Ci sono poeti che si possono portare in classe con più leggerezza di altri. Tiriamo fuori il libro dalla cartella, lo apriamo a caso, leggiamo ad alta voce:
richiamo totale
viaggio su e giù
millenni avanti e indietro
finché un giorno vado troppo lontano
mi trovo in un posto fatto di nulla
e dico a me stesso
non tornare indietro
così niente accadrà
resta qui
non ci sarà passato
solo questo futuro
che sarà come un presente
ma all’improvviso
sento uno strappo
e torno indietro
con qualcosa in meno
È una storiella. Un io lirico che, come si fa da secoli, si colloca nel mondo attraverso una storiella che sta dentro una storia più grande, la raccolta. La storiella narra di un viaggiatore spaziale che si accorge di essersi allontanato troppo e che si ritrova «in un posto fatto di nulla». Ha esitato, dice, spiegando che aveva un buon motivo per rimanere in quel nulla: il desiderio di perdere il passato. Il nulla è immemore, a quanto sembra (fidiamoci di chi c’è stato). Poi all’improvviso «uno strappo», e il viaggiatore torna indietro, nel tempo della memoria, dotato di un passato e anche di questo ricordo, ma con la sensazione di avere «qualcosa in meno».
Cosa abbia perso l’io lirico durante quel repentino ritorno, non è dato saperlo. Forse è venuta meno l’opportunità di abitare nel nulla. O forse è proprio così: la vaga sensazione che a volte proviamo di essere tornati indietro da un viaggio «con qualcosa in meno», senza che riusciamo a capire cosa.
Quindici versi brevi – la coppia di endecasillabi in terza e quarta posizione sono il confine più alto – di misura variabile, prevalentemente imparisillabi. Niente punteggiatura – siamo dalle parti di Ungaretti –, niente maiuscole – Bukowski docet – e quindi tanti versicoli che offrono a ogni gradino una porzione significativa di senso («e dico a me stesso» e poi «non tornare indietro», quindi «così niente accadrà», così insisto e mi dico «resta qui»…).
È un testo ad alta leggibilità, che si situa tra il primo Ungaretti, lo abbiamo già detto, e l’ultimo Ferlinghetti (quello più ungarettiano, appunto).
È degno di nota l’uso dei tempi verbali. Il presente storico – «viaggio… finché un giorno… mi trovo…» – è interrotto da una serie di verbi al futuro, perfettamente alternati, a conferire un ritmo narrativo alla sequenza dei versi: uno in levare, al presente, e l’altro in battere, al futuro:
non tornare indietro
così niente accadrà
resta qui
non ci sarà passato
solo questo futuro
che sarà come un presente
Il futuro che rimarrà presente: una promessa di immortalità e, soprattutto, di smemoratezza.
E poi c’è il titolo, Richiamo totale, che è un calco dell’inglese Total Recall, un film del 1990 – e anche uno del 2012 – tratto da un racconto di Philip Dick. È uno specchietto per l’allodole, quel titolo, che serve a ricordarci che siamo nel campo da gioco della fantascienza, dalle parti di Dick, appunto, il quale fa capolino per ricordarci che nelle storie di fantascienza – e quindi anche nelle poesie di quel genere – ci sono aziende che ricondizionano la memoria delle persone. Generalmente lo fanno per soldi: ti mandano in vacanza dove vuoi, grazie all’impianto di ricordi di esperienze che non hai mai vissuto. Tu entri in una specie di sala operatoria e esci con un’identità nuova con cui fare i conti. Hai qualcosa in più, certo, ma anche qualcosa in meno. È così che il rapporto tra realtà e finzione comincia a vacillare, e tu – che non hai il controllo della situazione, perché sei il cliente-paziente che mette il proprio destino nelle mani dei dottori – non sei più sicuro della tua storia.
Quel «con qualcosa in meno», dunque, potrebbe essere anche un ricordo cancellato. Ma cosa rimarrebbe allora, alla fine della lettura, di quell’io lirico che cerca di affermare la propria esistenza attraverso le sue parole? Poca cosa. È un io flebile, che si sforza di esistere ma che ne farebbe anche a meno.
Se leggerete il libro – lo ha scritto Roberto Balò e si intitola Saga (Porto Seguro, Firenze 2019) – avrete modo di scoprire che si chiama nessuno, che ha una donna a casa ad aspettarlo – si chiama penny – e che sta girovagando da decenni senza una meta. Non sappiamo se tornerà mai a casa, ma di sicuro – provare per credere – vale la pena accompagnarlo almeno per un tratto del suo viaggio.