L’antropologia, sapere di frontiera, ci può aiutare a capire meglio il mondo che ci circonda. Proponendo un pensiero “meticcio”, transculturale, dove ogni uomo, migrante o meno, gode delle medesime “universali” possibilità.
Dieci anni fa la prima scuola, ora sono quarantadue. Lingua italiana per giovani e adulti migranti; quaranta, cinquanta studenti per quasi altrettanti professori. Senza classi. Senza voti. Senza registri. Senza burocrazie. Funziona.
L’integrazione non è un processo spontaneo e vuole didattiche e interventi specifici, ma è favorito dalla capacità/volontà di accogliere, dalla curiosità per l’altro, dalla disponibilità. Solo così crolla lo stereotipo dello straniero.
Cosa significa insegnare in una classe di trentatré studenti, tutti cinesi? Tra gemellaggi poetici e mediazioni culinarie, il racconto della scuola multietnica: un’indimenticabile avventura
A ottant’anni di distanza, quali sono le avvertenze da considerare nell’inserire in un percorso didattico il racconto delle leggi razziali e della persecuzione dell’infanzia nell’Italia fascista?
Del perché, invece dei grandi valori trasmessi dal mondo classico, abbiamo cercato nell’antichità le pezze d’appoggio per costruire identità politiche, nazionali e perfino razziali.