Tu chiamale emozioni

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Dove sono le emozioni a scuola? È possibile insegnare la conoscenza di sé? Quale alleanza lega insegnanti e famiglia nella responsabilità educativa? E ancora, come lavorano gli sportelli d’ascolto per gli studenti? Cos’è successo ai libretti dell’UNAR sull’educazione alla diversità? Che ce ne facciamo ancora del consiglio orientativo? Cosa significa “recuperare”, a scuola? E come si fa a togliere le spine dai libri? Nel nuovo numero de La ricerca.

Ispirato dall’iscrizione del tempio di Apollo a Delfi, Socrate sintetizzò la sua filosofia nella frase “conosci te stesso”, una massima su pochi obbietterebbero. Le difficoltà nascono però quando si cerca d’applicarla: la conoscenza di sé si può insegnare? A partire da quale età? Soprattutto, possiamo considerare la scuola un luogo adatto per imparare a conoscersi? A queste domande da alcuni anni cercano di rispondere le ricerche su SEL, un acronimo per Social Emotional Learning (apprendimento socio-emotivo). È una proposta ancora poco diffusa in Europa ma molto in voga oltreoceano, come ben spiega l’articolo di Diane Hoffman. Pur critica verso il fenomeno, l’antropologa spiega come negli Stati Uniti già a partire dal primo anno di studi una parte del curriculum sia riservata all’acquisizione di competenze emotive: con l’uso di strumenti didattici finalizzati alla riflessione sulla propria esperienza, i bambini imparano a identificare, esprimere e riconoscere negli altri i fondamentali sentimenti: gioia, rabbia e dolore.

In Italia l’educazione socio-emotiva non è ancora integrata nei curricula, ma ciò non impedisce che la nostra realtà scolastica sia attraversata da una pluralità di iniziative ad essa finalizzate. Ne diamo testimonianza con l’intervista a uno psicologo che affianca il lavoro degli insegnanti gestendo un proprio “sportello d’ascolto” in due licei di Pavia e un’operatrice dello Spazio Giovani dell’Azienda Sanitaria di Bologna, Paola Marmocchi, promotrice di interventi nelle scuole per l’educazione alla salute, all’affettività e alla sessualità consapevole.

La conoscenza di sé si può insegnare? A partire da quale età? Soprattutto, possiamo considerare la scuola un luogo adatto per imparare a conoscersi?
Per quanto riguarda SEL, il primo esperimento italiano ha come capofila Perugia. Lo documenta l’articolo di Annalisa Morganti, che descrive il progetto European Assessment Protocol for Children’s SEL Skills (EAP_SEL), attualmente in corso in cinque Paesi europei, finalizzato alla creazione di un modello comune di educazione socio-emotiva e alla costituzione di un Comitato Europeo che periodicamente monitorizzi lo stato dell’arte di SEL nelle scuole di tutto il continente, alimentandone così la diffusione e gli scambi. L’articolo di un gruppo di antropologhe della Bicocca descrive poi i risultati di una ricerca-intervento in una scuola primaria del novarese, documentando come creare in classe spazi di riflessione sulle emozioni abbia migliorato le prestazioni nelle prove di comprensione della regolazione emotiva, e soprattutto abbia positivamente influenzato il clima emotivo dell’intera classe. Vi sono però aspetti critici che meritano attenzione, come mostra l’articolo di Hoffman. Se la formazione dei docenti di SEL fosse affidata agli psicologi, come avviene nei Paesi anglosassoni e come si propone in Italia, non correremmo il rischio di promuovere una visione strumentale delle emozioni, con conseguenze negative sulla spontaneità delle relazioni?

Il tema delle emozioni torna nella sezione Scuola. Inizia con una riflessione sui “recuperi” scolastici e sul concetto di valutazione. Segue un commento sul ritiro degli opuscoli dell’UNAR Educare alla diversità, a dimostrazione di quanto resti da fare nel campo dell’inclusione. Si continua con la proposta di un metodo di rilevazione precoce e non invasivo dei DSA e con un riepilogo delle attività di formazione e orientamento, tra cui resiste la pratica anacronistica del consiglio orientativo. Chiude il numero un racconto di scuola: come togliere le spine dai libri?

Il dossier è dedicato all’anniversario della caduta del muro di Berlino, un evento cruciale che il professor Giorgio Motta ricostruisce storicamente narrandoci la vita nella città divisa, tra spie, checkpoint e fughe, sino alla notte di Wahnsinn (follia) che cambiò il mondo. Tiziana Galimberti, infine, descrive la non facile integrazione tra berlinesi dell’Est e dell’Ovest, raccontandoci quanto oggi sia diffusa la Ostalgie, la nostalgia, più sentimentale che politica, di un passato che pure si è fermamente combattuto.

Sfoglia o scarica il pdf del nuovo numero.

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Francesca Nicola

Dottoressa in Antropologia all’Università Bicocca di Milano.

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