San Tommaso e il cellulare in classe: regole e libertà

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C’era una volta una quarta dello Scientifico. In quei giorni, il docente di filosofia stava spiegando il pensiero medioevale. Voleva parlare del rapporto tra filosofia e teologia, della dialettica nella scolastica, di Tommaso d’Aquino, del rapporto tra i medioevali e le auctoritates, voleva mettere a contatto i ragazzi con la freschezza del pensiero di un autore, attraverso la lettura delle sue stesse parole.
“Ragazzi, aprite la “Summa” alla pagina della prima Quaestio…» San Tommaso ritratto in un affresco.

Conosceva un modo per fare tutto questo con un unico gesto: leggere il primo articolo della prima “Quaestio” della “Summa teologica”, il capolavoro di Tommaso d’Aquino. Questo genere di testi non piacciono però agli editori di libri scolastici, perché sono troppo lunghi, prendono troppe pagine, interessano solo ad alcuni docenti, forse a pochissimi. Morale: non si trovano nei manuali e bisogna perciò cercare vie alternative. Quel giorno, il professore aveva però dimenticato a casa la Summa, quell’enorme testo di 2849 pagine con rilegatura rigida delle Editiones Paulinae; certo si trattava di un’edizione splendida, ma impegnativa per gli studenti, mancando della traduzione italiana. Oltretutto, il testo creava problemi per via del copyright, così che non se ne poteva fare fotocopia, essendo ancora in catalogo. Se non altro, poteva servire al docente ed era poi bello mostrare ai ragazzi quell’opera poderosa, stupefacente nella mole. Grazie a Internet – pensò subito il professore – si poteva rimediar all’assenza fisica e anzi fare di una dimenticanza un vantaggio. In rete si trovano infatti, in forma gratuita, diverse versioni del testo di Tommaso e non solo in originale, ma anche in traduzione. Sarebbe bastato distribuire qualche fotocopia ai ragazzi, il budget della scuola lo consentiva.

Era però suonata la campanella della prima ora e la stampante della sala insegnanti non collaborava. La macchina era sì disposta a stampare, ma solo la prima pagina del sito, non la seconda. Non aveva senso, ma era così. L’inghippo era che l’articolo che serviva si trovava proprio sulla seconda pagina. Il sito era fatto benissimo con la versione latina e la traduzione italiana affiancate, così che anche quando la traduzione era carente, si poteva risalire rapidamente all’originale. Inoltre, la traduzione evidenziava bene la struttura dell’articolo, coi suoi “sembra che, in contrario, rispondo”, e perciò era efficace didatticamente.

Ormai era tardi, l’insegnante sarebbe dovuto entrare in classe già da qualche minuto. Uscito dalla sala insegnanti, mentre lanciava un’occhiataccia alla stampante impassibile, si affrettò. I ragazzi si alzarono per salutarlo, e lui, sistemata la borsa, si scusò per il ritardo e ne spiegò le ragioni. Fatto l’appello, illuminazione! «Ragazzi, l’anno scorso abbiamo fatto un gruppo WhatsApp, vero?». «Sì, prof., “3^A FILOSOFIA-STORIA”». Googla immediatamente “Summa teologica testo carimo” et voilà: il link è lì, lo apre, cattura lo schermo del tablet, invia l’immagine al cellulare, la incolla sul gruppo WhatsApp e intanto dà il permesso agli studenti di prendersi il cellulare. Tutto in pochi istanti.
Riteneva preferibile che usassero l’immagine inviata, piuttosto che girassero su Internet andando sul sito. Posati gli occhi sulla scatola di cartone in cui dovevano esserci i cellulari dei ragazzi, come deciso dal Collegio docenti… orrore! La scatola era vuota. Si corresse allora con un ironico, “Prendete i cellulari che dovrebbero essere nella scatola”. Gli allievi spiegarono però che, temendo la catastrofe inevitabile se la scatola fosse caduta dalla cattedra, li avevano riposti nell’armadio, più protetto. Recuperatili, in pochi click San Tommaso – per così dire – era in classe, su ciascun device, e restavano ancora più di 45 minuti per ascoltarlo e per parlarne. Nel pomeriggio avrebbero poi potuto scorrere l’intera Summa, perché di mattina era stato poi spiegato loro come ottenerla via browser.

Come in questa storia, sono molti i docenti che fanno usare il cellulare in classe, per ottenere informazioni da Internet, per consultare i manuali in adozione on-line, per fare webquest, per reperire dati immagazzinati nei gruppi WhatsApp e per mille altri utilizzi pratici.
Forse il più grande vantaggio delle tecnologie informatiche nella didattica è di poter rendere presente un’assente importante. Se si mettessero delle regole rigide, così da impedire sempre e comunque l’uso del cellulare, sarebbe un peccato, perché si perderebbero opportunità in nome di un doverismo inopportuno, che non tiene conto delle complessità della società dell’informazione in cui viviamo.
D’altra parte, non mettere regole sarebbe altrettanto sbagliato, perché la distrazione, che il cellulare in più modi favorisce, compromette lo spazio di attenzione richiesto dal lavoro collettivo e guidato che è la lezione (anche quando non tradizionale). La scuola, come luogo educativo, può avviare buone pratiche in cui i cellulari diventano ben più che smart perché, oltre ai giochi, alla musica e ai social con cui i ragazzi hanno familiarità, essi possono ospitare la cultura e, soprattutto, l’intelletto.
Un cellulare ben usato in classe è un “brilliant phone”: consente esperienze di cultura e intelligenza, ma anche di libertà, quelle cioè in cui la regola è rispettata nella sostanza, se non proprio nella sua lettera esteriore, perché colta nei suoi fini profondi.

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Gian Paolo Terravecchia

Cultore della materia in filosofia morale all’Università di Padova, si occupa principalmente di filosofia sociale, filosofia morale, teoria della normatività, fenomenologia e filosofia analitica. È coautore di manuali di filosofia per Loescher editore. Di recente ha pubblicato: “Tesine e percorsi. Metodi e scorciatoie per la scrittura saggistica”, scritto con Enrico Furlan.

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