Sergio Solmi, Carlo Fruttero e Franco Lucentini, se oggi venissero sollecitati a pubblicare un ipotetico Quinto libro della fantascienza, per continuare la loro celebre serie antologica edita da Einaudi e iniziata con Le meraviglie del possibile (1959), proseguita con Il secondo libro della fantascienza (1961), Il terzo libro della fantascienza (1983), Il quarto libro della fantascienza (1991), non mancherebbero di inserirvi almeno un autore asiatico e soprattutto cinese, certamente tra i più prolifici e interessanti nel panorama odierno. La domanda, piuttosto, è perché non lo fecero allora, quando realmente curavano queste loro antologie.
Eppure, un film di Marco Bellocchio del 1967 proclamava “ la Cina è vicina”, il libretto rosso di Mao era il libro più stampato e discusso al mondo, i reportage di intellettuali come Carlo Levi (Buongiorno, Oriente, 1957-1960), Alberto Moravia (La Rivoluzione culturale in Cina, 1967), Goffredo Parise (Cara Cina, 1968), fin dal titolo esprimevano ammirazione per quel popolo e quella civiltà, mentre Michelangelo Antonioni, accolto con deferenza e attenzione, vi aveva girato un docufilm senza precedenti: Cina Chung Kuo (1972). Forse perché la produzione letteraria cinese mancava di opere di questo genere?
Niente affatto: il filone della letteratura fantastica e fantascientifica è ben presente nella secolare storia letteraria cinese e, se ci limitiamo al solo periodo dal 1949 (anno di fondazione della Repubblica Popolare Cinese) in poi, troviamo autori di SF (si legga science fiction) di un certo spessore, come Zheng Wenguang, attivo dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta, oppure come Ye Yonglie, in auge negli anni Settanta e Ottanta, entrambi inseriti nella prima antologia di fantascienza cinese pubblicata in italiano dalla rivista «Urania» nel 2006, traduzione dall’inglese del libro Science fiction from China di Dingbo Wu e Patrick D. Murphy, risalente nientemeno che al 1988, e ufficialmente il primo assaggio di fantascienza cinese al pubblico americano.
Il motivo va piuttosto ricercato nei dettami di Mao Zedong, che avevano relegato la fantascienza alla letteratura per ragazzi e ne avevano spento ogni tensione e curiosità verso l’innovazione tecnologica e i problemi della scienza contemporanea, in quanto frutto della cultura capitalistica occidentale.
Quando nel 1978 Deng Xiaoping salì al potere, dopo la morte di Mao, ebbe inizio un’era nuova e più aperta. Da parte degli organi di governo ci fu un rinnovato interesse per la scienza e la tecnologia. Così anche la fantascienza visse una sorta di risveglio, dopo l’ostracismo della Rivoluzione culturale.
La cosiddetta “Campagna contro l’inquinamento spirituale” (1983), però, rappresentò una brusca frenata nel processo di liberalizzazione delle idee e dei costumi. Anche la produzione di SF cominciò a essere criticata come pseudoscientifica e anticomunista, e ci fu un forte calo delle tirature. Wu Yan, attualmente professore dell’Università Normale di Pechino, nel suo Teoria di letteratura di fantascienza (Outline of Science Fiction Studies – Kehuan wenxue lungang, Beijing 2011) riporta il caso emblematico del libro illustrato Qiyi de huashi dan (Uno strano uovo fossile), basato proprio sul racconto del 1978 di Ye Yonglie sui dinosauri che tornano alla vita, e aspramente criticato da un paleontologo dell’epoca di contenere una storia pseudoscientifica. Poiché in Cina si riteneva che il marxismo fosse l’unica scienza corretta, ciò che era bollato come pseudoscienza era considerato anche sia anti-marxista sia anti-comunista, e ufficialmente andava messo al bando.
Tuttavia riviste specializzate e pubblicazioni spesso clandestine contribuirono a mantenere viva la passione per la fantascienza. Ad esempio, nella provincia del Sichuan, e più precisamente a Chengdun, fin dagli anni Ottanta si pubblicava la rivista «Kehuan Shijie», «Mondo fantascientifico», che ha resistito ai tanti e diversi mutamenti politici degli ultimi decenni con tirature che hanno poi raggiunto anche le 500.000 copie.
Ancor oggi a Chengdun si assegna l’ambito premio Yinhe (Galaxy), che nel 2010 è stato affiancato dal premio Xingyun (Nebula), promosso dalla World Chinese Science Fiction Writers’ Association. Mentre la rivista fantasy «Novoland», attualmente la più letta di questo settore, si pubblica a Shanghai, città icona della Cina proiettata nel futuro.
Negli ultimi tre decenni, comunque, questo genere ha ripreso popolarità in patria. A partire dagli anni Novanta ha iniziato a farsi strada una “nuova generazione” (xin vhengdai 新⽣代) di autori, citati anche come la new wave della Science Fiction, che ha gradualmente ridefinito convenzioni, stili e standard. E nell’ultimo decennio la letteratura fantascientifica cinese ha raggiunto anche una apprezzata fama internazionale: Il problema dei Tre Corpi (San Ti 三体) di Liu Cixin, ha venduto più di un milione di copie in Cina e più di centomila nella versione in lingua inglese, e ha vinto nel 2015 l’Hugo, prestigioso premio statunitense per la narrativa fantastica e fantascientifica, contribuendo a «elevare la fantascienza cinese a uno status globale1».
La SF cinese è dunque diventata nel breve volgere di un decennio un caso letterario planetario, e a confermarlo ci sono almeno una decina di buoni articoli sul tema rintracciabili sul web e scritti in italiano fra il 2018 e l’inizio del 2019. Faccio necessariamente qualche nome, per cercare di orientare e sollecitare la curiosità dei colleghi che volessero rivolgere lo sguardo a questo orizzonte letterario che da poco si sta disvelando al grande pubblico.
Parliamo di tre autori nati in epoca maoista e definiti dalla critica letteraria cinese con il titolo altisonante de “i tre generali”.
Liu Cixin, che ho citato in precedenza, ha scritto il bestseller San Ti nel 2006: è il primo libro di una trilogia, Il passato della terra, che si può leggere con questo titolo finalmente anche in italiano nella traduzione di Benedetta Tavani. L’ha edita Mondadori fra il 2017 e il 2018.
Han Song, invece, autore di romanzi di successo come Hongse haiyang (Oceano rosso, 2004) e Huoxing zhaoyao Meiguo (Una stella rossa sopra l’America, 2012), non ha ancora avuto una traduzione italiana dei suoi romanzi, così come Wang Jiankang
È di nuovo grazie alla rivista «Urania» se i loro nomi sono noti in Italia, grazie a una selezionata antologia, pubblicata nel 2010, di racconti tratti dai numeri della rivista cinese «Mondo fantascientifico», a cura di Lorenzo Andolfatto.
Ai tre autori citati si affianca un gruppo di scrittori molto più giovani, tutti nati negli anni ottanta, fra i quali i più significativi sono Chen Qiufan, Xia Jia, Hao Jinfang e Fei Dao. Anche di questi autori in italiano si possono trovare tradotti solamente alcuni racconti, che in parte citerò più avanti. Ciò che li accomuna con i precedenti, al di là delle differenze generazionali, è l’immaginazione tecnologica proiettata nel futuro, con la quale essi tentano di riflettere, di volta in volta in modo pessimista o ottimista, realistico o fantastico, la realtà tanto della Cina del futuro, quanto di quella presente e del passato.
Negli autori nati a partire dagli anni Novanta, è venuto meno l’impegno di proporre la fantascienza in chiave pedagogica, come ancella della scienza e propugnatrice innanzitutto della ricerca della verità. Sono sostenitori di una SF più distaccata dall’impegno politico militante, concentrata piuttosto sull’intrattenimento e l’auto espressione individuale.
Due racconti di giovanissime autrici, Amore che non può parlare (2014) di Fan Yilun e Colui che ha visto Cetus (2015) di Tang Fei, inserite in una recente antologia di fantascienza contemporanea cinese che citerò più avanti, Sinosfera, ci offrono un interessante esempio di questo versante minimalista. Entrambi i testi sono intrisi di nostalgie esistenziali e di ricordi personali legati ad un mondo irrimediabilmente perso e ricco di illusioni, quello della infanzia delle protagoniste, rispetto ad un grigio e monotono presente, pur tecnologicamente avanzato. Nel primo racconto i sapori che tutti potevano ancora gustare prima della “migrazione ad alta quota” avvenuta due secoli prima dell’anno 2279 (ad esempio, quello del congee, la pappa di riso immancabile nella prima colazione tradizionale cinese) diventano, come una proustiana madeleine, l’ancoraggio a un passato da cui non ci si vuole separare nonostante si viva su una “navicella fluttuante” nella troposfera. Nella seconda novella, il rapporto protettivo che l’astronauta Lilian ricorda di aver avuto da bambina con il proprio padre, diventa un timido appiglio su cui tentare di ricomporre una più autentica identità personale e collettiva.
Stiamo dunque esaminando un genere su cui l’industria culturale sta puntando molto, perché grande è la richiesta da parte del pubblico. E, come accennavo prima, l’editoria italiana, non sempre capace di stare al passo di quella anglosassone, americana o francese nell’attenzione e quindi nel proporre traduzioni di opere e autori contemporanei cinesi, si è mossa tuttavia in questi ultimi tempi con qualche titolo allettante per gli appassionati o i curiosi del genere letterario. Essi possono contare non più soltanto su qualche racconto proposto dalla meritoria rivista «Urania» della Mondadori (cfr. i già citati numeri 1511 e 1564), ma su due nuove antologie di qualità, anche tipografica: Nebula – Fantascienza contemporanea cinese, che l’editore romano Mincione ha pubblicato nel 2017 con 4 testi originali seguiti dalla traduzione dell’esperta sinologa Chiara Cigarini e un apparato iconografico e bibliografico di prim’ordine; e Sinosfera – Fantascienza contemporanea cinese (2018), proposta in self-publishing dall’associazione culturale Future&Fiction, in doppia lingua e cinque illustrazioni ispirate ad altrettanti racconti scelti da Francesco Verso e tradotti da Silvia Palumbo, Giuseppina Nardi, Davide Ghirelli, Chiara Cigarini.
Per il lettore occidentale questa produzione rappresenta un’importante lente per osservare le trasformazioni della Cina odierna: gli autori descrivono spesso una politica che fa coincidere disegni sociali utopici (il cosiddetto “sogno cinese”) con scenari distopici, e una società che, per la forte presenza di tecnologie multimediali, applicazioni innovative, avveniristici servizi online e strumentazioni futuristiche, tecnologicamente è già collocata nel futuro; come sostiene lo scrittore Han Song2, «a differenza di buona parte della letteratura mainstream, oggi generalmente rivolta al passato, la fantascienza guarda al futuro. E in Cina il futuro è già presente». Si è perfino coniato, accanto ai termini tradizionali di “utopia” e “distopia”, quello di “sino-topia”. La Cina va considerata come il più sorprendente laboratorio futuribile.
(continua)
Note
1. Cfr. Song Mingwei in Chiara Cigarini, Sogno nel “sogno cinese”: Nebula e la fantascienza cinese contemporanea, Sinosfere, febbraio 2018.
2. Han Song,“Chinese Science Fiction: A Response to Modernization”, in Wu Yan e Veronica Hollinger (a cura di), «Science Fiction Studies» 40, numero monografico del febbraio 2013 sulla SF cinese.
Il futuro arriva da oriente: fantascienza cinese e dove trovarla – nel contesto di Bookpride. Francesco Verso, esperto di fantascienza, e Alessandra Lavagnino, direttore dell’Istituto Confucio, parleranno del fenomeno mondiale della fantascienza cinese, dello sviluppo del genere, e delle due antologie di racconti di fantascienza cinese in doppia lingua, «Nebula! e «Sinosfera», pubblicate da Future Fiction.
Il 17 marzo presso la Fabbrica del Vapore (via Procaccini 4, Milano), alle ore 16.00. Ingresso libero.