«POETA ARTISTA VISIVO COMMEDIOGRAFO PERFORMER e quanto altro ancora»: così, a maiuscole spiegate, Nanni Balestrini presentava la mostra parmense intitolata Corrado Costa. Le apparizioni dell’uomo invisibile (2009; il catalogo, a cura del più fine conoscitore dell’opera del poeta emiliano, Eugenio Gazzola, apparve per i tipi di Mazzotta; varrebbe la pena recuperare anche un catalogo precedente, sempre uscito da Mazzotta: Corrado Costa tra poesura e pittria, firmato da Renato Barilli, 1995).
Oggetto di un culto ristretto ma tenace, apprezzate e studiate in questi anni da critici anche molto giovani, le poesie di Costa sono di fatto introvabili. E questo nonostante l’uscita, nel 1995, di un’antologia apprestata da Aldo Tagliaferri, seguita da una seconda antologia sapientemente curata dallo stesso Gazzola, The Complete Films. Poesia Prosa Performance (2005).
Ospitata nella collana Fuori Formato de Le Lettere, allora diretta da Andrea Cortellessa, quella voluminosa pubblicazione, peraltro arricchita da un nutrito mannello di opere multimediali (in parte fruibili tramite la sezione Costa legge Costa del sito della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia), è tanto pregevole quanto impossibile da reperire.
Particolarmente meritoria è allora l’iniziativa dell’associazione Nie Wiem che ha deciso di riportare in libreria i versi di una delle voci più argute dell’avanguardia letteraria italiana.
Il tomo che inaugura la stampa delle Opere poetiche dell’“imperturbabile busterkeaton patafisico” Costa (ancora parole di Balestrini) si intitola Poesie infantili e giovanili (1937-1960) (Ancona, Argolibri, 2019, a cura di Chiara Portesine) e presenta per la prima volta un’ingente mole di materiale rimasto sinora chiuso nelle scatole dell’Archivio Costa.
Il libro si apre con un saggio di Patrizia Vicinelli del 1989 utile per inquadrare gli anni giovanili del poeta emiliano – da integrare, per chi volesse approfondire, con la monografia di Ivanna Rossi Poesia oscura con presa. Leggere Corrado Costa (2013). Segue la breve ma puntuale introduzione di Chiara Portesine, in cui si sottolinea come queste prove giovanili presentino in nuce tendenze stilistico-tematiche e immagini formulari (la primavera, il personaggio di Narciso, il fiume-specchio) poi caratteristiche del poeta maturo.
Emergono, dalle osservazioni di Portesine, alcuni nomi-faro: Leopardi, Baudelaire, Rimbaud, il surrealismo francese (in primis Éluard, così caro alla generazione poetica nata tra gli anni Dieci e Venti), Eliot, Apollinaire, molti classici latini. Le varie fasi attraversate dalla poesia infantile e adolescenziale di Costa sono esemplari del sentire dell’epoca: a un primo periodo di ingenua adesione ai modelli classici (davvero infantile: siamo tra i nove e i dodici anni) fa seguito la fascinazione per il repertorio simbolista e tardo-ermetico, con precisi echi del panismo dannunziano, e poi una sintonia con la tensione a comunicare propria del neorealismo.
Lo scarto verso la maturità avviene col passaggio “da una zona di scrittura ancora realistico-descrittiva” (si veda in tal senso la sequenza partigiana del 1945-46) a una “più marcatamente filosofica, di militanza poetica e linguistica” (p. 12), con conseguente sviluppo di quell’indole performativa che sarà, insieme alla straordinaria inventiva verbo-iconica, la cifra più notevole di Costa.
Con l’alleggerirsi del peso di una cultura ancora libresca e iper-letteraria, legata a un ventaglio piuttosto tradizionale e convenzionale di opzioni formali e linguistiche, all’altezza degli anni Cinquanta si fa più evidente la curvatura verso i campi della narrazione, delle arti sceniche, del cinema, dei miti della tecnica e della cultura, in un «re-orientamento dell’asse poetico» che si trova «sempre più sbilanciato verso l’extrapoetico» (p. 285).
Dalla preistoria delle prime raccolte si passa insomma a una proto-storia che evidenzia gli interessi e le inquietudini di un autore straordinariamente sagace e inquieto, un poeta che tra i venti e i trent’anni «iniziò a leggere in controluce il significato di “tradizione” e di progresso, di sperimentazione e di avanguardia», per riprendere le parole con cui Gazzola presentava la citata antologia del 2005. L’avvicinamento alle arti visive in particolare è testimoniato da alcune liriche degli anni Cinquanta che ora mimano i titoli delle opere pittoriche (Natura morta con chitarra; Natura morta con candeliere), ora costituiscono omaggi a figure amate (Wiligelmo, Van Gogh), ora evocano prassi e forme plastiche (Studio per figura; la presenza di cornici, di statue, di luci e colori).
Davvero encomiabile risulta il lavoro di scavo e selezione compiuto sui faldoni d’archivio da Portesine, che sceglie di aprire il volume con la selezione auto-antologica Lo scrigno per poi offrire una (vasta) selezione di testi paradigmatici delle diverse fasi creative, a comprendere liriche originali, esercizi di traduzione creativa e di riscrittura dei classici, componimenti destinati all’esecuzione orale (notevoli in tal senso i Testi e appunti per canzoni che, sfondando il limite cronologico prestabilito, coprono il periodo 1960-1990).
Poesie infantili e giovanili (1937-1960) non è dunque né un’antologia né un’edizione critica propriamente detta, quanto piuttosto un’edizione filologicamente e criticamente avvertita di tutto quel che valeva la pena recuperare delle fasi gestatorie di una poetica in formazione. Particolarmente utile risulta il ricchissimo apparato di Note ai testi, con pagine di presentazione, annotazione e commento che non solo danno ragione delle scelte operate (e relative calcolate omissioni) ma costituiscono anche un viatico all’opera di Costa e un punto di riferimento per gli studiosi. Preziose, al centro del volume, le pagine a colori che riproducono alcuni autografi e collages.
Innegabilmente, però, il maggior merito di questo primo tomo coincide con la promessa che l’intera operazione sottintende: quella di poter disporre presto dell’intera produzione in versi di Costa. Per questo già si attende con ansia il secondo volume e con esso quella pietra angolare dell’avanguardia degli anni Sessanta che è la silloge Pseudobaudelaire, apparsa da Scheiwiller nel 1964.
Offrirci l’occasione di rileggerla, o di leggerla per chi si avvicinasse per la prima volta al poeta emiliano, sarà merito non da poco dei tipi di Argo.