciò che prima era e che ora non è più; la terza, fare un inventario delle risorse che ancora possediamo (o che abbiamo dovuto tirare fuori in questi due anni, magari dal nulla) e tornare a fare ciò che ci definisce come esseri umani: accettare la nuova sfida della realtà e iniziare a cercare e poi a mantenere un nuovo equilibrio, nuove isole d’ordine che ci permetteranno, ancora una volta, di adattarci e tornare a stare bene.

Se accettiamo di prendere in considerazione questa riflessione (almeno nelle sue linee generali) non possiamo non interrogarci sui cambiamenti cui è chiamata la scuola, matrice del nostro sistema sociale. Ribolzi afferma che la scuola è impegnata a perseguire tre categorie di obiettivi2: la prima, la più riconoscibile, mette al centro i processi di insegnamento e apprendimento di conoscenze e competenze; la seconda, riconosciuta prevalentemente da dirigenti, insegnanti e genitori, che riguarda l’organizzazione della scuola; la terza e ultima categoria, nota anche come curricolo nascosto3, riguardante la trasmissione di aspetti della cultura che riproducono e giustificano l’appartenenza della persona a un determinato gruppo sociale.

La pandemia ha scosso e sta continuando a scuotere le fondamenta di questa istituzione. I processi di insegnamento e apprendimento sono passati dalla modalità sincrona e in presenza a modalità sincrona e asincrona, sia in presenza, sia a distanza, sia in modalità mista. Ciò ha imposto agli attori che abitano il contesto suola cambiamenti profondi nelle dinamiche relazionali e l’acquisizione di nuove e complesse competenze digitali. La stessa organizzazione della scuola è stata sovvertita. La gestione dei posti a sedere in classe è stata piegata alle necessità del tracciamento dei contagi, l’ingresso e la permanenza a scuola sono stati subordinati all’uso della mascherina, al possesso di un certificato e alla presenza/assenza di determinati sintomi, la stessa pulizia degli ambienti ha dovuto fare i conti con il concetto nuovo di sanificazione. Da ultimo, ma non per importanza, il modo di stare insieme a cui eravamo abituati è stato messo in discussione. Il distanziamento fisico4, la mascherina che nasconde il viso (e il naso!), l’isolamento, la vigilanza attiva, le regole (dinamiche e di difficile interpretazione!) per accedere ai vari servizi.

Tale contesto caratterizzato da cambiamento, incertezza, senso di inadeguatezza sta producendo effetti negativi in termini di benessere, in particolare sui soggetti più fragili, ovvero gli alunni e le alunne5.

Sono i più fragili, perché sono i meno “attrezzati” per affrontare le sfide e adattarsi ai cambiamenti imposti dalla situazione contingente che, come se non bastasse, cade, per molti, in un periodo della loro vita già di per sé carico di sfide complesse e faticose da affrontare (pubertà, adolescenza, passaggio all’età adulta).

Per tentare di condividere qualche riflessione su come sia possibile abitare bene questa nuova condizione di vita, ci permettiamo di richiamare alla memoria quanto scritto nel 20196.

Il benessere nella scuola pre-COVID-19

 

 

Nel Quaderno della Ricerca 48, La classe senza voto, avevamo affermato:

Se dunque la realtà in cui siamo immersi è così carica di incertezza come ci viene raccontato, e la scuola, così com’è oggi, non solo sembra, ma dimostra, di non essere in grado di offrire al giovane il necessario per vivere e realizzarsi in essa, allora è possibile che chi detiene il potere, il quale è sottoposto alle stesse dinamiche corrosive e destrutturanti pocanzi tratteggiate, ma che possiede, in virtù della sua età (alta!), meno energia dei giovani, accetti di rimettere in discussione anche quelle posizioni verso cui, un tempo, era proibito anche solo puntare il dito. (p. 43)

La realtà della scuola era già prima del COVID-19 un sorvegliato speciale7, tanto da portarci ad affermare, in altre parole, che anche coloro a cui è stata affidata la responsabilità delle decisioni sarebbero stati, presto o tardi, richiamati a mettere in discussione le basi più profonde del sistema.

Pochi paragrafi dopo, forse in tono improvvidamente profetico, abbiamo aggiunto:

Oggi ci rendiamo conto che quelle strategie che tanto ci hanno permesso, oggi non sono più sufficienti, anzi si rivelano controproducenti. La complessità dei nuovi labirinti da cui siamo e saremo chiamati a uscire è tale da rendere necessario il ritorno alla valorizzazione di capacità che ci rendono ciò che siamo, come la creatività. (p. 45)

Il labirinto di fronte a cui oggi ci troviamo fa impallidire quello mitico di Cnosso: tutto il sistema educativo, dal vertice alla base, si è trovato a dover fronteggiare una situazione emergenziale di lunga durata, in cui gli attori coinvolti (dirigenti, docenti, studenti e genitori per citarne solo alcuni) si sono dovuti misurare con problematiche estremamente complicate, completamente nuove, e spesso senza strumenti e risorse adeguati (si veda il paragrafo seguente per una breve rassegna).

Che fare, dunque? Se già la scuola nel pre-COVID-19 non navigava in buone acque, il “carico da 90” della pandemia non può certo aver migliorato la situazione. Già allora ci eravamo interrogati sul da farsi e avevamo avanzato la nostra proposta:

[…] dobbiamo abbandonare l’idea di una scuola che controlla e costringe per trasformarla in una scuola che libera e incoraggia il bambino [il ragazzo, il giovane] ad andare oltre ciò che è. Dobbiamo impegnarci per una scuola dove il livello di benessere percepito da studenti, insegnanti e genitori (per citare solo alcuni dei protagonisti della vita scolastica) diventi la cartina di tornasole per valutare se stiamo sfruttando al massimo le risorse di cui naturalmente disponiamo. (p. 45)

Detto in altre parole, il nostro suggerimento, concentrandoci su uno degli aspetti cardine del funzionamento del sistema scolastico, è stato, e lo sottoscriviamo tutt’ora, di includere tra i fattori che orientano le decisioni (le valutazioni di sistema), sia a livello locale (PTOF) sia a livello globale (INVALSI), anche una qualche misura del benessere. Un contesto che promuove il benessere è di fatto un contesto che favorisce uno sviluppo equilibrato, apprendimenti efficaci ed espressioni creative, tutti pilastri per una cittadinanza attiva, produttiva e, aggiungiamo, orientata all’innovazione. Quest’ultimo aspetto è particolarmente importante, in quanto evidenzia la spinta verso la costruzione di un atteggiamento proattivo e non riproduttivo (o peggio passivo) nei confronti della realtà in cui siamo chiamati a vivere.

A questo scopo abbiamo presentato una misura del benessere che mette al centro la teoria dell’autodeterminazione8 e la collega ad altre dimensioni fondamentali per l’uomo e proprie anche dei sistemi scolastici9. Molto in sintesi, l’ipotesi alla base del nostro modello prevede che la misura del benessere percepito venga stimata combinando, opportunamente, le misure puntuali delle singole teorie che lo compongono. In altre parole, se valutiamo il livello di benessere percepito soggettivamente, allora saremo in grado di stimare il benessere percepito anche dal gruppo sociale che si intenda valutare. Ogni componente teorica del modello è associata, infatti, a specifiche variabili che concorrono a definire la misura del benessere percepito.

Per la teoria dell’autodeterminazione al benessere, contribuiscono positivamente la soddisfazione del bisogno di sentirsi competente (“lo so fare!”), in relazione (“guarda cosa ho fatto!”) e autonomo (“ho scelto io di farlo!”), così come la promozione dell’autonomia (“puoi scegliere come fare!”) da parte di genitori e insegnanti, e negativamente la promozione del controllo (“fai quello che ti dico!”).

Per la teoria delle concezioni implicite dell’intelligenza/competenza, contribuisce positivamente la concezione malleabile (“posso migliorare!”) e negativamente la concezione rigida (“non posso fare più di così!”).

Passando alla teoria degli obiettivi di riuscita, il perseguire obiettivi di approccio (“voglio provare a farlo!”) contribuisce positivamente alla condizione di benessere, mentre il perseguire obiettivi di elusione (“voglio evitare di farlo!”) contribuisce negativamente.

Infine, circa la teoria dei valori, l’adesione a valori caratterizzati da finalità collettive (“collaborare è meglio!”) influisce positivamente sul benessere, mentre l’adesione a valori caratterizzati da finalità individuali (“competere è meglio!”), influisce negativamente.

Gli effetti del COVID-19 sul benessere a scuola

Un dettaglio degli spazi interni del Kaleidoscope Kindergarten a Tianshui, in Cina (foto vanceva.com).

Partendo dal citato modello proviamo a leggere alcune criticità collegate al benessere che, in via teorica, potrebbero essere imputate alla situazione pandemica.

Per identificare l’impatto della pandemia sul benessere possiamo combinare, da un punto di vista teorico, l’azione degli eventi e degli stressors maggiori, propri della pandemia, sulla componente più profonda del modello, la teoria dell’autodeterminazione.

Tra gli eventi che hanno caratterizzato la lotta al COVID-1910 rinveniamo i seguenti:

  • Controllo obbligatorio della temperatura corporea
  • Isolamento dei malati
  • Rintraccio e quarantena dei contatti stretti
  • Sorveglianza attiva con permanenza domiciliare fiduciaria
  • Lockdown
  • Chiuse le scuole
  • Didattica a distanza e mista
  • Impediti gli spostamenti
  • Chiusura degli esercizi pubblici
  • Annullata ogni manifestazione
  • Istituzione delle zone colorate
  • Vietato l’accesso ai luoghi pubblici
  • Divieto di svolgere attività ludica o ricreativa all’aperto
  • Utilizzo obbligatorio della mascherina e del gel disinfettante
  • Obbligo di distanziamento fisico
  • Obbligo di areazione dei locali
  • Informazione martellante e dall’elevato carico emotivo (bollettini giornalieri ecc.)
  • Istituzione rapida e mutevole di regole sempre più complesse
  • Avvio della campagna vaccinale
  • Obbligo vaccinale
  • Introduzione del green pass
  • Obbligo del green pass a scuola e sul lavoro

Tra i fattori di stress legati alla situazione pandemica, Antonicelli et al. (2020) evidenziano i seguenti:

  • Rischio di essere contagiato o contagiare (tendenza all’isolamento, paura, responsabilità eccessiva, ansia)
  • Preoccupazione intensa circa la propria salute
  • Presenza di sintomi comuni ad altre patologie (incertezza, preoccupazione, ansia)
  • Attenzione particolare rivolta ai sintomi fisici
  • Preoccupazione dei genitori (percepita dai figli come segnale di pericolo, percezione di insicurezza/ minore protezione)
  • Deterioramento fisico e mentale di individui vulnerabili (regressione, dipendenza)
  • Rischio di essere esposti a lutti traumatici (disperazione, depressione, paura)
  • Frustrazione e noia legate all’isolamento
  • Perdita delle routine (destrutturazione del tempo, fatica, senso di inadeguatezza)
  • Limitato contatto sociale e fisico (solitudine, noia, abbandono)
  • Informazioni non sempre chiare e in continua evoluzione (incertezza)
  • Problemi economici (assenza dal lavoro, costi sanitari e altri oneri finanziari imprevisti)
  • Stigmatizzazione e rifiuto da parte di vicini, colleghi di lavoro, amici e persino familiari (assenza di supporto sociale, solitudine)
  • Fatica del tornare alla propria routine (amotivazione, demotivazione, alienazione)

Ricordiamo che la teoria dell’autodeterminazione attribuisce la condizione di benessere psicofisico e lo sviluppo del massimo potenziale personale alla soddisfazione di tre bisogni di base.

Il primo dei tre bisogni di base è il sentirsi competenti. La percezione di competenza è strettamente legata alla possibilità di perseguire obiettivi. Se questi obiettivi vengono sottratti alle persone, come è accaduto con la chiusura delle scuole (compiti, apprendimenti, progetti, valutazioni…), con la limitazione delle possibilità di incontrare e interagire con i coetanei (gioco, sfide, confronto…), il nostro sentirci competenti, non ricevendo più conferme (o smentite), poco alla volta tenderà a indebolirsi. Lo stesso può accadere anche quando questi obiettivi vengono resi difficili da comprendere, com’è accaduto con la rapida e mutevole proliferazione di regole, via via sempre più complesse, anche e non solo nei contesti scolastici. Oppure com’è accaduto con l’introduzione dell’uso di strumenti di comunicazione nuovi (audio/video), informativamente meno ricchi e soggetti ad un controllo più difficoltoso, com’è si è visto durante la didattica a distanza e mista. Il nostro senso di competenza è sotto attacco anche quando le strategie automatiche che siamo soliti applicare nel quotidiano vengono rese inefficaci. Durante la pandemia molti automatismi legati all’interazione sociale a causa, ad esempio, del distanziamento, sono stati messi a dura prova, se non invalidati (la stretta di mano, l’abbraccio, il bacio sulla guancia). Ancora, il nostro senso di competenza viene messo in crisi quando ci troviamo di fronte a compiti che percepiamo come troppo difficili o contraddittori. Si pensi a chi non possedeva nemmeno gli strumenti tecnologici per connettersi alla rete o a chi non aveva mai fatto un uso così intensivo del computer.

La percezione di autonomia è il secondo bisogno di base che prendiamo in considerazione. Dei tre è quello che, in modo più evidente e profondo, ha subito l’attacco del COVID-19. Anche solo leggendo l’elenco degli eventi innescati dalla pandemia appare chiaro che le parole divieto e obbligo sono state e ancora sono predominanti. Certo non sempre l’obbligo e il divieto sono un attacco all’autonomia; ciò accade quando la norma viene da noi interiorizzata, diventando compatibile con la nostra identità e condotta. Questo è processo richiede tempo, e il tempo è un lusso che la pandemia non ci ha concesso. Qualche studente potrà inizialmente aver esultato quando sono state chiuse le scuole, ma sono convinto che, col passare dei giorni, la mancanza dei compagni e, perché no, dei professori si è fatta sentire. Quindi il divieto di andare a scuola, il divieto di giocare all’aperto, il divieto di azzuffarsi con amici e amiche, il divieto di abbracciare i nonni e nonne, l’obbligo di mascherina, l’obbligo della sanificazione e tutti gli altri obblighi e divieti, hanno fatto la loro parte nel prosciugare la percezione di autonomia.

Anche il terzo e ultimo bisogno, il bisogno di sentirsi in relazione, è stato colpito duramente. Il lockdown è probabilmente il momento in cui abbiamo toccato il livello più basso in assoluto in termini di negazione della relazione. Si potrebbe obiettare che lo stare insieme in casa per più tempo possa aver contribuito a rinsaldare i legami famigliari. Certamente questo non è da escludere, come non possiamo nemmeno escludere che la convivenza forzata, soprattutto in spazi ristretti o in situazioni in cui le relazioni erano già tese o incrinate, non possa aver comunque provocato danni aggiuntivi o recato il colpo di grazia.

Premettendo che ognuno è portato a reagire in modo differente agli eventi stressanti e avendo chiaro che queste reazioni possono essere influenzate da esperienze, da caratteristiche individuali e dal contesto sociale di appartenenza, dobbiamo comunque prendere atto che, assumendo come valido il modello proposto, il livello di benessere percepito, in particolare dagli studenti, abbia subito un calo significativo.

Fin qui la nostra analisi non ha fatto altro che confermare quanto sappiamo. Nel prossimo paragrafo proviamo a vedere quali suggerimenti possiamo ricavare dal modello, per ricostruire contesti e situazioni in grado di promuovere benessere. Focalizziamo la nostra attenzione sulla scuola e sugli studenti e studentesse, poiché in termini di priorità sono al primo posto.

Promozione del benessere
nella scuola cross-COVID

La situazione pandemica non sembra ancora risolta, ma è in evoluzione. Le scuole dovranno verosimilmente, almeno ancora per un po’, essere pronte ad attivare tutte quelle procedure e tutti quei dispositivi che hanno permesso di arginare la diffusione del virus.

Ciò significa che studenti, docenti e personale scolastico devono essere pronti a conformarsi alle richieste del sistema. Abbiamo visto come le azioni di contrasto alla pandemia hanno provocato un deterioramento del benessere percepito. Proviamo a usare il modello come bussola per orientare i necessari interventi in una direzione che, per quanto possibile, promuova benessere.

In generale, per favorire il sentimento di competenza può essere d’aiuto definire e condividere procedure semplici e chiare. Può aiutare il dare accesso a tutorial che accompagnino passo passo al raggiungimento dell’obiettivo. Accanto ai materiali, è fondamentale sincerarsi che chi ne deve usufruire sia a conoscenza della loro esistenza e possa facilmente accedervi.

Tale suggerimento si può applicare a livello organizzativo, ad esempio, per regolare l’accesso degli studenti alla didattica a distanza, alla comunicazione della positività al COVID-19 e alla comunicazione di inizio e fine quarantena.

Dal punto di vista della didattica può essere utile, ad esempio, regolare le modalità di utilizzo degli strumenti e di interazione attraverso gli strumenti di comunicazione sincrona (ad esempio Google meet) e asincrona (ad esempio Google classroom).

Per favorire lo sviluppo di un sentimento di competenza, sempre in ambito didattico, può essere d’aiuto anche creare situazioni di valutazione formativa che permettano allo studente di mostrare ciò di cui è capace. Per far ciò le prove dovranno essere calibrate all’interno della zona di sviluppo prossimale dello studente, in modo che l’esito finale sia sempre positivo (“ce l’ho fatta!”). L’esperienza del successo, infatti, è una delle chiavi per promuovere il percepirsi competenti quando la prova non viene considerata né come troppo facile, né tanto difficile da dover attribuire il successo agli interventi di supporto dell’insegnante (scaffolding), che pure non devono mancare.

Un’ultima strategia che può contribuire alla costruzione di un contesto che nutra il bisogno di competenza dello studente è quella che prevede che l’insegnante faccia percepire allo studente di stare acquisendo nuove e interessanti capacità. Per far ciò è importante aver chiaro cosa lo studente sa e cosa sa già fare. Sarà più difficile così proporre apprendimenti già noti e più facile dare senso a quello che si sta imparando, in un’ottica di life skills11. Se lo studente si rende conto che ciò che sta imparando potrà essergli utile nella vita (anche e soprattutto quotidiana!) per raggiungere i propri obiettivi personali già nel presente e poi nel futuro, allora la motivazione ad apprendere potrebbe riceverne una spinta.

Per soddisfare il bisogno di autonomia può essere utile dare spazio a momenti di negoziazione in cui lo studente può dire la sua in merito al come portare a termine le attività che gli vengono assegnante. Ad esempio possono essere discussi i tempi e i modi della consegna, può essere lasciato anche un margine nella scelta di quali obiettivi perseguire e raggiungere (come la lettura di un libro a scelta in un elenco di 3/5 titoli).

Altro aspetto su cui si può agire per irrobustire il sentimento di autonomia è la gestione del livello di pressione cui è sottoposto lo studente. In concreto può essere d’aiuto evitare l’accumulo di verifiche e consegne in tempi ristretti, calcare troppo la mano sulle aspettative da parte degli insegnanti o sul senso del dovere.

Un ultimo strumento importante che permette di aiutare lo studente nel suo percorso verso l’autonomia percepita e reale è il predisporre occasioni e tempi durante i quali sia libero di esprimere le proprie idee ed opinioni. Si può certamente partire dalla valorizzazione del ruolo del rappresentante di classe che, in qualità di portavoce, deve essere aiutato a creare momenti in cui ascolta i compagni (assemblee di classe) e a farsi latore delle istanze nel consiglio di classe, in cui può esprimersi a pieno titolo. Lo stesso docente può creare momenti di ascolto in cui, favorendo un clima di ascolto attivo, ognuno possa esprimersi e sentirsi ascoltato. Questo scambio comunicativo è tanto più necessario quanto più ci si trova in situazione di assenza di indizi che ci mettano in grado di leggere lo stato di benessere delle persone (ad esempio a distanza). Una attività pratica che può essere proposta è la risposta anonima a domande che riguardano la vita in classe (criticità, punti di forza, suggerimenti). Se il clima di classe lo consente, durante questi momenti di ascolto reciproco è possibile far emergere i vissuti personali dei ragazzi e i sentimenti che questi elicitano (la raccolta delle risposte può essere fatta anche via cellulare usando un semplice modulo Google configurato per non memorizzare dati personali).

La costruzione di contesti che soddisfino il bisogno di relazione è forse la più difficile da realizzare quando ci si trova in situazioni di emergenza come l’epidemia di COVID-19. La mascherina, la distanza fisica, gli strumenti digitali che mediano le interazioni sociali sono tutti ostacoli al naturale modo che abbiamo di stare insieme. Ciò detto non bisogna scoraggiarsi, perché le tecnologie digitali comunque permettono di mantenere aperti come minimo i canali visivo e uditivo, e questo garantisce comunque un ottimo livello di trasferimento di informazioni.

Un aspetto che si può curare è il far sentire che l’altro ci interessa, che quel che fa ci interessa. Durante il momento dell’appello si può spendere qualche secondo per cogliere come sta ciascuno, se ha qualche bisogno, per sapere se è accaduto qualcosa di positivo che merita di essere condiviso. Quando si assegnano compiti o attività prevedere un momento in cui chi lo desidera (anche tutti se i tempi lo consentono) possa mostrare alla classe quanto ha fatto (questo è particolarmente utile in caso di attività in cui è presente una componente creativa).

Affinché le relazioni siano positive, è importante lavorare per costruire contesti amichevoli e accoglienti, dove non c’è spazio per il giudizio sulla persona, dove non c’è spazio per l’aggressione verbale o la presa in giro, dove la possibilità di esprimersi è garantita a tutti. Creare un clima di classe rispettoso, accogliente e inclusivo è la sfida più difficile cui la classe si trova di fronte quando vive in presenza. Quando si attivano modalità miste o a distanza le difficoltà crescono molto. La presenza dello schermo che viene percepito come uno scudo protettivo, la limitata visibilità indotta dalla telecamera, il controllo sul microfono e sulla telecamera che permettono di nascondere ciò che si sta facendo, la possibilità di attivare e usare altre applicazioni all’insaputa dei compagni e dell’insegnante, così come la possibilità di celare il contesto fisico in cui ci si trova impiegando sfondi sovrapposti, rendono la gestione delle dinamiche relazionali della classe estremamente difficile.

Le azioni coercitive sono in questi casi inefficaci in quanto non avremo mai come insegnanti la certezza della colpa e sarà quindi sempre sostenibile, da parte dello studente, una posizione di torto subito in seguito alla comminazione di una sanzione.

La leva su cui siamo chiamati a lavorare non può perciò che poggiare sulla motivazione intrinseca. Dobbiamo fare in modo che lo studente desideri di partecipare all’attività a distanza proposta, che senta di perdere un’occasione se non partecipa. Facile a dirsi difficile a farsi! L’ostacolo più grande è dato dalla diversità che caratterizza gli studenti e con essa le chiavi per stimolare questa motivazione.

Studi sui gruppi sociali12 suggeriscono che, per poter motivare i gruppi, si possono definire obiettivi sovraordinati a cui tutti sentono di voler contribuire. Perché allora non provare a far leva sulla situazione che tutti stiamo vivendo per trasformarla in un elemento unificante e motivante?

Conclusioni

In questo breve articolo, dopo aver messo a confronto il benessere dei contesti pre-COVID-19 e cross-COVID-19 e aver ricordato che, a conti fatti, la scuola non ha mai navigato in acque del tutto tranquille, ci siamo interrogati su come costruire contesti che promuovano benessere nel cross-COVID-19, periodo di transizione che speriamo ci conduca presto alla agognata fase di post-COVID-19.

L’analisi che abbiamo proposto ha preso le mosse dal modello per la valutazione del benessere centrato sulla teoria dell’autodeterminazione13, così come su esso sono state imperniate le strategie che abbiamo suggerito.

Concludiamo sottolineando quanto sia necessario assumere, oggi più che mai, come docenti, ma anche come studenti, la postura del ricercatore sperimentale: definire ipotesi, costruire situazioni in cui si testano queste ipotesi, prendersi il tempo per riflettere sui risultati ottenuti e fare tesoro dell’esperienza realizzata al fine di costruire una nuova ipotesi e continuare il ciclo di miglioramento.

Questo approccio permette due esiti interessanti: il primo, che porta ad arricchire la propria cassetta degli attrezzi professionale e personale di soluzioni e strumenti che, quando rivelatisi efficaci, potranno essere riutilizzati; la seconda che, in modo trasversale, promuove il benessere di chi è impegnato in questo processo di ricerca-azione, rendendolo protagonista attivo dell’adattamento che si persegue.


NOTE

  1. Ultimi dati OMS, da Health Emergency Dashboard (consultazione luglio 2022), reperibili qui.
  2. L. Ribolzi, Società, persona e processi formativi: manuale di sociologia dell’educazione, Mondadori Università, Milano 2012.
  3. J. Anyon, Social class and the hidden curriculum of work, in «Journal of Education», 1980, pp. 67-92.
  4. S. Minozzi, R. Saulle, L. Amato, M. Davoli, Impatto del distanziamento sociale per covid-19 sul benessere psicologico dei giovani: una revisione sistematica della letteratura, in «Recenti Progressi in Medicina», n. 112, 2021, pp. 360-370.
  5. Per una rassegna si veda R. Viner, S. Russell, R. Saulle, H. Croker, C. Stansfeld, J. Packer, S. Minozzi, Impacts of school closures on physical and mental health of children and young people: a systematic review, MedRxiv, 2021.
  6. S. Bacchi, S. Romagnoli, La classe senza voto, I Quaderni della Ricerca 48, Loescher, Torino 2019.
  7. Si veda Bacchi, Romagnoli, La classe senza voto cit., cap. 1.1.
  8. E. l. Deci, R. M. Ryan, Self-determination theory, in P. A. M. Van Lange, A. W. Kruglanski, E. T. Higgins (a cura di), Handbook of theories of social psychology, Sage Publications Ltd., 2012, pp. 416-436.
  9. Per una trattazione dettagliata si veda Bacchi, Romagnoli, La classe senza voto cit., cap. 3.1.
  10. Per farsi un’idea si possono consultare le pagine istituzionali: quella di Palazzo Chigi, e queste due su Governo.it: qui, e qui.
  11. A. Nasheeda, H. B. Abdullah, S. E. Krauss, N. B. Ahmed, A narrative systematic review of life skills education: effectiveness, research gaps and priorities, in «International Journal of Adolescence and Youth», 24(3), 2019, pp. 362-379.
  12. M. Sherif, O. J. Harvey, B. J. White, W. R. Hood, C. W. Sherif, Intergroup conflict and cooperation: the Robbers’ Cave experiment. Norman Institute of Group Relations, University of Oklahoma, 1961.
  13. Cfr. Deci, Ryan, Self-determination theory cit.; Bacchi, Romagnoli, La classe senza voto cit.
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Simone Romagnoli

è dottore di ricerca in Psicologia Sociale dello Sviluppo e delle Organizzazioni, dottore in Scienze dell’Informazione e professore a contratto presso l’Università di Bologna (Dipartimento di Psicologia). Ha al suo attivo pubblicazioni e collaborazioni in ambito sia informatico sia psicologico.

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