Una poesia per insegnare #6

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È un luogo comune diffuso. La canzone è una forma d’arte letteraria che, nata nell’ambito della comunicazione di massa e della cultura popolare, si è gradualmente conquistata una dignità culturale alta e, come ha affermato lo studioso Guido Mazzoni, gode oggi di “mandato sociale plebiscitario”.

 

In un periodo in cui si assiste al declino sociale della scrittura in versi, riservata a un pubblico colto, composto principalmente da scrittori e, forse, dai lettori di questo articolo, la canzone rappresenta uno dei possibili legami tra l’arte della poesia e l’esperienza quotidiana delle persone che frequentano le scuole. Perché le canzoni, per quanto destinate a una fruizione esclusivamente acustica, mediata dalla voce umana e dalla musica, sono scritte in versi, come la grande maggioranza delle poesie della tradizione. Inoltre, mentre la scrittura poetica ha raggiunto, complice la tendenza moderna all’innovazione continua, vertici di complessità e di singolarità stilistica che ne rendono ardua la comprensione, la composizione di canzoni sembra consentire ancora qualche margine alla narratività e, ovviamente, alla cantabilità.
Questo è almeno quanto dichiara Elisa Biagini nella premessa al suo libro Fiato, sottotitolato Parole per musica (Edizioni d’If, 2006):

Quello che hai tra le mani è, a tutti gli effetti, un esperimento.
Un anno fa circa, come sfida con me stessa e date le circostanze speciali, decisi di prendere un paio di mie vecchie poesie, di argomento in qualche modo amoroso, e di costruire intorno ad esse delle storie che potessero, in caso, essere messe in musica. Avevo in testa esempi inarrivabili (e ovvii) come De André o Cohen, giusto per citarne un paio: l’idea era di creare delle ballate su temi tradizionali come l’amore appunto, o la solitudine. Volevo obbligarmi ad essere più narrativa rispetto ai miei testi poetici, volevo scontrarmi con immagini scontate, smontarle e provare a “riscriverle”. Non so se ci sono riuscita. Però la cosa mi ha molto coinvolta e così ho deciso di continuare: alcune volte uso la rima, altre volte evito; alcune volte il “ritornello”, altre volte evito; delle volte sono decisamente sentimentale, altre altrettanto chirurgica. I tentativi di metterne alcune in musica hanno funzionato ed è cominciata un’altra avventura. Chissà che, in futuro, non cominci anche a cantare…

A quest’altezza cronologica, possiamo dire che la canzone sia legittimata a far parte dello spazio letterario, consacrata dagli studi degli storici della lingua e della letteratura, degna ormai di figurare in libri in tutto analoghi a quelli di poesia. È comprensibile, quindi, che una poetessa riconosciuta dal sistema letterario, esordiente nel 1993 con il libro di poesia Questi nodi, che ha pubblicato nel 2004 per Einaudi la summa della sua produzione giovanile, L’ospite, scelga di frequentare la canzone in quanto forma accreditata della poesia per musica contemporanea, che consente allo stesso tempo di rimettere in uso modi e forme tipiche della fase premoderna (il verso regolare, la rima, la narratività) e di ambire a un’apertura verso al pubblico nuovo della musica rock e pop, transitando – nel caso si riesca a completare la metamorfosi grazie alla musica, finora assente per quanto evocata – dall’angusto spazio letterario della poesia moderna verso lo spazio artistico della musica leggera.
Filippo Gatti, che nel 2006 ha già raggiunto il successo come cantautore rock, intraprende il suo lavoro di composizione musicale intorno ai testi di Fiato con uno spirito analogo a quello dell’autrice. Autore di canzoni (testi e musiche) per se stesso e altri, egli mette in gioco le sue competenze per portare a compimento l’esperimento iniziato da Elisa Biagini.
L’operazione è parzialmente assimilabile al fenomeno delle “poesie in musica” già noto agli appassionati della canzone d’autore italiana. Si tratta di poesie composte per essere autosufficienti dalla musica e poi, in un secondo momento, messe in musica e cantate da cantautori che, musicisti e a loro volta scrittori di poesie per musica, possono intervenire sui testi per adattarli, come a suo tempo fecero Fabrizio De André sui testi dell’Antologia di Spoon River da cantare in Non al denaro, non all’amore né al cielo o Luisa Zappa sui testi di W. B. Yeats da inserire in Branduardi canta Yeats, per citare due esempi italiani illustri.
Nel caso dell’audiolibro Intreccio di ciglia, tuttavia, Gatti interviene sui testi di Fiato non per riscriverli o adattarli, bensì per interpretarli, selezionarli e, attraverso la musica, portare a compimento il progetto avviato da Elisa Biagini con la scrittura del suo libro di canzoni concepite in origine come poesie per musica. Ne risulta un vero e proprio concept album che ha per filo conduttore la storia d’amore – una delle forme del dialogo – tra un uomo e una donna, metafora degli altri dialoghi sottesi all’opera, tra poesia e canzone, tra parole e musica, tra voce maschile e voce femminile.

Il quarto pezzo si intitola Nel filo. La voce è di Filippo Gatti, le parole di Elisa Biagini:

Svenire e risvegliarsi in te,
affondare nel corpo e scomparire
abbandonarsi e scoprire che c’è
un mondo intero che devi capire.

Come un’anestesia ogni volta,
incontrarsi è un’implosione di sentire,
il corpo in pezzi, gli occhi nel palmo
con te a luce accesa è il mio dormire.

Inciampata e caduta dentro me
come Alice, nel tunnel di buio
semino sassi per tornare a te,
trovo la strada nel telefono, nel filo.

 

Tre quartine variamente rimate e chiuse da un punto fermo sono un’eccezione di normalità nella poesia informale di Elisa Biagini, caratterizzata da versicoli spezzati e raramente organizzati in strofe. Straordinario è anche il tasso di narratività: due personaggi, l’io femminile e il tu maschile, s’incontrano e si separano, per ritrovarsi infine grazie al telefono, nel filo, appunto.
Ogni strofa mette in scena un incontro che è anche, sempre, uno smarrimento, un abbandono, una perdita di senso e di controllo: svenimento, anestesia, caduta. La prima caduta – la fusione dei corpi – serve a scoprire ciò che non si sa, che l’altro – il sé – è un mondo intero da capire. La seconda caduta dilania il corpo e lo tormenta, condannandolo a essere perennemente esposto alla luce dell’altro. La terza caduta, personale, prelude al ritrovamento del senso, del cammino verso l’altro o, meglio verso sé stessa attraverso l’altro. Caduta dentro sé, nel proprio buio, cerca e trova la strada che porta a lui nel filo del telefono che, come il bastone del cieco, diventa allo strumento e il luogo della relazione col mondo, non più mezzo di comunicazione ma prolungamento dell’io e, addirittura, punto di fusione dei due corpi.

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Simone Giusti

ricercatore, insegna didattica della letteratura italiana all’Università di Siena, è autore di ricerche, studi e saggi sulla letteratura italiana, sulla traduzione, sulla lettura e sulla didattica della letteratura, tra cui Insegnare con la letteratura (Zanichelli, 2011), Per una didattica della letteratura (Pensa, 2014), Tradurre le opere, leggere le traduzioni (Loescher, 2018), Didattica della letteratura 2.0 (Carocci, 2015 e 2020), Didattica della letteratura italiana. La storia, la ricerca, le pratiche (Carocci, 2023). Ha fondato la rivista «Per leggere», semestrale di commenti, letture, edizioni e traduzioni. Con Federico Batini organizza il convegno biennale “Le storie siamo noi”, la prima iniziativa italiana dedicata all’orientamento narrativo. Insieme a Natascia Tonelli condirige la collana scientifica QdR / Didattica e letteratura e ha scritto Comunità di pratiche letterarie. Il valore d’uso della letteratura e il suo insegnamento (Loescher, 2021) e il manuale L’onesta brigata. Per una letteratura delle competenze, per il triennio delle secondarie di secondo grado.

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