Silenziose contaminazioni

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Molte tra le migliori voci della poesia italiana provengono dalle Marche: Cristina Babino ne ha raccolte alcune.

S’agli occhi credi. Le Marche dell’arte nello sguardo dei poeti (Vydia, Montecassiano 2015) è un volume a cura di Cristina Babino che raccoglie sedici contributi di poeti marchigiani contemporanei, ciascuno centrato su un’opera d’arte realizzata o comunque conservata entro i confini della regione. La sezione antologica si apre non a caso con una citazione da Paul Claudel e una da La vita dei dettagli, il volume di Antonella Anedda che rappresenta senza dubbio il più significativo contributo sul tema dei rapporti tra dimensione verbale e dimensione visiva fornito da un poeta italiano negli anni Duemila.
Il panorama cronologico delle opere prese in considerazione è molto ampio – si va dal maestro quattrocentesco Carlo Crivelli a una figura di spicco della scena contemporanea come Eliseo Mattiacci – e così pure gli autori coinvolti sono rappresentativi di un ampio spettro generazionale, da chi era bambino nel Dopoguerra ai nati nel decennio degli Ottanta.
Diciamo subito che il volume offre una conferma di un dato a nostro avviso difficilmente contestabile, ovvero che, in media, i poeti italiani d’oggi sopravanzano di gran lunga i narratori loro contemporanei quanto a qualità retorico-stilistiche, consapevolezza autoriale e maturità di poetica, non solo quando si tratti di esprimersi in versi ma anche, come in questo caso, quando la forma creativa prescelta sia la prosa.

  • xScipione (Gino Bonichi), «La piovra (I molluschi, Pierina è arrivata in una grande città)» 1929; olio su tavola. Macerata, Fondazione Carima – Museo Palazzo Ricci
  • xLa copertina del libro
  • xLorenzo Lotto, «Sacra Famiglia con santa Caterina d’Alessandria», 1533, Accademia Carrara, Bergamo
  • xGiovanna Garzoni, Autoritratto, 1650 circa
  • xEliseo Mattiacci, «Riflesso dell’ordine cosmico», 1996, molo del porto di Pesaro
  • xCarlo Crivelli, Polittico di Montefiori dell’Aso, 1472

Per chi si interessa ai rapporti tra scrittura e arti visive, S’agli occhi credi offre un ampio e rappresentativo ventaglio di quelle che potremmo definire le poetiche della visione contemporanee: troviamo così la via ecfrastica con finalità analitiche ed esplicative (penso ad esempio ai testi di Ferri, Gezzi, Seri, Maiorino in dialogo con se stessa, Scarabicchi con riferimenti critici alti e puntuali); l’opzione biografico-esperienziale (Morresi, Piersanti, Ruggieri); la prosa d’arte di taglio contemplativo-allucinatorio (Mancinelli); la scelta della narrativizzazione (Lenti, Ortore, Babino, Santoni) e della drammatizzazione (il testo franto e “parlato” di Carnaroli), con fantasie Il libro offre un ampio e rappresentativo ventaglio di quelle che potremmo definire le poetiche della visione contemporanee.che intrecciano storie individuali e vicende montefeltresche; la scrittura francamente saggistica sospesa tra estetica, filosofia, sottotesti esoterici (Caracciolo).
Alcuni capitoli in particolare sono degni di nota per i risultati conseguiti attraverso la contaminazione di parola e immagine: penso a quello di Renata Morresi, quasi diario di viaggio alla scoperta di un’opera, il Trittico di Montefiore dell’Aso di Carlo Crivelli, intensamente immaginata ancor prima che vista e studiata, tanto che l’esperienza estetica finisce per mescolarsi con i piccoli fatti della vita di ogni giorno, cosicché il tempo dello sguardo davvero precipita e si fonde, fino a significarlo, con il flusso impercepito dell’esistere: «Ogni volta che scrivo di un quadro mi capita di scivolare in queste forre che fa il cervello» (p. 36).

Se Marco Ferri solleva alcune interessanti questioni circa la perdita d’innocenza mediale dell’uomo d’oggi – per cui non solo è impossibile leggere Piero senza Longhi e Pasolini, o senza l’arte del Novecento, Kandinskij in testa, ma è addirittura raccomandabile ripensarlo con l’esperienza del cinema negli occhi – Cristina Babino offre invece, attraverso l’incarnazione del sé personaggio, un ritratto della miniatrice ascolana Giovanna Garzoni estremamente brillante e coinvolgente, restituendo non solo un’eccezionale figura di donna, ma vivaci impressioni di un’area appartata eppure vitalissima del sentire barocco.
Colpisce anche la scelta di Michele Ortore di portare sulla pagina l’emozionante incontro di uno scultore ormai molto anziano (Fazzini) con un’opera da lui realizzata decenni prima, dove lo sfasamento cronologico offre materia per una profonda e convincente resa di un territorio e di un’intera epoca, non solo in materia d’arte ma anche di rapporti umani.
Le colline delle Marche, la pace per la follia di Lorenzo Lotto, schiudono una terra senza idillio dove le parole sono: fuoco, acqua, vento, dove lo spazio è dominato da un tempo senza presente, lanciato in avanti o rivolto all’indietro fino al bianco di una vertebra.Quanto a Franca Mancinelli, la sua prosa tutta mentale e inquieta, a tratti febbrile – Babino parla di «attrazione affabulatoria» (p. 26) – rappresenta un tentativo di abitare il quadro che richiama da vicino certi esperimenti con l’arte di Raboni, della stessa Anedda. Pensiamo in particolare a un brano come questo, tratto dal volume di prose Cosa sono gli anni: «Le colline delle Marche, la pace per la follia di Lorenzo Lotto, schiudono una terra senza idillio dove le parole sono: fuoco, acqua, vento, dove lo spazio è dominato da un tempo senza presente, lanciato in avanti o rivolto all’indietro fino al bianco di una vertebra». Nel testo di Mancinelli proprio un «tempo senza presente» caratterizza La città ideale, questo «dolce deserto disegnato» (p. 53) la cui aria metafisica si fa progressivamente meno respirabile, finché quelle linee regolari e accoglienti diventano un’allucinazione di pietra schiacciata dalla luce, o dalle tenebre, quinta scenografica per un teatro dell’assenza e della perdita. Nella seconda parte il luogo dell’utopia recupera il suo carattere di patria, ma l’ipotesi dell’idillio appare ormai irrecuperabile: restano solo alterni sentimenti di adesione e rifiuto, entrambi viscerali.
Quanto a Massimo Gezzi, il suo testo dedicato a La piovra di Scipione si concentra principalmente sulle qualità cromatiche dell’opera, sui suoi rossi, sui suoi neri, che trovano precisi echi in alcune esperienze poetiche dell’artista originario di Macerata.

Conclude questo volume di prose scritte da poeti un componimento in versi, una lirica di Gianni D’Elia dedicata alla scultura Riflesso dell’Ordine Cosmico di Eliseo Mattiacci: testo che «in una prova ecfrastica di grande suggestione», osserva Babino, possiede «l’andamento solenne dell’ode, il trasporto di un dono ammirato e commosso, illuminato e fraterno» (p. 29).
Segnaliamo infine l’utile excursus di Daniela Simoni sulla storia dell’arte marchigiana, il cui titolo – «Tutto sta nell’iride di uno sguardo» – è citazione da una prosa, Marche, scritta nel 1971 da una delle maggiori personalità urbinati del secolo scorso: Paolo Volponi. L’omaggio all’autore de Il sipario ducale, colui che leggeva il paesaggio delle Marche come spazio umanizzato per eccellenza, è giustamente posto a suggello del volume.

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Riccardo Donati

Docente e saggista, insegna all’Università di Napoli “Federico II”; tra i suoi lavori più recenti ricordiamo “I veleni delle coscienze. Letture novecentesche del secolo dei Lumi” (Bulzoni, 2010), “Le ragioni di un pessimista. Bernard Mandeville e la cultura dei Lumi” (ETS, 2011), “Nella palpebra interna. Percorsi novecenteschi tra poesia e arti della visione” (Le Lettere, 2014), “Critica della trasparenza. Letteratura e mito architettonico” (Rosenberg & Sellier, 2016), “La musica muta delle immagini. Sondaggi critici su poeti d’oggi e arti della visione” (Duetredue, 2017), “Apri gli occhi e resisti. L’opera in versi e in prosa di Antonella Anedda” (Carocci, 2020), “Il vampiro, la diva, il clown. Incarnazioni poetiche di spettri cinematografici” (Quodlibet, 2022), “«Queste mie carte argute». Sei studi su Giuseppe Parini” (Cesati, 2022). Si occupa di letteratura italiana ed euro-statunitense dal Settecento a oggi, con interventi in volume e in rivista; nel 2013 l’Accademia Nazionale dei Lincei gli ha attributo il “Premio Giuseppe Borgia” per i suoi contributi sulla poesia.

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