Da allora sono passati quasi sette secoli, che hanno sconvolto le nostre attività sociali ma che sembrano aver lasciato indenne quella che è l’essenza stessa della scuola, la lezione frontale. E dire che i limiti di questa pratica erano ben noti anche all’epoca, visto come sono state rappresentate le dinamiche e il clima di quell’aula.
Al di là della parodia, la straordinaria longevità della lezione frontale non è spiegabile dall’immobilismo istituzionale della scuola o dalla resistenza al cambiamento dei suoi docenti, ma dalla tecnologia su cui si basa, che è, guarda caso, il libro. La sua straordinaria longevità è dovuta alla straordinaria efficienza del libro, che è rimasto al centro dei nostri processi culturali fino ad oggi in forma, tutto sommato, non così diversa da come era sette secoli fa. La scuola si è adattata alle sue vicissitudini. La stampa, che da manoscritto l’ha trasformato in un prodotto di serie, ha cambiato la lezione da strumento di lettura-dettatura a momento di interpretazione e discussione del testo, ma il libro ne è rimasto il fondamento. E ancora oggi il libro stampato è alla base della formazione delle attuali generazioni di docenti e il libro di testo è la rassicurante guida dell’attività didattica quotidiana. Non può stupire che una parte di docenti guardi con naturale diffidenza a tutto ciò che lo mette in discussione.
Oggi però, è innegabile, stiamo assistendo ad una trasformazione del libro. La carta si trasforma in bit, il testo diventa ipertesto, le sue immagini si animano e vi possiamo interagire per guidare i percorsi di conoscenza. Le nuove generazioni sono immerse nelle nuove tecnologie, fanno esperienza, conoscono, apprendono attraverso nuovi linguaggi, nuove strategie. È vero, ad ogni cambiamento si perde qualcosa, ma è difficile non riconoscere i vantaggi di questa trasformazione che sta informando i processi economici, sociali e culturali in tutto il mondo ed è difficile sostenere che non debba entrare nella scuola che a questi processi deve preparare. Persino i limiti dei new media (la presenza di “wiki saperi predigeriti”) dovrebbero essere un incentivo al loro uso (critico) piuttosto che al loro rifiuto.
Credo però che le difficoltà e le resistenze stiano in altro, e cioè in come la trasformazione del libro e dei processi culturali non possa non trasformare la lezione e i processi educativi. È questo, come già indicato in questo dialogo, il vero problema: il passaggio da una scuola come trasferimento di conoscenze a una scuola di sostegno allo sviluppo di competenze. Il profondo cambiamento della tecnologia intellettuale impone un altrettanto profondo cambiamento del ruolo del docente che sarà sempre meno quello di “interprete” e “divulgatore” del libro di testo, e sempre più quello di facilitatore dei processi di apprendimento, di sostegno allo sviluppo delle facoltà cognitive, ruoli oggi molto più rilevanti e critici di quello del diffusore di contenuti. È una trasformazione che richiede l’adozione convinta da parte dei docenti di un nuovo paradigma educativo, un paradigma che può portare anche a ribaltare i momenti sacri della scuola. Un’adozione che non può avvenire dall’oggi al domani. In questo senso la “frenata sull’agenda digitale” può essere una buona notizia, perché la scuola, i suoi docenti (come anche i suoi studenti) non cambiano dall’alto, per imposizione, ma dal basso, per volontà.