Se cerchiamo di immaginare il libro del futuro come uno strumento adeguato per preparare gli studenti ad affrontare il modo consapevole e critico le sfide poste dal presente, come il drammatico problema del terrorismo e il multiculturalismo, allora abbiamo ben poco da imparare dall’estero. Questo, almeno, è ciò che risulta da una ricerca sull’effettivo grado di libertà critica con cui gli editori confezionano i testi e gli insegnanti li comprano.
Lasciamo pure da parte i “testi unici di Stato” ancora presenti in Oriente. Il confronto con Paesi come Cina, Giappone e Corea è inficiato da una differenza culturale di fondo, tanto profonda da determinare un diverso orientamento didattico persino in discipline forti come la matematica (vedi articolo di Park Kyungmee e Frederick Leung Koon). La cosa notevole è che anche in Paesi democratici dell’Occidente troviamo restrizioni alla libertà critica di editori e insegnanti inimmaginabili in Italia, in cui sarebbero giustamente additate come un limite al principio della libertà di insegnamento.
Il caso più eclatante, esaminato nell’articolo di Gail Collins, è offerto dagli Stati Uniti, nei quali sia una complicata struttura del mercato editoriale a livello nazionale sia la presenza in molti Stati di comitati deputati al controllo contenutistico dei libri di testo contribuiscono a fare di questi ultimi un terreno di scontro fra gruppi di pressione progressisti e conservatori, quasi sempre con la vittoria dei secondi. Gli editori scolastici americani sono costretti a scegliere le immagini in modo da essere in regola con le quote prescritte per le donne e le minoranze, devono far fronte alle lettere di protesta e alle denunce dei gruppi fondamentalisti, in particolare cristiani, e soprattutto sono di fatto costretti a osservare le regole imposte dal potente e ultraconservatore Comitato Scolastico del Texas.
Il risultato di queste pressioni divergenti sono testi anodini, indebitamente complicati, ambigui e oscuri nel contenuto, afferma Collins. Certamente sono reticenti rispetto all’attualità, come dimostra l’articolo di Tamar Lewin, in cui si esamina la ricezione scolastica dell’11 settembre.
Anche se con esiti meno paradossali che in America, l’articolo di Joanna Le Métais mostra che in altri Paesi democratici, come Francia, Svizzera e Germania, ai governi spettano poteri di controllo e di intervento sui manuali inesistenti in Italia. Vi sono agenzie o comitati dai quali dipende l’autorizzazione all’adozione nelle scuole e che intervengono sui contenuti ben più di quanto faccia lo Stato italiano, che si limita a indicare gli “argomenti irrinunciabili” delle specifiche discipline, elenchi generici di temi tanto fondamentali che probabilmente sarebbero comunque affrontati dagli autori anche in assenza di indicazioni specifiche.
Le modalità di acquisto
Anche le modalità di acquisto influiscono sulla libertà del mercato e quindi sulla presenza di un’offerta varia e differenziata, come documenta l’articolo di Joanna Le Métais. Se la decisione d’acquisto spetta al singolo docente, come in Italia, le piccole case editrici non sono penalizzate e possono sfidare quelle dominanti con proposte innovative. Ma se lo Stato cerca in vario modo di favorire gli acquisti collettivi dei testi in modo da abbassarne i costi, come accade in Francia in cui i manuali sono a spese dello Stato e acquistati dai presidi, allora le edizioni tradizionali e consolidate risultano più favorite delle proposte innovative.
In altre parole, in questo campo non vi è un mercato completamente libero.
L’eccezione del caso italiano
Il nostro si caratterizza anche per essere uno dei pochi Paesi al mondo in cui i testi scolastici sono a carico dei singoli genitori anche nella fascia dell’obbligo (vedi tabella).
È un aspetto poco invidiabile, ma non è qui in discussione. E fa comunque parte di un sistema che forse più di ogni altro Paese al mondo applica con estremo rigore il principio della libertà didattica del docente, che si traduce nel suo diritto a scegliere ogni anno un manuale di suo personale gradimento all’interno di un’ampia offerta di mercato su cui lo Stato di fatto rinuncia a ogni controllo contenutistico, metodologico o didattico.
Questa insistenza sulla libertà del singolo docente sarà pure un lascito della tradizione pedagogica gentiliana, tanto esecrata quanto mai abbandonata nella scuola italiana. Di fatto oggi si traduce nella possibilità di uno sperimentalismo editoriale e didattico che rimane un’indispensabile premessa per affrontare le sfide del presente e del futuro.