L’espressione “crisi dell’insegnamento letterario” è una delle più diffuse nel dibattito sulla didattica della letteratura almeno dagli anni Settanta, quando il processo di democratizzazione del sistema nazionale di istruzione, messo in moto dalla riforma della scuola media unica entrata in vigore nel 1963, comincia a finalmente a produrre gli effetti auspicati dalla Costituzione (articolo 34 recitava «La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita»). Mi piace pensare che sia stata proprio la Costituzione ad avere messo in crisi il ruolo della letteratura a scuola, costringendo il mondo adulto a smettere di dare per scontata la trasmissione dei valori e delle conoscenze letterarie alle nuove generazioni.
E adesso, che fare? Una volta accettato lo stato di crisi permanente della didattica della letteratura come necessario, il frutto maturo dell’adesione al dettato costituzionale e ai valori democratici, qual è il senso che possiamo dare a un insegnamento così carico di insidie, già usato in passato per costruire sudditi della nazione e poi dell’impero, e da decenni finalmente libero da vincoli che non siano quelli stabiliti dalle consuetudini, dalle credenze e dalle regole dell’arte della didattica, oltre che da quelle proposte dagli studi letterari?
Per quel che mi riguarda, trovo conforto nella rilettura di due articoli della Costituzione, il terzo e il nono, ai quali ricorro sempre più spesso per dare un senso alle pratiche didattiche basate sull’interazione con le opere letterarie, oggetti culturali da scoprire, scegliere, manipolare e trasformare attivamente durante attività che vorrei sempre più laboratoriali e cooperative.
L’articolo 3 mi autorizza a ricorrere alle opere più vicine all’esperienza di ogni studente per lavorare alla rimozione di alcuni di quegli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la sua effettiva partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. È in questo quadro che trovano un senso la lettura in comune – ad alta voce – e individuale delle opere, la scrittura e la riscrittura, la condivisione delle proprie produzioni e interpretazioni.
L’articolo 9 mi chiede – come hanno magistralmente spiegato Maurizio Bettini e Salvatore Settis – di rendere ogni cittadino sovrano del patrimonio culturale nazionale attraverso la costruzione di una memoria culturale condivisa, da edificare a partire dalla cultura di ogni membro della comunità, senza obblighi e forzature, in un dialogo interculturale che chiama ogni adulto a mettersi in ascolto e a rinunciare a quelle certezze che ancora oggi rappresentano per molti un ostacolo alla realizzazione della democrazia a scuola.