D: Prof. Lingiardi, non le sembra che in questo momento storico si stia facendo una grossa confusione riguardo alla tematica cosiddetta del “gender”?
R: C’è confusione e purtroppo, a volte, malafede. A questo proposito vorrei richiamare un recente (ottobre 2015) documento dell’AIP [Associazione Italiana di Psicologia, N.d.R.]: «Da pochi giorni si sono riaperte le scuole e, con esse, le discussioni e le polemiche legate alla cosiddetta “ideologia del gender”, alle delibere o alle mozioni per ritirare testi contenuti presso le biblioteche scolastiche e le conseguenti polemiche da parte di associazioni di insegnanti, genitori, esperti del settore. Sul tema specifico della “teoria del gender”, l’AIP ribadisce quanto già scritto in un documento approvato in marzo. L’inserimento nei progetti didattico-formativi di contenuti riguardanti il genere e l’orientamento sessuale aiuta a fare chiarezza sulle dimensioni costitutive della sessualità e dell’affettività, favorendo una cultura delle differenze e del rispetto della persona umana in tutte le sue dimensioni, mettendo in atto strategie preventive adeguate ed efficaci per contrastare la formazione di pregiudizi e fenomeni come il bullismo omofobico, la discriminazione di genere, il cyberbullismo».
D: Eppure il timore di molti genitori tocca toni che rasentano la “fobia di massa”. Come possiamo tranquillizzarli? Anzitutto, possiamo sgombrare il campo da alcuni equivoci terminologici?
R: Fare chiarezza è un dovere. A cominciare dalla stessa etichetta «ideologia gender». Si tratta di un ingenuo equivoco? O piuttosto di uno slogan studiato a tavolino per far leva sull’ignoranza e la paura, al fine di ostacolare quel processo di crescita in tema di diritti che in questi anni, in gran parte del mondo, è stato protagonista del passaggio «dalla politica del disgusto alla politica dell’umanità», per dirla con le parole della filosofa Martha Nussbaum? Quel che è certo è che l’”ideologia gender” non esiste. Esistono gender studies che non negano affatto l’esistenza di un sesso biologico assegnato alla nascita, né la sua influenza sulle nostre vite; ma mostrano che il sesso biologico da solo non basta a definire ciò che siamo. La nostra identità (sessuale) è infatti una realtà complessa e dinamica, un mosaico composto dalle categorie di sesso, genere, orientamento sessuale e ruolo di genere. È stato detto in tutti i modi e da cattedre molto autorevoli. Mi limito a riportare ancora una volta le parole dell’AIP: «Esistono, al contrario, studi scientifici che hanno contribuito alla conoscenza di tematiche di grande rilievo per molti campi disciplinari (dalla medicina alla psicologia, all’economia, alla giurisprudenza, alle scienze sociali) e alla riduzione, a livello individuale e sociale, dei pregiudizi e delle discriminazioni basati sul genere e sull’orientamento sessuale. Le evidenze empiriche raggiunte da questi studi mostrano che il sessismo, l’omofobia, il pregiudizio e gli stereotipi di genere sono appresi sin dai primi anni di vita e sono trasmessi attraverso la socializzazione, le pratiche educative, il linguaggio, la comunicazione mediatica, le norme sociali. Il contributo scientifico di questi studi si affianca a quanto già riconosciuto, da più di quarant’anni, da tutte le associazioni internazionali che promuovono la salute mentale (tra queste, l’American Psychological Association, l’American Psychiatric Association, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ecc.) e ribadiscono, per esempio, che l’omosessualità altro non è che una normale variante della sessualità umana». Occorre non fare confusione tra le proprie opinioni e gli studi scientifici.
D: Molti genitori, però, esprimono paure relative non tanto agli aspetti teorici e alle conquiste della ricerca, quanto legate alle pratiche educative. Possiamo eliminare dal dibattito almeno alcuni argomenti che risultano inquinanti?
R: Che una propaganda sistematica finisca per spaventare genitori poco documentati o male informati mi sembra prevedibile. Qualche genitore, per esempio, è stato spinto a temere che da quest’anno alcuni docenti, forti di programmi scolastici basati sull’”ideologia gender”, potranno insegnare ai loro bambini a masturbarsi o condividere pratiche sessuali. Si rende conto? Oppure, ancora grazie alla cosiddetta “propaganda gender”, che ai bambini verrà insegnato a essere bambine, e alle bambine a essere bambini, e agli uni e alle altre a «diventare» omosessuali. Possiamo tranquillizzarli: nessuno ha mai sostenuto l’opportunità di simili insegnamenti. Anche perché, forse è bene ricordarlo, non si può insegnare a essere omosessuali. Queste attività non sono previste in nessun programma scolastico. Su temi cruciali e delicati come questi è invece verosimile che, nel diffondere notizie false e creare allarmi morbosi, si rischi di incentivare pregiudizi e comportamenti basati sull’odio e il sospetto, anziché proteggere i giovani.
D: Dai toni usati in certi proclami e denunce, a volte sembra che l’emergenza non stia tanto nella necessità di arginare la discriminazione e il bullismo omofobico nelle scuole, purtroppo molto frequenti in Italia, quanto nello scongiurare che, a scuola, differenze e varietà individuali vengano accettate.
R: Direi che vengano comprese, accettate e rispettate. Consiglio una lettura molto istruttiva: Bullismo omofobico. Conoscerlo per combatterlo, del collega inglese Ian Rivers (tr.it. il Saggiatore, 2015). E naturalmente i documenti UNICEF e ONU sulla discriminazione di genere e il bullismo nelle scuole. È vero, purtroppo, che a volte sembra prevalere una logica di paura e di sospetto che si placa solo con l’espulsione delle differenze, quando invece dovremmo impegnarci tutti per favorire l’affermarsi di una cultura della curiosità e della conoscenza dell’altro. Per fortuna, la maggioranza dei genitori non sembra animata da questi atteggiamenti di persecuzione. Altri, purtroppo, sembrano combattere perché le proprie convinzioni personali o religiose diventino un riferimento obbligatorio per tutti. Si è un po’ smarrito, nella frenesia dei discorsi, il senso del carattere pubblico del sistema di istruzione, che prevede l’accoglienza di ogni bambina/o, e delle varietà di cui ciascuna/o è portatrice/tore.
D: Non le pare che, nelle posizioni dei “no-gender”, vi sia anche una certa sfiducia nei confronti di tutti gli insegnanti?
R: Non saprei. Certamente ci troviamo di fronte all’azione di associazioni e parti politiche che vogliono contrastare un movimento di trasformazione culturale e antropologica che sta attraversando tutto il mondo (non solo quello occidentale). Una trasformazione che ha messo in discussione il lungo predominio delle posizioni “eteronormative” (e tendenzialmente «patriarcali») a favore di una lettura più articolata delle componenti identitarie e sociali e più rispettosa del concetto di cittadinanza egualitaria. L’intera comunità scientifica, dagli antropologi agli psicoanalisti, ha dimostrato e raccontato la pluralità (e la bellezza di questa pluralità) delle identità e degli orientamenti sessuali, e di conseguenza del modo in cui si organizzano gli affetti, le coppie, le famiglie. Cosa dovrebbe fare la scuola, del resto, se non educare alle forme varie e tra loro diverse di vita, e al loro rispetto? Perché i bambini non dovrebbero sapere? Non devono forse sapere che la Terra gira intorno al Sole? Perché nascondere e deformare qualcosa che può riguardarli da vicino?
D: Ritiene significativa in tal senso la posizione dell’UNICEF?
R: Certo. Nel Position Statement del novembre 2014, l’UNICEF ha rimarcato la necessità di intervenire contro ogni forma di discriminazione nei confronti dei bambini e dei loro genitori basata sull’orientamento sessuale e/o l’identità di genere. Basterebbe documentarsi: proprio una delle più grandi organizzazioni dedicate alla protezione dell’infanzia ha fornito tutti i chiarimenti di cui i genitori hanno, legittimamente, bisogno.
D: Come dovrebbe comportarsi un genitore?
R: Facendo affidamento al supporto della scuola, ma non limitandosi a questo. Dovrebbe educare i propri figli a rispettare ogni forma di differenza perché, diventando grandi, dovranno convivere con identità varie e diverse, in un mondo sempre più multiforme. Come ha affermato il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, nel 2010: «Dobbiamo sfatare il mito che il bullismo sia semplicemente un rito di passaggio, che sia una componente inevitabile del processo di crescita e formazione. Non è così. Abbiamo l’obbligo di garantire che le nostre scuole siano sicure per tutti i nostri figli». Questo, credo, è un impegno giusto e doveroso che ogni genitore dovrebbe assumersi. Manifestazioni comportamentali come quelle legate al bullismo omofobico, ancora molto presenti in Italia, rendono le scuole meno sicure per tutti gli alunni e quindi rendono gli alunni spaventati, timorosi della differenza e di relazionarsi con essa. In definitiva, rappresentano un pericolo immediato e un pericolo futuro.
D: In che senso un pericolo futuro?
R: Un pericolo che nasce dalla rigidità e dalla scarsa attitudine al confronto e al rispetto delle varietà e delle differenze. Un pericolo che fa essere i ragazzi meno “pronti” ad affrontare le sfide della vita individuale e di gruppo.
D: Vogliamo allora spiegare che cos’è il bullismo omofobico?
R: Il bullismo omofobico è l’azione deliberata di uno o più individui finalizzata a denigrare o deridere un’altra persona o una categoria di persone (omosessuali o presunte tali), attaccandone (con violenza verbale o fisica, in modi diretti o indiretti) l’identità sessuale e di genere – e inevitabilmente i suoi gusti, i suoi comportamenti, le sue fantasie, i suoi atteggiamenti. È anche una forma di disumanizzazione e di apartheid che serve a darsi importanza a spese di altri e a garantire e perpetuare il potere di un gruppo su un altro: il dominio di quelli che si credono e sono creduti “forti” su quelli che sono creduti, e troppo spesso si credono, “deboli”.
D: Che cosa è stato fatto e che cosa si può fare, secondo lei, per combattere il bullismo omofobico?
R: Negli ultimi dieci anni, attorno al tema del bullismo omofobico sono fiorite molte iniziative. Per esempio, associazioni scolastiche nate per favorire l’amicizia tra ragazzi gay e etero (le cosiddette Gay-Straight Alliances), il Trevor project, It gets better e, in Italia, Le cose cambiano.
Trevor è il giovane protagonista di un delicato romanzo di James Lecesne, e il Trevor project è un progetto di assistenza (telefono amico e una chat sempre in funzione) per giovani lesbiche, gay, bisessuali, transgender e per tutti coloro che ancora stanno cercando la propria identità.
It gets better è un’idea promossa nel 2010 da Dan Savage e da suo marito Terry Miller per far fronte ai suicidi delle giovani vittime di bullismo omofobico e transfobico. L’obiettivo è prevenire il suicidio diffondendo messaggi e video in cui adulti spiegano ai giovani non eterosessuali che loro vanno bene come sono, che sono semmai i bulli ad avere dei problemi e che presto «andrà meglio».
Affiliato a It gets better, due anni fa è nato in Italia Le cose cambiano. Un’iniziativa no-profit il cui scopo è raccogliere le testimonianze di chiunque voglia condividere la propria storia di scoperta di sé, conflitto, discriminazione e superamento delle difficoltà, per metterla a disposizione dei giovani e degli adolescenti che faticano a sentirsi compresi dai coetanei, dai genitori o dagli insegnanti. Le cose cambiano si basa sulla convinzione che lo strumento più potente di comprensione e di educazione, e anche il migliore antidoto contro l’isolamento, è la narrazione.
A proposito: le cose cambiano è anche smettere di pensare «perché sei omosessuale?» e iniziare a pensare «perché sono omofobo?». Ma anche smettere di pensare «perché sono omosessuale?» e iniziare a pensare «perché sei omofobo?».
Per approfondire
• V. Lingiardi, F. Gazzillo, La personalità e i suoi disturbi. Valutazione e diagnosi al servizio del trattamento, Cortina, Milano 2014.
• V. Lingiardi, N. Nardelli, Linee guida per la consulenza psicologica e la psicoterapia con persone lesbiche, gay e bisessuali, Cortina, Milano 2014.
• V. Lingiardi, Citizen gay. Affetti e diritti, il Saggiatore, Milano 2012.
• V. Lingiardi, G. Amadei, G. Caviglia, F. De Bei, La svolta relazionale, Cortina, Milano 2011.
• V. Lingiardi, N. Dazzi, F. Gazzillo, La diagnosi in psicologia clinica, Cortina, Milano 2009.
• V. Lingiardi, N. Dazzi, A. Colli, La ricerca in psicoterapia, Cortina, Milano 2006.
• J. Shedler, D. Westen, V. Lingiardi, La valutazione della personalità con la SWAP-200, Cortina, Milano 2013.