Sono luoghi che conosce bene perché è docente di Storia della medicina presso l’Ateneo della città e direttore dell’annesso museo storico. Ma è soprattutto autore pronto all’ascolto delle voci del passato e capace di scoprirvi carte, documenti stracolmi di segreti e di storie appassionanti, come quelle da lui proposte nei precedenti libri: i viaggi scientifici e le turbolente vicende accademico-giudiziarie dell’abate Lazzaro Spallanzani ( XVIII sec. ); la strana visita del criminologo Cesare Lombroso allo scrittore Lev Tolstoj; la sfortunata passione amorosa del fisico Alessandro Volta per la cantante Marianna Paris; la vita e l’opera di un Nobel dimenticato, quello di Camillo Golgi; e infine, uscendo eccezionalmente dall’humus scientifico pavese, il racconto della cura caldeggiata dalla regina Elena per debellare la spietata encefalite letargica.
Con questa sua ultima ricerca Paolo Mazzarello aggiunge un altro medaglione all’ideale galleria dei viri inlustres che frequentarono Pavia: nel dritto il medico ostetrico, Edoardo Porro, e nel verso la gestante che a lui si affidò, Giulia Cavallini. Nel libro sono inserite le fotografie di entrambi. Le propone – in una vetrina appositamente allestita al Museo per la storia dell’università, assieme ad altri rari documenti e strumenti ostetrico-chirurgici della seconda metà dell’Ottocento – lo stesso Mazzarello ai visitatori che decidessero di scoprire, magari suggestionati dal libro, il piccolo gioiello museale che presiede.
Edoardo Porro, un passato da garibaldino, poco più che trentenne, aveva ottenuto la nomina a professore ordinario di clinica ostetrica a Pavia nel novembre del 1875. Qualche mese dopo, di fronte alla venticinquenne Giulia Cavallini, di Gambolò, in avanzato stato di gravidanza e con una alterazione pelvica e una malformazione del bacino causate da una grave forma di rachitide contratta da bambina, ebbe il coraggio intellettuale e la bravura professionale di attuare un intervento con una tecnica innovativa, destinata a far scuola in Europa e nel mondo. Da quel giorno, 21 maggio 1876, il parto cesareo cessò di essere una sentenza capitale quasi certa per la madre e progressivamente divenne un intervento relativamente semplice. Oggi in Italia, secondo dati ISTAT, vi ricorre circa il 36% delle partorienti.
Senza fornire altri dettagli sulla meticolosa e rigorosa ricostruzione della vicenda da parte del prof. Mazzarello, basterà il riferimento all’emozionante capitolo collocato al centro dell’opera ed intitolato Terra incognita, per avere una conferma del suo piglio di coinvolgente divulgatore scientifico e di scrittore di vaglia. Una secca indicazione oraria apre la sequenza: Erano le 16.40 e una altrettanto concisa precisazione oraria la chiude: La durata dell’intervento… fu di quarantatré minuti. Tanto dunque durò l’operazione che contribuì a cambiare la storia dell’ostetricia e delle donne. La “tecnica di Porro” dopo secoli faceva intravvedere una luce di speranza e di salute della partoriente e del feto nelle situazioni di gravidanze complicate. Questa luce si era potuta accendere perché il medico Edoardo Porro ebbe il coraggio di sperimentare; un coraggio che gli derivava da una vita fatta da una dedizione assoluta agli studi e alla prassi chirurgica e da una particolare attenzione ai concreti problemi delle sue pazienti.
Quanto a Cavallini, pur colpita da debilitanti malformazioni, si mostrò sempre vivace di spirito, piena di slancio vitale. Affrontare il cimento di quel parto cesareo comportava anche da parte sua molto coraggio. E lo ebbe. Ma non va dimenticato che intorno a lei e alla bimba che le nacque si concentrarono attenzioni, cure riabilitative e strutture sanitarie per l’epoca all’avanguardia in Italia.
Vale la pena di conoscere anche questi aspetti della vicenda, perché ciò che accadde a Pavia quasi un secolo e mezzo fa rivoluzionò la vita delle persone ben più di altre celebrate scoperte dell’epoca. E poi la storia della medicina è – per sua natura – una storia che comprende una dimensione “scientifica” e una “umanistica” di almeno pari spessore, poiché si tratta di una disciplina il cui progresso teorico – se davvero è tale – deve per forza coincidere con il miglioramento della condizione, fisica e psicologica, dell’umanità.