Un commento sul digital divide

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Mi inserisco in questo dialogo perché la (scherzosa) provocazione di Sandro Invidia sulle ripercussioni dell’agenda digitale sulla scuola mi ha ricordato il dipinto di Laurentius de Voltolina del 1350, che ritrae una lezione all’Università di Bologna.

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Da allora sono passati quasi sette secoli, che hanno sconvolto le nostre attività sociali ma che sembrano aver lasciato indenne quella che è l’essenza stessa della scuola, la lezione frontale. E dire che i limiti di questa pratica erano ben noti anche all’epoca, visto come sono state rappresentate le dinamiche e il clima di quell’aula.

Al di là della parodia, la straordinaria longevità della lezione frontale non è spiegabile dall’immobilismo istituzionale della scuola o dalla resistenza al cambiamento dei suoi docenti, ma dalla tecnologia su cui si basa, che è, guarda caso, il libro. La sua straordinaria longevità è dovuta alla straordinaria efficienza del libro, che è rimasto al centro dei nostri processi culturali fino ad oggi in forma, tutto sommato, non così diversa da come era sette secoli fa. La scuola si è adattata alle sue vicissitudini. La stampa, che da manoscritto l’ha trasformato in un prodotto di serie, ha cambiato la lezione da strumento di lettura-dettatura a momento di interpretazione e discussione del testo, ma il libro ne è rimasto il fondamento. E ancora oggi il libro stampato è alla base della formazione delle attuali generazioni di docenti e il libro di testo è la rassicurante guida dell’attività didattica quotidiana. Non può stupire che una parte di docenti guardi con naturale diffidenza a tutto ciò che lo mette in discussione.

Oggi però, è innegabile, stiamo assistendo ad una trasformazione del libro. La carta si trasforma in bit, il testo diventa ipertesto, le sue immagini si animano e vi possiamo interagire per guidare i percorsi di conoscenza. Le nuove generazioni sono immerse nelle nuove tecnologie, fanno esperienza, conoscono, apprendono attraverso nuovi linguaggi, nuove strategie. È vero, ad ogni cambiamento si perde qualcosa, ma è difficile non riconoscere i vantaggi di questa trasformazione che sta informando i processi economici, sociali e culturali in tutto il mondo ed è difficile sostenere che non debba entrare nella scuola che a questi processi deve preparare. Persino i limiti dei new media (la presenza di “wiki saperi predigeriti”) dovrebbero essere un incentivo al loro uso (critico) piuttosto che al loro rifiuto.

Credo però che le difficoltà e le resistenze stiano in altro, e cioè in come la trasformazione del libro e dei processi culturali non possa non trasformare la lezione e i processi educativi. È questo, come già indicato in questo dialogo, il vero problema: il passaggio da una scuola come trasferimento di conoscenze a una scuola di sostegno allo sviluppo di competenze. Il profondo cambiamento della tecnologia intellettuale impone un altrettanto profondo cambiamento del ruolo del docente che sarà sempre meno quello di “interprete” e “divulgatore” del libro di testo, e sempre più quello di facilitatore dei processi di apprendimento, di sostegno allo sviluppo delle facoltà cognitive, ruoli oggi molto più rilevanti e critici di quello del diffusore di contenuti. È una trasformazione che richiede l’adozione convinta da parte dei docenti di un nuovo paradigma educativo, un paradigma che può portare anche a ribaltare i momenti sacri della scuola. Un’adozione che non può avvenire dall’oggi al domani. In questo senso la “frenata sull’agenda digitale” può essere una buona notizia, perché la scuola, i suoi docenti (come anche i suoi studenti) non cambiano dall’alto, per imposizione, ma dal basso, per volontà.

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Graziano Cecchinato

Ricercatore di Pedagogia sperimentale presso l’Università degli studi di Padova.

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