Una questione di metodo

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“Immagini/immaginario” è un percorso di ricerca e di didattica che sto portando avanti da qualche anno con i miei studenti della Sapienza. Attraverso una serie di interventi su La ricerca online intendo aprire un dialogo con gli insegnanti e le insegnanti che si interrogano sul modo di usare gli audiovisivi nella didattica della storia. Perché la storia? E’ il tema del primo di questi articoli.

La fantasia è un posto dove ci piove dentro
Italo Calvino, Visualità, in Lezioni americane

Le fonti audiovisive rivestono un ruolo crescente nella ricerca storiografica, sia per quanto riguarda il loro impiego come fonti di tipo classico, sia per quanto riguarda la loro diffusione come strumento nella didattica. Eppure le difficoltà nell’uso degli audiovisivi sono ancora moltissime e di natura diversa.
Da un punto di vista metodologico, quello che manca generalmente è la volontà di ragionare sui mutamenti che gli audiovisivi hanno determinato, negli ultimi 100 anni, sulle strutture mentali di chi la storia la fruisce: gli studenti, i lettori di storia, ma anche gli storici stessi. Le fonti audiovisive a contenuto storico stanno alla ricerca in modo completamente diverso rispetto a tutte le altre fonti. Se infatti una narrazione, orale o scritta, una volta riportata nel dibattito pubblico, può generare memoria, un’immagine, una fotografia, ma più facilmente un filmato, generano testimonianza.
Chiunque può ritenere di aver assistito ad alcuni degli eventi clou del XX secolo, proprio in virtù delle immagini che glielo hanno raccontato: l’uomo sulla luna, l’assassinio di Kennedy, il crollo delle torri gemelle, il pestaggio di Rodney King o la morte di Carlo Giuliani a Genova nel 2001.

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La sindrome del testimone è in un certo senso, e per quanto ci riguarda, la rivoluzione copernicana dei nostri tempi e pone a chi insegna il problema di come continuare a raccontare e a insegnare la propria disciplina facendo a meno delle immagini.

È ancora possibile, infatti, pensare di poterlo fare? Tutti gli studenti di storia, dalle scuole primarie all’università, sono stati formati visivamente alla comprensione della materia, e nessuno storico può più permettersi di eludere la questione, facendo finta di avere davanti delle tabulae rasae su cui andare a iscrivere il proprio sapere.

Dobbiamo necessariamente lavorare su queste immagini, già presenti nella mente di ognuno di noi, se vogliamo che la “nostra versione” della Storia sia una versione autorevole, in grado di generare riflessione, giudizio, e critica. E non venga invece percepita come un «atto di fede».
Come scrivevano nelle Cronache di Bustos Domecq gli scrittori argentini Borges e Bioy Casares:

Più di uno storico ha stabilito per sempre che le scienze esatte non si basano sull’accumulazione statistica; per insegnare alla gioventù che tre più quattro fanno sette non si sommano quattro meringhe con tre meringhe, quattro vescovi con tre vescovi, quattro cooperative con tre cooperative, e neppure quattro stivaletti di vernice con tre calze di lana; intuita finalmente la legge, il giovane matematico afferma che, invariabilmente, tre più quattro danno sette e non ha bisogno di ripetere la prova con caramelle, tigri avvezze alla carne umana, ostriche e telescopi. La medesima metodologia esige la storia.

Non è così: ma la vocazione autoritaria, prescrittiva, della storia è sempre dietro l’angolo e le immagini stanno lì a renderla più forte: le immagini, così assertive e perentorie anche quando all’apparenza neutre, in realtà racchiudono nel loro sguardo un immaginario, un’autorità, un discorso la cui grammatica deve essere conosciuta, prima di tutto, e poi insegnata.

Ma allentiamo il legame fra storia e video e cerchiamo di fare un ragionamento generale sul visivo, che potrebbe partire da una delle Lezioni americane di Italo Calvino: quella sulla visibilità.

Calvino scriveva: «il problema della priorità dell’immagine visuale o dell’espressione verbale […] inclina decisamente dalla parte dell’immagine visuale». Ogni racconto, secondo l’autore delle Lezioni, deve fare i conti con la potenza delle immagini.
Calvino si soffermava, allora, sulla possibilità di “pensare per immagini”, valutando positivamente l’apporto che, nella sua infanzia, i fumetti avevano recato alla sua fantasia; nello stesso tempo, però, constatava con preoccupazione come il bombardamento di immagini cui veniamo ininterrottamente sottoposti (attraverso la televisione) ci sovraccarichi, ci ottunda, ci seppellisca sotto “un deposito di immagini spazzatura”. Immagini che occupano la nostra immaginazione e la colonizzano. Questo punto di vista risulta oggi particolarmente fruttuoso se messo al servizio di chi si interroga sull’attualità e sulle modalità più efficaci nella narrazione e nell’insegnamento della storia, nonché nello studio della storia delle mentalità. La storia infatti, più di ogni altra disciplina, ha visto inclinarsi «decisamente dalla parte dell’immagine visuale» l’immaginario ad essa legato: soprattutto la storia contemporanea, ma non soltanto. Il racconto per immagini della storia, d’altro canto, ha prodotto nelle comunità nelle quali è stato diffuso un immaginario, delle memorie, persino delle nuove appartenenze originali, spesso assolutamente inaspettate.

La scelta di occuparmi di questo tema nasce essenzialmente da due ragioni: la prima semplicemente autobiografica. Sono una storica, faccio documentari per RAI Tre e ormai da anni ragiono sul nesso fra narrazione audiovisiva e racconto della storia, e quindi ho un’esperienza da condividere in questo ambito di ricerca. La seconda ragione per la quale ho scelto la storia è invece più oggettiva: gli audiovisivi vengono infatti usati a scuola come parte dei corsi di storia più che di ogni altra materia. Del resto gli audiovisivi, di origine cinematografica o televisiva, prediligono da sempre la storia come tema delle loro narrazioni. Infine: l’immaginario storico dei ragazzi e delle ragazze che frequentano la scuola da 40 anni a questa parte è pressoché interamente fondato su immagini viste in tv o al cinema: l’immaginario di almeno tre generazioni collega spesso inconsapevolmente la storia all’audiovisivo che l’ha raccontata.
Ritorniamo dunque a quell’immaginario, di cui ragionava Calvino, e alla possibilità che abbiamo oggi di coniugare insegnamento e racconto, parola e immagine, memoria e testimonianza, al servizio di un discorso storico generatore di senso, di appartenenza, di comunità, e ovviamente, di conoscenza della storia.

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Vanessa Roghi

Storica del tempo presente, ricercatrice indipendente, autrice di programmi di storia per Rai Tre. Bodini Fellow presso l’Italian Academy della Columbia University dal 2020 al 2021. Ha pubblicato, per Laterza, nel 2017 “La lettera sovversiva. Da don Milani a De Mauro, il potere delle parole“, nel 2018 “Piccola città. Una storia comune di eroina“, nel 2020 “Lezioni di fantastica. Storia di Gianni Rodari“, nel 2022 “Il passero coraggioso. Cipì, Mario Lodi e la scuola democratica“; nel 2021 per Einaudi Ragazzi “Voi siete il fuoco. Storia e storie della scuola”, nel 2022 per Mondadori “Eroina“.

Su twitter è @VaniuskaR

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