Una complessa triangolazione

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Parlare di ambiente significa necessariamente parlare del mondo che ci circonda, quindi di economia. E farlo con i ragazzi delle scuole secondarie porta a parlare del loro futuro prossimo, di studenti universitari e lavoratori. Dalla sezione “Scuola” dell’ultimo numero de«La ricerca», “Pianeta Scuola”.
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© Donata Cucchi, Sandwich Harbour, Namibia 2009, «Strati», dal progetto MariAperti.

Questo articolo tratta il tema dell’educazione ai temi ambientali nelle scuole secondarie di secondo grado da un punto di vista eccentrico e al tempo stesso problematico: quello di non-educatori.

Pur avendo portato negli ultimi anni la discussione del tema ambientale nelle scuole, il nostro profilo, e di conseguenza il nostro approccio, è infatti quello di ricercatori e consulenti, se vogliamo di “esperti”, non quello di insegnanti, con l’apparato pedagogico che un simile ruolo comporta.

A restringere ulteriormente la prospettiva, va esplicitato che la nostra posizione non è nemmeno quella dell’esperto ambientale, dell’ecologo, bensì quella dell’economista ambientale. Un aspetto, questo, che genera un effetto barriera, forse perché i temi economici sembrano difficili da maneggiare e, soprattutto, da comunicare ai giovani delle scuole. Ed è un peccato, perché finisce per creare una pericolosa dicotomia tra ciò che è “questione ambientale” e ciò che è “tema economico”, mentre invece il caso dell’Ilva di Taranto, la TAV in Val Susa o la tragedia della terra dei fuochi dimostrano che non può esistere una questione economica scollegata da una questione ambientale e viceversa.

Non a caso, economia ed ecologia hanno la stessa radice in οἶκος, la casa; una casa in cui vivere (ecologia) ma anche una casa da mandare avanti con efficienza (economia).

L’intreccio tra economia ed ecologia è un aspetto fondamentale da capire, soprattutto se si è giovani prossimi a entrare nel mondo del lavoro, e da spiegare con tutti i mezzi. Così come l’ambiente, l’economia è un aspetto centrale della nostra vita, e quindi può essere interessante avviare percorsi di educazione che coniughino i due concetti e li mettano in relazione critica.

Sviluppo sostenibile, green economy, economia circolare

Con queste premesse e con questo approccio, ci siamo addentrati nel mondo dell’educazione ambientale con il punto di vista di parte dell’esperto economico.

Questo ha significato, col passare del tempo, modificare un poco il tema stesso della materia, perché se nel corso degli anni Novanta e per gran parte del primo decennio del nuovo millennio si parlava di “educare allo sviluppo sostenibile” – dopo la crisi economica mondiale del 2008 si è iniziato a parlare di green economy, un concetto che, a sua volta, negli ultimi anni è stato sostituito dalla formula della “economia circolare”.

Visto così, sembra il classico esempio di revamping di un concetto che altrimenti perde capacità di richiamo, e in parte è così. Tuttavia, ci sono alcuni elementi che segnano una differenza tra essi e che meritano quindi di essere raccontati e comunicati in maniera diversa.

In principio fu lo sviluppo sostenibile: stare bene noi, ma con la parsimonia necessaria a far stare bene anche i nostri figli, il che significa consumare sì le risorse ambientali, ma in modo da non intaccare le possibilità di consumo da parte di chi verrà dopo di noi.

In principio fu lo sviluppo sostenibile, teorizzato già negli anni Ottanta, ma diventato di uso comune a seguito del Summit della Terra organizzato dalle Nazioni Unite a Rio de Janeiro (1992), quando si diffuse nella versione semplificativa e rassicurante di «un tipo di sviluppo capace di soddisfare i bisogni della attuale generazione senza compromettere il soddisfacimento dei bisogni delle future generazioni». Chi può essere tanto folle da opporsi a un concetto di questo tipo? Stare bene noi, ma con la parsimonia necessaria a far stare bene anche i nostri figli, il che significa consumare sì le risorse ambientali, ma in modo da non intaccare le possibilità di consumo da parte di chi verrà dopo di noi; assicurarci il benessere economico facendo di esso la pre-condizione per il benessere economico delle future generazioni, mettere in agenda i temi sociali, per favorire l’imporsi di comunità più inclusive e solidali. 

Ma lo sviluppo sostenibile non è solo questo, anzi: non è prioritariamente questo. È, invece, un concetto contraddittorio, che richiede scelte scomode e di compromesso, perché queste tre componenti – quella economica, quella ambientale e anche quella sociale – sono in conflitto reciproco e cercare di avvicinarsi a una ottimizzazione di tutte e tre contemporaneamente, come richiesto dall’idea di sviluppo sostenibile, implica rinunciare a qualcosa di ciascun obiettivo per recuperare qualcosa dell’altro. 

Educare allo sviluppo sostenibile, pertanto, significa educare i cittadini di domani al compromesso, che è esattamente il contrario dello spiegare che si può avere la botte piena dello sviluppo oggi e la moglie ubriaca dello sviluppo domani: significa ragionare su cosa implichi per il reddito di una comunità la chiusura di uno stabilimento industriale inquinante (alternativa tra benessere economico e benessere ambientale), cosa significhi migliorare l’efficienza produttiva riducendo l’occupazione (alternativa tra benessere economico e benessere sociale), ma scoprire che anche benessere ambientale e benessere sociale possono essere in conflitto (si pensi a cosa significhi in termini di vita sociale per un diciottenne di un’area marginale potersi muovere con la propria auto o dover utilizzare il trasporto pubblico locale).

Poi è venuto il momento della green economy, figlia di un momento storico ben preciso, ovvero la crisi finanziaria che dal 2008 ha colpito prima gli Stati Uniti e poi tutti i Paesi industrializzati. In quel momento, si iniziò a invocare un cambio totale di paradigma economico, che avrebbe dovuto favorire tutti quei settori – per lo più negletti e proprio per questo con maggiori prospettive di crescita futura – che avrebbero così assicurato un “doppio dividendo” economico ed ambientale. Se, come illustreremo meglio più avanti, la definizione di green economy e la sua declinazione in termini occupazionali (i cosiddetti green jobs) è piuttosto ampia, la sua enfasi sul mondo dell’impresa apre nuove opportunità educative nelle scuole secondarie, più focalizzate sulla formazione al lavoro e sulla preparazione per percorsi di istruzione universitaria, e interessate alla possibilità di attivare percorsi di alternanza scuola-lavoro.

Come accennato, la fiducia nelle magnifiche sorti e progressive della green economy poco alla volta è scemata, ma contestualmente è aumentata la percezione dei rischi legati al cambiamento climatico: la progressiva “tropicalizzazione” delle condizioni atmosferiche anche alle latitudini temperate, con periodi sempre più lunghi di siccità che si alternano a fenomeni atmosferici estremi, a volte catastrofici, ha fatto sì che l’allarme ambientale entrasse effettivamente nelle agende politiche internazionali e locali, focalizzandosi sul concetto di “economia circolare”, ovvero sulla necessità di chiudere i cicli dei materiali e di migliorare l’efficienza nell’uso delle risorse, ampliando la capacità di riutilizzo dei beni e di riciclo dei materiali, favorendo gli usi condivisi e il risparmio energetico.

Educare all’economia circolare da un lato implica enfatizzare concetti scomodi, indirizzati alla sobrietà e al risparmio, non sempre in linea con gli stili di vita apprezzati dai più o, quantomeno, veicolati dai media e dallo show business, ma dall’altro significa mostrare come sia sempre più immediato e necessario fare dell’attenzione per l’ambiente una professione, impegnandosi in mansioni che possono essere tanto di base quanto ad alto contenuto di competenza.

Elementi di metodo

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© Donata Cucchi, Namib Desert, Namibia 2009, «Strati», dal progetto MariAperti.

L’educazione ambientale non è una novità nelle scuole italiane, specialmente nelle primarie e nelle secondarie di primo grado. Questo perché il tema ambiente è plastico e magmatico, il che gli consente di inserirsi in maniera trasversale alla programmazione scolastica. Un altro punto di forza dell’educazione all’ambiente è la sua forte componente esperienziale, basata sull’immersione nella natura, sull’utilizzo dei cinque sensi e, in definitiva, sull’imparare facendo. Di conseguenza, l’educazione ambientale fornisce agli studenti non solo conoscenze ma anche e soprattutto competenze: qualcosa cioè che attiene non tanto a una disciplina, a un sapere formale, bensì al soggetto e alla sua capacità di esprimerle e utilizzarle nei vari contesti di vita, di spenderle in relazione ai problemi. L’ambiente si presta molto bene a questo scopo, ma presenta anche altri elementi da valorizzare in azioni di carattere formativo: nell’ambiente i ragazzi vivono il loro tempo extrascolastico, formano la propria identità, costruiscono una personalità relazionale, sociale e civica.

Questi elementi sussistono anche quando si tratta di interessare al tema ambientale i ragazzi delle scuole secondarie. Innanzitutto Un buon modo per trattare i temi ambientali con gli adolescenti è “partire dalla fine”, da quello che faranno una volta usciti da scuola: università e lavoro, da declinare in ambito green.perché per gli adolescenti, sulla soglia dell’età adulta, è necessario imparare a muoversi nel proprio ambiente, affinare competenze e capacità di scelta, per essere i cittadini attivi e responsabili di domani. Inoltre in questa fase della vita il tema dell’identità è molto sentito, in senso sia individuale che di gruppo. E allora un buon modo per trattare i temi ambientali con gli adolescenti è “partire dalla fine”, da quello che faranno una volta usciti da scuola: università e lavoro, da declinare in ambito green.

Come anticipato, per parlare di professioni verdi, o green jobs, bisogna prima parlare di green economy, ben consci che non esiste una definizione univoca e condivisa di questa specifica branca. L’interpretazione è volutamente ampia – nella convinzione che spazi con confini poco definiti siano particolarmente adatti a favorire pensiero divergente, creatività e innovazione – ma si basa su alcuni punti fermi. 

Il primo è che i tradizionali settori ambientali sono da ricomprendere nella green economy solo quando l’azione degli attori rispetta principi di sostenibilità; in questo senso, riciclare il rifiuto è un’attività green, gestire una discarica no; inoltre, comparti produttivi non ambientali possono ricadere nella categoria della
green economy quando è evidente ed effettivo l’impegno per la riduzione dell’impatto del processo produttivo o per il rispetto di criteri di sostenibilità del prodotto. 

D’altro canto, la green economy è pervasiva, e anche quando non rappresenta il core business aziendale può riguardare segmenti d’impresa, singoli processi, figure professionali specializzate all’interno di attività convenzionali; è innovativa, perché si pone di volta in volta obiettivi di sostenibilità più ambiziosi; infine, la green economy è un’economia di tipo relazionale, che funziona quando gli attori pubblici e privati collaborano animati da un fine comune di ricerca della sostenibilità.

Questi elementi delimitano il perimetro entro cui si svolgono i green jobs. Ed è un terreno particolarmente adatto ai giovani, che qui possono sperimentare talento, creatività, capacità di dialogo e di confronto, ma soprattutto il piacere di lavorare per una causa con un forte portato etico.

Un esempio che va in questa direzione è il progetto Erasmus+ GrEAT – Green Education for Active Talents1, che prevede attività nel biennio 2017-2019 all’interno di sei scuole secondarie di secondo grado in Italia (Finale Emilia e Rimini), Croazia (Zagabria), Francia (Poucharrat) e Spagna (Padul e La Vall d’Uixò).

Gli strumenti utilizzati sono numerosi e vari, ma condividono tutti la caratteristica di stimolare i ragazzi alla riflessione e all’immedesimazione, accrescendone le competenze e la voglia di fare scelte green per il futuro prossimo. In particolare, alcuni snodi centrali del progetto sono: la realizzazione di moduli didattici sui temi ambientali, con un forte focus su storie ed esperienze di successo in grado di veicolare il messaggio ambientale presso i ragazzi in maniera più diretta e stimolante; un corso di videomaking svolto dai ragazzi e dedicato alla realizzazione di brevi documentari sulla green economy nel proprio territorio, per dare al contempo competenze nell’uso degli strumenti multimediali e per spingerli a fare in prima persona una ricerca sui settori e i soggetti della green economy più interessanti localmente; una serie di incontri nelle classi, dove i principali ospiti sono green jobbers del territorio, preferibilmente persone giovani, che raccontino ai ragazzi la propria esperienza di vita in maniera diretta e senza filtri, parlando dei propri studi, degli aspetti più o meno tecnici del proprio lavoro e delle motivazioni che li hanno mossi nella scelta; una settimana di scambio didattico in cui tutti i ragazzi coinvolti nel progetto convergeranno in Francia per conoscersi e discutere di sostenibilità e di opportunità future di studio e lavoro.

Tutti questi strumenti hanno il fine ultimo di mettere al centro il giovane individuo, sensibilizzarlo rispetto ai temi ambientali e orientarlo, in un momento di snodo fondamentale per il prossimo futuro da adulto, verso il conoscere e essere in grado di valutare con competenza le possibilità offerte dalla green economy per la propria formazione e, a seguire, professione. E se anche un domani farà scelte professionali diverse, avrà strumenti per essere un cittadino e consumatore responsabile.

Il mondo fuori della scuola

Abbiamo sottolineato come parlare di ambiente significa necessariamente parlare del mondo che ci circonda. E farlo con i ragazzi delle scuole secondarie porta a parlare del loro futuro prossimo, di studenti universitari, e lavoratori. Qui entrano in gioco altri attori, quali le imprese, le università, le istituzioni e le associazioni; se ciò che ci si auspica è che il dialogo tra il mondo della scuola e questi soggetti sia costante e proficuo, ci si accorge però che non sempre è così, e che parlare di ambiente e fare educazione ambientale può essere un ponte importante per creare o rafforzare quel dialogo. Perché, di fatto, l’educazione ambientale in queste scuole è un atto bidirezionale, rivolto tanto alle imprese quanto ai cittadini di oggi e di domani.

Per essere efficace, la relazione bidirezionale cittadino-impresa richiede una mediazione da parte di un soggetto esperto in grado di tradurre i linguaggi, fornire una formazione in senso ampio e farsi garante dell’etica e della scientificità delle azioni da intraprendere,In questo preciso momento storico, i movimenti globali per la lotta al cambiamento climatico ci insegnano che la società, le istituzioni e le imprese avrebbero moltissimo da imparare dai ragazzi. spesso di difficile interpretazione per i non addetti ai lavori. E chi meglio del sistema educativo per svolgere questo compito? Un sistema che ha al suo interno competenze articolate, che condivide gli obiettivi di questa azione e che per sua natura intercetta gran parte dei cittadini di domani.

Si tratta quindi di declinare l’atto educativo in due diverse accezioni, o meglio, di direzionarlo su due percorsi: l’impresa come “maestra” della sostenibilità, istituzione in grado di insegnare – e di farlo facendo – cosa sia e come si persegua la sostenibilità; ma anche l’impresa come “allieva”, soggetto educabile e all’interno della quale diffondere una cultura della sostenibilità che ne coinvolga tutti i settori, i decisori e i collaboratori.

E qui, in questo preciso momento storico, i movimenti globali per la lotta al cambiamento climatico ci insegnano che la società, le istituzioni e le imprese avrebbero moltissimo da imparare dai ragazzi. Per la prima volta dopo il ’68, un movimento di scala globale è a fortissima “trazione” giovane e giovanissima2, con gli adulti che, quando già sensibili alle tematiche ambientali, agiscono a supporto, ma che in tanti casi si stanno risvegliando proprio ora da decenni di torpore, grazie alle grida di allarme dei propri figli.

Dietro a queste grida ci sono cervelli, talenti e creatività al servizio di una giusta causa, uno sguardo fresco ma disincantato che ha capito che la questione non potrebbe essere più urgente di così. Basti pensare che Boyan Slat, quando nel 2012 inventò il geniale sistema passivo per la raccolta delle plastiche nei mari Ocean Clean-Up, aveva solo 18 anni!

Se le imprese e le istituzioni sapranno ascoltare i ragazzi e lasciarsi da loro ri-educare, la possibilità di cambiare l’attuale paradigma – patentemente insostenibile – e garantire una nuova possibilità alla Terra e alle generazioni future sarà concreta.


NOTE

1. Per maggiori informazioni sul progetto GrEAT: www.greatgreenjobs.eu.

2. L’esponente più noto a livello mondiale del movimento per il clima è indubbiamente la svedese Greta Thunberg, che a soli 15 anni, nell’agosto 2018, ha iniziato uno sciopero della scuola e ogni venerdì va a manifestare davanti al parlamento di Stoccolma, per chiedere un maggiore impegno nella lotta al cambiamento climatico.

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Francesco Silvestri

Economista, si occupa da 25 anni del complicato rapporto tra tutela dell’ambiente e sviluppo economico. Amministratore della società eco&eco Economia ed Ecologia srl di Bologna, dal 2008 è professore a contratto di Istituzioni di Economia presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. Va in giro in bicicletta per necessità, ancor prima che per convinzione ideologica (non ha mai preso la patente).

Luna Beggi

Ricercatricedi eco&eco Economia ed Ecologia Srl Bologna, una società nata nel 1991 per studiare gli aspetti socio-economici della tutela, gestione e valorizzazione dell’ambiente.

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