Quattro poesie di Giovanni Nadiani

Tempo di lettura stimato: 5 minuti
Le prime due poesie sono tratte da “Guardrail” (Pequod, Ancona 2010), le ultime due da “Il brusio delle cose. Sintagmi feriali in lingua bastarda” (Mobydick, Faenza 2014).  All’originale, in lingua romagnola di Reda di Faenza, è affiancata l’autotraduzione in italiano.  Per Giovanni Nadiani (1954-2016), poeta, ricercatore e traduttore, scrivere in romagnolo e in italiano è il risultato della constatazione e dell’accettazione che oggi il mondo è impurità, incrocio, meticciamento. «Accedere a una nuova, diversa e elastica identità, a una ‘creolità’ se vogliamo, – si legge in un suo saggio del 1997 – mi sembra l’unica alternativa al trasformare se stessi immediatamente e pedissequamente in hamburger».
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Ribolla, Italia. © Federico Borselli
nó ch’a fasen i cvel

sèmpar in freza

pinsend ch’e’ vnirà e’ su dè

ch’a putren lavurê

cum ch’u s’dev

cun tota la chêlma ch’u i vó

par fêr i cvel fet ben…

nó a n’s’s’adasen brisa

che chi cvel ch’a lè

fet in prisia e furia

l’éra e’ masum 

ch’a putegna fê

adës ch’u s’è fat terd

l’è bur

e a n’gn’ariven piò drì

nè cun la fôrza

ch’a j aven pers

e gnânch cun i dè

ch’a j aven finì.

par nö scorar de’ sens

d’fê chi cvel

ch’a n’l’avden piò invel…

 

noi che facciamo le cose

sempre in fretta

pensando che verrà il giorno

in cui potremo lavorare

come si deve

con tutta la calma che ci vuole

per fare le cose fatte bene

noi non ci accorgiamo

che quelle cose lì

fatte in fretta e furia

erano il massimo

che potevamo fare

ora che si è fatto tardi

è buio

e non ci arriviamo più

né con la forza

che abbiamo perso

e nemmeno coi giorni

che abbiamo finito

per non parlare del senso

di fare quelle cose

che non lo vediamo più da nessuna parte…

 

*** ***

da par nó

a ’n se incion…

s’a n’sen gnît

pr incion

a n’sen incion…

noi

da soli

non siamo nessuno…

noi

se non siamo niente

per nessuno

non siamo nessuno…

e nenca acsè

un dè

u i srà sèmpar

chijcadon

ch’u i tucarà

pr amór o par fôrza

d’tu só da lè

cla masa d’gnît

che fiê d’incion

försi pr un mument

j onich d’segn

d’chijcadon…

e anche così

un giorno

ci sarà sempre

qualcuno

a cui toccherà

per amore o per forza

di raccogliere

quel mucchio di niente

quella puzza di nessuno

forse per un attimo

gli unici segni

di qualcuno…

 

*** ***
Invigia Invidia
… la burdela mora albanesa prema dla clas

arpuneda dri la muraja de’curtil

cun la chitara ins al spali ch’l’aspeta

inguseda par l’urel dl’esam d’terza

ch’la t aspeta

te

ch’la n ved l’ora che t ariva

te

pr brazet

te

mi moj

prufesuresa int l’indirizzo musicale

te

mi moj

piò streta ch’ne me

cun la pasion che t é spartì a lè cun li

la musica d’una vita a culur pina d’fiur

(senza la pavura d’fer ridr)

a la faza di culega ch’i l’amaza dè par dè

cun la pavura de’ su ruger dla buciadura…

 

… la ragazzina mora albanese prima della classe

nascosta dietro il muretto del cortile

con la chitarra sulle spalle che attende

impaurita alle lacrime per l’orale dell’esame di terza

che ti aspetta

te

che non vede l’ora che arrivi

tu

per abbracciarti

te

mia moglie

insegnante dell’indirizzo musicale

tu

mia moglie

più stretta di me

con la passione che hai condiviso con lei

la musica di una vita a colori piena di fiori

(senza la paura di essere ridicole)

alla faccia dei colleghi che l’ammazzano giorno per giorno

con la paura urlata della bocciatura…

 

… e par quant ch’a v vegh

int e’ spicet dla màchina a m degh

ch’a so quasi gelos d’li invigios

d’tota cla musica

dentr a vó dò

int e’ curtil dla scola

in do che te tra du tri dè

t an la vdiré piò

ch’la dona…

… e per tutto il tempo in cui vi vedo

sullo specchietto retrovisore mi dico

che sono quasi geloso per lei invidioso

di tutta quella musica

dentro voi due attorno a voi due

nel cortile della scuola

dove tu tra alcuni giorni

non vedrai più

quella donna…

*** ***
al bicicleti mezi inriznidi dal badanti

parchigedi int e’ perch la zobia dopmezdè


vampè d’musica maghrebina


da talafunin patachet
le biciclette mezze arrugginite delle badanti

parcheggiate nel parco il giovedì pomeriggio


folate di musica maghrebina


da cellulari sboroncelli

Giovanni Nadiani, nato a Cassanigo di Cotignola nel 1954 (e morto a Reda di Faenza nel 2016), è stato poeta, traduttore e germanista.
Dal 2001 ha svolto attività di ricerca e di insegnamento nella sede di Forlì della Scuola Superiore per Interpreti e Traduttori dell’Università di Bologna.
Ha pubblicato alcune monografie e diversi saggi su questioni di teoria e pratica della traduzione letteraria e multimediale, su lingue e generi testuali minoritari. In qualità di traduttore ha curato, tra l’altro, le opere di numerosi poeti e narratori tedeschi, neerlandesi e di varie aree linguistiche minoritarie.
Ha diretto il quadrimestrale letterario «Tratti» e la rivista online di studi sulla traduzione «InTRAlinea».
Le sue principali raccolte poetiche sono e’ sech (Mobydick, Faenza 1989), TIR (Mobydick, Faenza1994), Feriae (Marsilio,Venezia 1999), Beyond the Romagna Sky (Mobydick, Faenza 2000), Sens (Pazzini, Rimini 2000), Eternit® (Cofine, Roma 2004, Premio Ischitella 2004), Ram: versi dalla Romagna-Italia: 1996-2005 (Birandola, Faenza 2005), Guardrail (Pequod, Ancona 2010), Il brusio delle cose. Sintagmi feriali in lingua bastarda (Mobydick, Faenza 2014).

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